26 febbraio, Atene, ore 14:00, biblioteca universitaria
«Buongiorno, sto cercando questo libro, ma non so l’autore». Nico estrasse un pezzettino di carta con scritto il titolo.
«Mmmh, un attimo». Disse la giovane ragazza dietro la scrivania. «Qui mi dice che è fuori catalogo, devo chiamare i colleghi… c’è solo in inglese, lo sai no?».
«Sì, lo so. Credo che l’autore sia un italiano, se non mi sbaglio». Rispose Nico.
«Sì, penso anch’io, un certo… Giovanni Arigi… ops Arrighi». Sbagliò la pronuncia e arrossì, Nico rispose con un sorriso e un po’ di imbarazzo.
La bibliotecaria si alzò e andò a cercare un collega. Nico non riuscì a non guardarle il sedere, era bellissima, aveva un corpo fantastico.
Pochi minuti ed era già di ritorno. «Scusami per l’attesa, sono dovuta andare di sotto, questo testo è molto vecchio, li dobbiamo tenere nel bunker». Disse, sorridendogli.
Nico diventò rosso, non era proprio brutto, ma con le ragazze era sempre stato abbastanza sfigato; una qualsiasi gentilezza, lo lusingava tantissimo, ma non bastava a fargli perdere quella riservatezza che utilizzava come difesa. Abbozzò un sorriso, sussurrò un ringraziamento e si allontanò.
Dopo essersi seduto a un tavolone della biblioteca aprì il libro.
La pagina la sapeva a memoria e iniziò a leggere.
«…Come ha osservato John Maynard Keynes, i ricavi del bottino riportato da Drake nel Golden Hind (valutati 600 mila sterline) consentirono a Elisabetta di estinguere interamente il suo debito con l’estero, e in aggiunta investire circa 42 mila sterline nella Compagnia delle Indie Orientali, – i cui utili durante il XVII e il XVIII secolo costituirono a loro volta la base principale delle relazioni estere dell’Inghilterra…».
Il ragazzo si fermò un istante, ripensò alla richiesta di dottorato che aveva inoltrato un mese prima alla London School of Economics, e gli venne in mente il motto della prestigiosa Università, «to Know the Causes of Things» e si chiese cosa fosse la realtà… – Forse che anche tra gli avi di Mister Sunderlands (il chairman della LSE) c’erano stati dei pirati?
Salì di qualche riga sul testo e riprese a leggere. «…Questa rapida espansione della potenza navale inglese non sarebbe stata possibile senza il contributo dei mercanti, dei pirati e dei contrabbandieri inglesi, che erano poi spesso le stesse persone… Elisabetta, destreggiandosi prudentemente, li sconfessava all’occorrenza e li favoriva in segreto…».
Guardò l’orologio, era tardi e il suo turno alla reception del Grande Bretagne sarebbe iniziato tra meno di un’ora.
28 Febbraio, 19:00 Salonicco, scantinato dei Konstantakis
«Ragazzi, dobbiamo parlavi di una roba importante».
Ares, Nico, Christos, Petros e Vassy erano stipati nell’orribile cantina sotto le caldaie condominiali. Nella stanza cupa c’era un tavolo, con al centro una bandiera greca, attorno, appoggiati sui muri, mobili realizzati con vecchi pezzi di legno ammuffiti e ricoperti di polvere e sugli loro scaffali barattoli di pomodoro e vecchi arnesi da lavoro.
«Oh, dove sono le bici da smontare?». Disse Petros.
«Non c’è nessuna bici. Era solo una cazzata che ho scritto su whatsapp per attirarvi, altrimenti non sareste mai venuti…».
Petros, Christos e Vassy lo guardarono infastiditi strizzando gli occhi.
«Cazzo dici?». Disse subito Christos.
«Voglio parlarvi di un progetto che ho in mente. Premetto che è illegale e folle, quindi se non volete sentirlo, andate via adesso, perché dopo… non una parola».
«Vuoi rapire lo stronzo?». Disse Vassy sorridendo.
«Lo stronzo chi?». Chiese Nico.
«Kalogirou. Il bastardo che ci ha licenziati, dai Nico lo conosci anche tu». Rispose Vassy.
«Ma no… quel coglione non ha più un euro, almeno qui in Grecia, in Svizzera non so… è veramente sul lastrico e non lo invidio». Disse Ares.
«Allora che cazzo è ‘sta storia…ce lo dici o no?». Fece Christos.
Lo sguardo di Ares s’incupì. «Voglio la vendetta, per noi e per la Grecia».
«Creeremo una squadra di volontari greci, sabotatori, per fare quella che una volta si chiamava guerra di corsa». Aggiunse Nico.
«Una che?». Disse Vassy.
«La guerra di corsa». Nico si mise a spiegare. «Quando i corsari, derubavano le navi degli alti paesi per favorire il loro, quella era la guerra di corsa. Una strategia di combattimento inventata da un pirata inglese, Francis Drake, che si fece appunto dare una lettera di corsa dalla Regina Elisabetta. Diventò così un corsaro, passando ufficialmente da criminale a Sir. Continuando a divertirsi come sempre, saccheggiando e tagliando gole…
«Ancora questa stronzata dei pirati, ma voi Konstantakis che diavolo avete in testa?». Urlò Petros. Christos rideva e Vassy rimase stranito.
«Io me ne vado! Non perdo tempo con queste stronzate!». Fece Petros. «Vado all’ufficio di collocamento, le vostre puttanate non le voglio neanche sentire…».
Nico lo provocò. «Non ti assumerà nessuno lo sai benissimo, vatti a fare un corso di olandese piuttosto almeno puoi andare a pulire i cessi con tuo zio…».
«Stai zitto ragazzino!» urlò Petros – Ares fulminò il fratello con lo sguardo – Petros continuò. «Tu della vita non sai un cazzo, che ne sai te cos’è il lavoro…».
Christos intervenne. «Nico ha ragione nessuno ti assumerà, lo sai che qui non c’è più niente».
Ares cercò di smorzare la tensione. «Dai ragazzi, oramai siete qui, almeno fatemi finire». Proseguì. «Io non vi sto dicendo di entrare in un film di pirati e cazzate varie, vi sto solo dicendo di fare azioni simboliche, di vendicarci contro chi sta affamando la Grecia…tipo i tedeschi!».
«…Bastardi!». Fu il commento unanime dei ragazzi. Solo Nico rimase in silenzio. Li osservava compiaciuto, sapeva che Ares aveva un ascendente su di loro. Tra il lavoro, lo stadio e una vita passata assieme, era lui il loro capo.
Ares aveva carisma ed esercitava potere tra quei ragazzi, questo era innegabile e Nico lo sapeva.
Nico riprese. «Rivendicheremo le nostre azioni con comunicati stampa, manderemo messaggi ai giornali e ai politici, dobbiamo trovarci un nome e tutto il resto, poi vedremo come le cose si evolveranno».
«Ma cosa speri di ottenere?!». Chiese Vassy guardando i Konstantakis come se stesse parlando a due pazzi.
«Elaboreremo delle richieste da fare ai governi europei». Disse Nico. «Le ho già scritte, sono qui». Gettò sul tavolo i fogli che stringeva in mano.
Christos ne prese uno e lesse lentamente, ad alta voce. «Dichiarazione di Guerra…».
Christos sorrise, guardò gli altri e fissando Nico negli occhi disse. «Ragazzino, tu sei tutto scemo…».
Nico stava recitando una parte, si sentiva una specie d’ideologo, usava il suo sapere per istigare quei ragazzi, più grandi e forti di lui. Questa sensazione gli dava un certo autocompiacimento.
Rimase stupito quando nessuno fece obiezioni leggendo le sue ridicole: «Condizioni di pace ai governi europei» che aveva scritto nel suo documento, sarcasticamente intitolato: «Dichiarazione di Guerra».
Nessun governo avrebbe mai neanche letto i loro proclami, figurarsi prenderli in considerazione.
Quel giorno Nico si rese conto di come la sua percezione della realtà fosse diversa da quella del fratello, e dei suoi amici. Lui stesso non avrebbe mai potuto prendere seriamente ciò che aveva scritto. Loro invece l’avevano fatto. Nico capì il potere che l’ingenuità conferiva agli uomini, e non osò chiedersi dove sarebbero andati a finire.
29 febbraio, 04:40, E90 autostrada Salonicco-Istanbul, km 47.
La stazione di servizio era deserta. La temperatura notturna sui 3 gradi. Eric fermò il tir, aveva lasciato Hannover circa 7 ore prima e questa era la sua prima pausa. Scese dalla motrice in maniera sgraziata, grattandosi la pancia. La schiena gli faceva male, le sue grasse braccia erano diventate pesanti dopo le ore passate al volante.
Il camionista si guardò attorno. Il distributore era deserto. Prese la bottiglia di aranciata che teneva sempre sotto i sedili e diede un lungo sorso. Beveva sempre prima di pisciare per evitare la disidratazione – così gli avevano insegnato nell’esercito.
Si guardò ancora una volta le spalle e andò dietro il rimorchio, voleva pisciare senza essere visto dalla strada.
A un tratto sentì un fruscio. Dietro il rimorchio, dove la luce dei lampioni non arrivava, Eric non poteva vedere nulla. Il rumore durò pochi secondi.
Tornò alla postazione di guida e tirò la maniglia del portellone per risalire sul tir. Era bloccata, provo più forte e in quel momento sentì l’odore del silicone sparso lungo tutto il portellone. Sentì il panico entrargli nel sangue. Si guardò attorno con rapidi scatti. Non aveva nulla con sé, chiavi, cellulare – il suo coltello – era tutto rimasto nella motrice. Stava sudando freddo. Corse a controllare le porte del rimorchio. Tutto era perfettamente in ordine, toccò per cercare se ci fossero tracce di silicone. Niente, tutto pulito.
Ora un altro rumore, di nuovo quel fruscio; questa volta proveniva dal muso del camion, si precipitò verso la motrice urlando insulti in tedesco, ma fece solo in tempo a vedere due sagome scure che si perdevano tra gli alberi.
Sembravano due spettri con qualcosa arrotolato in testa, come una sciarpa, una bandana. Non riusciva a capire nulla di quello che stava succedendo, si rigiro verso il camion e si bloccò.
Cera una scritta blu sul parabrezza ed era in inglese: «Congrats mate! You Have Just Met The Ares’ Dogs».
In quel momento Eric fu travolto da un’esplosione, un’enorme vampata di calore lo pervase. Le fiamme circondavano il suo tir.
Scaraventato a terra, mentre si rotolava sull’asfalto sentì qualcosa attaccarglisi ai vestiti impregnati di sudore. Si rese conto di essere disteso su un tappeto di volantini che prima non c’erano.
Stordito e spaventato ne raccolse uno, lo usò per asciugarsi le gocce di sudore che gli colavano dal naso quindi lo lesse:
In nome e per conto del Popolo Greco, al giudizio di Dio e della legge di giustizia e concordia, Noi, i Cani di Ares, ti abbiamo colpito secondo l’onorevole codice della Guerra di Corsa, come codificato dal nostro esimio collega il capitano Morgan. Per l’onore della Grecia! Lunga vita a Capitan Ares! |
Continua…