Si stima che solo il 5% degli attacchi russi in Siria abbia finora colpito obiettivi riconducibili a ISIS. Quali sono dunque le intenzioni di Mosca? In questo pezzo vi spieghiamo con mappe e numeri cosa si sa della prima operazione militare russa in Medio Oriente dal 1967.
Dopo una lunga estate di frenetica attività diplomatica, durante la quale la Russia ha provato a proporre una soluzione politica al conflitto siriano, Mosca è passata alla soluzione militare in Siria, dopo aver ricevuto la richiesta formale di intervento da parte del Presidente siriano al-Assad. L’intervento russo si inserisce in un contesto militare già parecchio complicato. Sul cielo siriano oggi volano le aviazioni militari di diversi paesi: Stati Uniti, Francia, Giordania, Turchia, Russia, Gran Bretagna e in alcune occasioni anche Israele (che nel 2013 bombardò più volte convogli di armi per Hezboallh in territorio siriano). La situazione sul campo, aggiornata al 4 ottobre, è quella rendicontata dalla seguente mappa.
Il 30 settembre 2015, a poche ore dall’approvazione formale da parte della Duma russa dell’uso della forza militare in Siria, l’aviazione ha iniziato i bombardamenti in territorio siriano, un’ora dopo averlo comunicato anche agli USA tramite l’ambasciata russa a Baghdad. Questa azione militare era probabilmente in progetto da mesi: nelle ultime settimane Mosca aveva inviato in Siria aerei, piloti, consulenti, personale logistico e tecnico. Putin ha motivato l’intervento all’ONU sostenendo, tra le altre cose, che si tratta di operazioni aeree contro lo Stato Islamico e ha invitato altri Paesi, USA in primis, a unirsi ai suoi sforzi.
Se però si vanno ad analizzare i target dei primi bombardamenti russi in territorio siriano, si può facilmente notare come nelle aree maggiormente colpite non si registri la presenza di ISIS.
ISIS occupa infatti i territori orientali e centrali della Siria, indicativamente da Hasaka a Palmyra – dove proseguono le distruzioni di simboli storici del passato siriano -, cioè zone prevalentemente desertiche, sebbene ricche di pozzi petroliferi. Le zone colpite dai caccia russi, invece, si trovano prevalentemente a occidente, nelle province di Homs e Idlib, cioè in zone che circondano le aree costiere (sotto controllo governativo), rette da varie fazioni dell’opposizione siriana.
Homs
I primi bersagli degli strike russi sono stati i sobborghi di Talbiseh e Rastan, nei pressi di Homs, dove corre l’autostrada più importante di tutta la Siria, la M5, che collega Aleppo-Hama-Homs-Damasco-Deraa.
Nella città di Homs opera la Tahrir Homs (o Free Movement Homs), una brigata del Free Syrian Army, che nei bombardamenti ha perso un suo comandante, Iyad al-Deek, ex-Capitano dell’esercito siriano che disertò e si unì all’FSA all’inizio della Rivoluzione. Come ha dichiarato un comandante dell’FSA operativo a Rastan:
“L’unica spiegazione per bombardare noi è che stanno inviando un messaggio per dire che vogliono tutta Homs. Vogliono schiacciare qualsiasi presenza dell’opposizione a Homs, forse per puntellare la costa. I loro aerei da guerra sono nuovi e avanzati, tanto che non hanno bisogno di volare basso per bombardarci, come possiamo respingerli? Non possiamo abbatterli. L’unica soluzione è che i combattenti e i civili abbandonino Homs. Questo è quello che vogliono.”
Questo video mostra la Protezione Civile nel sobborgo settentrionale di Talbiseh mentre soccorre i feriti; invece quest’altro mostra gli effetti degli attacchi aerei nella stessa zona. La Protezione Civile sta divulgando molte foto relative ai bombardamenti russi che si possono trovare qui. Il Ministero della Difesa Russo, intanto, ha diffuso un video che mostra alcuni degli strike visti dall’alto. Sembrerebbero cluster bomb, di certo non bombe a guida attiva. A giudicare dalla morfologia del territorio dove sono state sganciate è credibile pensare che lo siano, poiché la zona appare poco densa di strutture, e in questi casi, con obiettivi “rarefatti”, le bombe a grappolo sono più efficaci. Altri video stanno emergendo circa il loro uso da parte dell’aviazione russa (come questo), che mostra inequivocabili munizioni a grappolo sganciate su Kafr Halab (Aleppo), altra zona dove non si registra presenza di ISIS.
Bisogna rilevare che né Stati Uniti né Russia hanno firmato la convenzione di messa al bando di questo tipo di armamenti. Ciò nonostante questi ordigni hanno effetti devastanti sulla popolazione civile, molto più delle cosiddette “bombe intelligenti”, convenzionalmente più utilizzate in scenari di guerra asimmetrica. Il loro uso è considerato un crimine di guerra da molti Stati della comunità internazionale. La Cluster Munition Coalition, un gruppo internazionale di ONG che lavora per la messa al bando delle bombe a grappolo, ha già esortato la Russia a non usare queste armi. Potete leggere la lettera indirizzata a Putin a questo link. Per avere un’idea sulle altre munizioni usate, questo video mostra un ordigno russo inesploso sganciato su Talbiseh. Secondo la Protezione Civile siriana si tratterebbe di “bombe termobariche”, bombe convenzionali tra le più potenti, peraltro già impiegate dall’inizio del conflitto dal regime di Damasco.
More footage of the cluster munitions dropped by Russian jets on non-ISIS targets in Kafr Halab, #Aleppo, #Syriapic.twitter.com/xRMmCyLOq7
— Sami (@Paradoxy13) 4 Ottobre 2015
Secondo il comunicato dell’ospedale di Talbiseh, i quartieri colpiti dai bombardamenti russi erano quartieri civili senza alcuna presenza militare. La zona inoltre resta sotto l’amministrazione dell’FSA senza alcuna presenza di ISIS.
Anche il comunicato della Protezione Civile Siriana di Homs denuncia i bombardamenti russi e del governo siriano su zone civili e in particolare sui team di soccorso, tra cui si sono registrate delle vittime. Potete leggere le reazioni dei soccorritori della Protezione Civile con ulteriori foto e video qui.
Hama
Hama è stata il secondo bersaglio, nel sobborgo di Al-Lataminah, dove opera la brigata dell’FSA Tajama’a al-Izza, attiva nelle province di Hama, Idlib e Aleppo, che in passato ha ricevuto missili anti-carro molto probabilmente dal Turkish Military Operations Command. Anche l’area sul fronte orientale della provincia di Latakia, al confine con le zone controllate dai ribelli, è stata bombardata. Il bilancio del primo giorno di bombardamenti, secondo il Syrian Observatory for Human Rights, è stato di 27 morti, che diventano 34 (10 bambini, 7 donne e 17 uomini) secondo il conteggio della Protezione Civile Siriana.
Idlib
Il secondo giorno i bombardamenti si sono concentrati nella provincia di Idlib, a Jisr Al-Shughour e Jabal Al-Zawiyah, caduta interamente in mano all’opposizione nel maggio 2015. Qui lo spettro delle fazioni dell’opposizione è più ampio: vi opera una coalizione, l’Army of Conquest, finanziato dall’Arabia Saudita e dalla Turchia, che comprende FSA, Al-Nusra e battaglioni del Fronte Islamico. Non vi è tuttavia alcuna presenza di ISIS. Anzi, questa coalizione è in guerra con ISIS e negli ultimi 18 mesi i loro successi militari contro il Califfato sono stati maggiori di quelli del governo siriano, in special modo nella zona di Aleppo (per sapere “chi combatte chi” nell’intricato scenario siriano consigliamo questa lettura dal New York Times). Questa eterogenea coalizione, premendo su Latakia – area di origine delle comunità alawite e terra natale di Assad – è la minaccia più impellente per il governo siriano. Lo dimostrano i frequenti bombardamenti, anche al gas clorino, nell’area della provincia di Idlib. È stata colpita anche la piccola cittadina di Kafranbel, che non vede presenza né di ISIS, né di Nusra, né di fazioni islamiste, ma dell’FSA. Kafranbel è la capitale artistica della Rivoluzione; ogni venerdì, dal 2011 a oggi, gli abitanti della cittadina scendono in strada con banner e vignette colorate esprimendo pacificamente la loro opposizione al regime di Assad, a ISIS e a Nusra. Tra i bombardamenti russi del primo ottobre ne sono stati rilevati alcuni alla periferia della cittadina, nei pressi delle rovine romane, come testimonia questo video.
Il 3 ottobre i bombardamenti russi su Ehsim (Idlib) hanno colpito un team di soccorso della Protezione Civile Siriana, ferendo uno dei volontari e uccidendone un altro, come mostra questo video. Anche in questa zona non si rileva presenza di ISIS.
Raqqa
Anche la provincia di Raqqa, roccaforte nonché auto-proclamata “capitale” di ISIS, è stata bombardata: colpito un campo di addestramento a Maadan Jadid, a 70 km a est di Raqqa, e una postazione di comando a Kasrat Faraj, a sud-ovest. Questi ultimi strike, che hanno ucciso 12 jihadisti, sono di sicuro i più coerenti con il discorso pronunciato all’ONU dallo stesso Putin. Tuttavia, secondo le ultime stime, solo il 5% dei bombardamenti russi ha colpito obiettivi di ISIS. La Russia nega di aver colpito i civili, ma quando si bombarda zone rette in mano all’opposizione – come quelle colpite nei recenti strike – evitare vittime civili collaterali è pressoché impossibile, per il semplice fatto che l’opposizione amministra città e villaggi densamente popolati. In questa prima fase della missione russa, ISIS appare, ad una fredda analisi dei numeri, come target secondario. La Russia sta bombardando – non sorprendentemente, peraltro – aree sensibili per i propri interessi nazionali, comprese fazioni ribelli moderate e jihadiste che hanno il controllo di aree vicine alle zone costiere.
Non potendo negare di aver bombardato zone dove ISIS non c’è, il Cremlino ha ammesso che i suoi aerei stanno colpendo anche altre fazioni di “terroristi”. Se da un lato è vero che Al-Nusra non ha mai rinnegato la sua affiliazione ad Al-Qaeda, dall’altro è pur vero che le fazioni moderate dell’FSA, composte principalmente da disertori dell’esercito siriano, non sono fazioni terroristiche, e che la condivisione degli stessi fronti con Al-Nusra è dovuta più a esigenze di tipo tattico-militare che ideologiche. Sia i gruppi più o meno islamisti che le opposizioni moderate dell’FSA stanno combattendo ferocemente l’ISIS sul fronte nord di Aleppo ed un eventuale impegno prioritario russo contro ISIS finirebbe per avvantaggiare i fronti ribelli presenti a ridosso delle aree sensibili costiere, dove risiedono i principali interessi nazionali russi, cioè il puntellato governo di Assad, i porti e le basi militari di Tartous e Latakia. Questa eterogenesi dei fini tra i ribelli moderati e gli islamisti regala però un facile assist a Putin e Assad, con diverse implicazioni strategiche.
La Russia ha preventivato la durata del proprio impegno militare diretto intorno ai 3/4 mesi, tempo evidentemente non sufficiente a “estirpare” la minaccia dell’ISIS dalla Siria. Questo orizzonte strategico evidenzia anche la consapevolezza russa che impelagarsi in una guerra “on the ground” in Medioriente sarebbe molto rischioso. Alcuni analisti riportano di truppe di terra iraniane pronte per essere impiegate in controffensive di terra in Siria, al fianco dell’esercito governativo di Assad. Controffensive che presumibilmente si concentreranno nella prima fascia ad est delle zone costiere sotto controllo governativo. La Russia quindi non sembra intenzionata a impegnarsi direttamente sul terreno con truppe di terra – come sembra dimostrare il quantitativo piuttosto limitato di uomini e mezzi trasferiti in Siria; circa una cinquantina tra aerei ed elicotteri, duemila uomini e poche decine di mezzi corazzati e anti-aerei – e lascerà eventualmente che siano altri ad occuparsene, anche se alcuni parlano di “volontari” russi pronti ad andare in guerra al fianco delle truppe siriane. C’è comunque un interessante precedente, che mette forse nella giusta prospettiva l’intervento russo in Siria.
Come ha ricordato il Washington Post, l’ultimo intervento russo (o meglio, sovietico) in Medioriente risale al 1967, quando a seguito di diversi tentativi di colpi di stato e rovesciamenti di fronti in Yemen (tra repubblicani filo-sovietici e monarchici filo-sauditi), Chruščëv decise di intervenire direttamente a supporto delle fazioni yemenite alleate. Secondo Mark Katz, professore della Mason University, l’intervento sovietico in Yemen ha delle similitudini con quello russo in Siria: Putin starebbe tentando di evitare il crollo definitivo di un regime alleato, sfruttando le divisioni dei suoi nemici. In Yemen alla fine degli anni ’60 la situazione si stabilizzò a favore dei sovietici a seguito di un ennesimo colpo di stato effettuato da frange repubblicane moderate ai danni delle frange repubblicane più estremiste. Katz prende spunto da questo fatto per evidenziare quella che potrebbe essere l’exit strategy anche del conflitto siriano: Putin potrebbe presto mettere da parte Assad in nome degli interessi nazionali russi, facilitando così gli accordi di pace tra le fazioni che ne vorranno far parte. Questo era peraltro lo scenario che la nostra rivista aveva delineato a settembre.
La Russia ha incassato il favore non solo di parte dell’opinione pubblica occidentale (quella stessa opinione pubblica che nel settembre 2013 si oppose all’intervento militare americano contro Assad, quando quest’ultimo usò le armi chimiche a Ghouta), ma anche della Chiesa Ortodossa che ha dato la sua benedizione a quella che definisce una “guerra santa”. Anche l’Egitto di Al-Sisi si è detto favorevole all’intervento russo e alcuni analisti americani vedono cinicamente come un fatto positivo che la Russia si vada ad impantanare in questioni mediorientali mentre gli Usa se ne vorrebbero tirare fuori definitivamente. Intanto, il 4 ottobre Assad ha dichiarato alla TV iraniana Khabar TV “se lasciare le mie funzioni è la soluzione, non esiterò a farlo”. Non è chiaro che valenza questa dichiarazione possa avere, visto che potrebbe anche significare che la sua messa da parte non contribuirebbe alla soluzione del conflitto.