La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Dall’avanzamento a est del fronte governativo all’assedio di ISIS a Raqqa, dal rafforzamento straniero in Siria al possibile nuovo intervento turco, in che direzione sta andando il conflitto?
Nelle ultime settimane il conflitto siriano ha subito significativi sviluppi sia militari che politici. In questo Siria Report analizzeremo i primi, per capire come si è evoluta la situazione sul terreno e i rapporti di forza tra i vari attori. Nel prossimo Siria Report, in uscita domani, analizzeremo invece quali sono le implicazioni a livello politico e cosa ci si deve aspettare.
Raqqa
Il fronte a guida curda delle SDF, sostenuto dai raid aerei della Coalizione Internazionale, è riuscito a penetrare nel centro di Raqqa, dove si stima che i miliziani dell’ISIS siano un migliaio. Secondo un comandante delle SDF, Nowruz Ahmed, la battaglia per Raqqa potrebbe essere vinta nel giro di due mesi. Nell’assedio sono intrappolati anche tra i 18.000 e 25.000 civili, che come denuncia un recente rapporto di Amnesty International sono assediati tra il fuoco e le mine dell’ISIS, che spara a chiunque tenti di fuggire, l’artiglieria delle SDF e le bombe della Coalizione: sono centinaia le vittime civili.
“I civili intrappolati nella battaglia per Raqqa”, di Amnesty International.
La presa di Raqqa sarà cruciale per sconfiggere militarmente l’ISIS, che ha perso anche Mosul in Iraq. La leadership delle SDF ha però dichiarato che dopo Raqqa non hanno piani per muovere su Deir ez Zor, l’altra città siriana in parte in mano a ISIS su cui si sta concentrando l’offensiva lealista, e che non ci sono state discussioni a riguardo con la Coalizione.
Deir ez Zor
È il fronte governativo delle truppe siriane, iraniane e di Hezbollah, con sostegno aereo russo, che sta muovendo su Deir ez Zor, assediata dall’ISIS, e che nelle ultime settimane è avanzato verso est conquistando un villaggio dietro l’altro nelle province centrali di Hama e Homs, dove i civili intrappolati hanno pagato un prezzo molto alto come a Raqqa. In particolare gli sforzi del fronte governativo sono concentrati sul villaggio di Uqayrbat, a est di Hama, ultimo bastione di ISIS nella Siria centrale, ma ciò non sta impedendo l’avanzata verso Deir ez Zor, quasi raggiunta proprio nelle ultime ore dalle forze governative. La battaglia per Deir ez Zor potrebbe rivelarsi più decisiva di quella per Raqqa, soprattutto per i rapporti di potere all’interno del conflitto, perché riporterebbe sotto Damasco tutta la Siria centrale e quasi tutta quella orientale, nonché la zona con i principali pozzi petroliferi del Paese.
Secondo alcuni analisti, il fronte governativo potrebbe non avere sufficienti risorse umane per sconfiggere ISIS in una città grande come Deir ez Zor, ma la sua rapida avanzata verso est e la mancanza di piani da parte della Coalizione Internazionale su Deir ez Zor, ora concentrata su Raqqa, suggerisce che sarà il regime a riprendere la città. Un funzionario del CENTCOM, il Comando Centrale USA di base a Tampa, ha espressamente dichiarato che Deir ez Zor “non è nostro compito. Siamo qui per aiutare le SDF guidate dai curdi a sconfiggere ISIS. Una volta fatto, la missione è compiuta”.
Idlib ed Efrin
Idlib resta l’unica provincia in mano ai ribelli, dove oggi predomina Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), una coalizione di fazioni islamiste che si sono unite all’ex Nusra nel gennaio 2017 e che ha progressivamente eliminato le fazioni ribelli più moderate. Il gruppo islamista Ahrar al Sham è stato per mesi il suo principale rivale (nonostante molti suoi membri siano passati a HTS) ed è stato sconfitto a luglio con la conquista da parte di HTS della città di Idlib e del valico di frontiera turco Bab al-Hawa, principale via di rifornimento per Ahrar al Sham.
Di fronte all’ascesa di HTS la popolazione civile appare divisa, tra chi si rassegna perché HTS resta uno dei maggiori gruppi ribelli contro il regime siriano, che ha messo la popolazione in ginocchio con anni di bombardamenti e massacri e che quindi è visto come la minaccia principale, e chi invece si oppone e manifesta in strada contro l’avanzata islamista, pagando il prezzo della repressione. Ad esempio, il 12 agosto la sede della Protezione Civile Siriana (i noti Elmetti Bianchi) è stata attaccata da ignoti assalitori che hanno giustiziato sette volontari.
L’avanzata di HTS aveva già a luglio suscitato la preoccupazione di Ankara, che sosteneva Ahrar al Sham. Da settimane la Turchia stava valutando un nuovo intervento, dopo la fine di Operazione Scudo sull’Eufrate, contro i curdi dell’YPG della provincia di Efrin per collegare Idlib alla zona cuscinetto dei ribelli lungo il confine nord con la Turchia e per farlo contava su Ahrar al Sham e fazioni alleate. Con la loro sconfitta, la Turchia potrebbe intervenire direttamente. Teme infatti che dopo la liberazione di Raqqa le milizie YPG si concentreranno a ovest, per connettere il Rojava a Efrin e consacrare de facto un Kurdistan.
Il 5 agosto, nella città di Malatya, il premier turco Erdogan ha annunciato: “Siamo determinati a spingere più a fondo il pugnale che abbiamo piantato nel cuore del progetto del gruppo terroristico in Siria con nuove mosse”.
Il riferimento è all’YPG curdo e la nuova operazione dovrebbe chiamarsi, secondo la stampa turca, “Spada dell’Eufrate”. La Turchia ha dispiegato un massiccio numero di forze armate lungo il confine siriano e sebbene dal 5 agosto non vi siano state altre dichiarazioni, un intervento militare turco non è affatto da escludere. A complicare le cose però ci sarebbe un recente accordo tra YPG curdo di Efrin e Russia in base al quale truppe russe verranno presto dispiegate a Efrin per “garantire la sicurezza”. Sarebbe solo l’ultimo tassello di un quadro di cooperazione più ampio che nell’est della Siria è in atto da tempo.
Damasco e la Ghouta orientale
La zona della Ghouta orientale è l’ultima roccaforte ribelle nell’area della capitale ed è per questo sotto assedio da anni da parte del fronte governativo. È tra quelle aree che l’accordo di Astana ha definito come zone di de-conflitto ma, nonostante il cessate il fuoco, si sono registrati raid del regime siriano, che hanno mietuto vittime civili. In risposta, anche i ribelli hanno lanciato razzi verso la Damasco governativa, causando vittime. Per garantire il rispetto dell’accordo, a fine luglio la Russia ha dispiegato alcune forze di polizia nella Ghouta orientale (così come a Homs).
Tuttavia, l’artiglieria del regime siriano continua a colpire diversi distretti, soprattutto Jobar e Ain Terma, e la condizione dell’accordo che prevedeva l’apertura di corridoi umanitari non è stata rispettata.
A complicare la situazione, ci sono anche gli scontri tra le forze ribelli della Ghouta e HTS. Il gruppo maggioritario è infatti l’islamista Jaish al Islam, seguita dalla sua rivale FSA Faylaq al-Rahman. Minor presenza ce l’hanno invece Ahrar al Sham e HTS. L’offensiva del regime siriano, invece di unificarli, ha acuito le rivalità e gli scontri. Nonostante tutto, la popolazione civile cerca di sopravvivere e il 25 luglio ci sono persino state le prime elezioni libere della zona, a Sabqa. Tuttavia, la situazione resta in stallo, soprattutto dal momento che il regime sta concentrando gli sforzi bellici verso est.
Deraa
Anche la provincia di Deraa è tra le concordate zone di de-conflitto ma è anche il fronte in cui il cessate il fuoco è stato meno rispettato. Il regime siriano ha infatti lanciato un’offensiva, aerea e terrestre, per riconquistare la provincia, in gran parte in mano ai ribelli FSA, ma con una minor presenza di ISIS lungo il confine con il Golan, occupato dal 1967 da Israele. La recente offensiva del regime ha tagliato la principale via di rifornimento delle zone ribelli a sud di Suwayda, lungo il confine giordano, causando una grave crisi umanitaria. Migliaia di civili sono fuggiti e secondo stime ONU 50mila persone, per lo più donne e bambini, sono bloccati sul confine giordano, in una sorta di terra di nessuno dopo che Amman ha chiuso i confini nel 2016, senza cibo, acqua e medicine ed esposti ai combattimenti.
Che implicazioni ha tutto questo sullo scenario politico del conflitto? Ne parleremo nel prossimo Siria Report.
di Samantha Falciatori