Di Christian Piscopo
Il 9 dicembre, l’uscente Presidente argentino Cristina Fernández de Kirchner ha ringraziato tutti i suoi sostenitori davanti alla Casa Rosada. Dopo otto anni di governo, preceduti da altri quattro del suo defunto marito Néstor Carlos Kirchner (di cui Cristina porta il cognome), il mandato presidenziale passa al conservatore neoliberale Mauricio Macri, che ha vinto le elezioni il 22 novembre e che si ritrova alla guida di un paese polarizzato e che non se la sta passando benissimo.
Il mancato passaggio di testimone. È la prima volta dalla fine del regime militare nel 1983 che un ex-Presidente non partecipa alla cerimonia d’insediamento di quello nuovo. Secondo uno degli assessori più vicini a Cristina Fernández de Kirchner, questa assenza avrebbe una spiegazione costituzionale: il mandato della Kirchner terminava alle 23.59 del 9 dicembre, mentre l’insediamento di Macri sarebbe avvenuto alle 12.00 del 10 dicembre, perciò, in quel frangente di tempo, non sarebbe esistito un “Presidente formale”. Più che una questione burocratica, l’evento per il passaggio della fascia presidenziale sembra esser stata una pretesa del nuovo Presidente, che ha anche scherzato sul fatto che i fotografi avrebbero dovuto sgomitare per scattare la foto migliore. Ovviamente questa battuta non è stata gradita dal Presidente uscente, che avrebbe perciò elaborato questo “stratagemma” burocratico per non dare un palco all’oppositore politico.
Si cambia. Mauricio Macri, figlio di un ricco imprenditore italo-argentino, si scansò dall’ombra del padre a 37 anni, quando nel 1995 diventò il Presidente della squadra di calcio Club Atlético Boca Juniors. Come Silvio Berlusconi e George W. Bush, passò dall’imprenditoria alla politica, transitando per lo sport. Diventò deputato e nel 2007 venne eletto sindaco della capitale argentina, Buenos Aires, dove posizionò intorno a sè amministratori delegati delle imprese di famiglia.
Il risultato elettorale mette fine a dodici anni di governi peronisti dei Kirchner, emersi sulla scena dopo il crollo dell’economia argentina tra il 2001 ed il 2002. Crolla quindi il mito secondo cui solo il peronismo può vincere le elezioni in Argentina.
Macri sembra pragmatico e poco legato a prese di posizione ideologiche; il suo atteggiamento è stato fin ora volto al dialogo e alla concertazione. In campagna elettorale ha promesso di liberalizzare il mercato e di regolarizzare i conti del Paese, di abbassare le tasse e togliere i vincoli presenti nel sistema economico sul controllo dei capitali (che ad esempio proibiscono agli argentini di ritirare monete estere anche quando si trovano all’estero). Questa svolta sembra annunciare un avvicinamento ai paesi più liberali e a crescita più elevata, quali Cile e Perù, e un legame più stretto con Stati Uniti ed Unione Europea.
Nuove sfide. La società argentina è polarizzata, tanto che la vittoria di Macri è stata solo del 51,4%. Questa divisione la ritroviamo all’interno delle due camere del Parlamento argentino dove il partito Cambiemos del nuovo Presidente non possiede la maggioranza. Per governare sarà necessario negoziare anche con i peronisti più fedeli del Presidente uscente.
Per quanto riguarda la situazione fiscale, le casse dello Stato sono state prosciugate, e gli investitori aspettano l’annuncio di nuove riforme, necessarie anche alla credibilità del Paese. Intanto, il processo di liberalizzazione del mercato dovrà essere cauto e graduale per evitare una brusca svalutazione del peso argentino (moneta sopravvalutata artificialmente dal cambio ufficiale deciso dal Governo del 12% rispetto al dollaro) e un’innalzamento ulteriore dell’inflazione, oggi al drammatico tasso del 24%. I sindacati, preoccupati per la situazione, hanno già chiesto un aumento salariale.
Per far fronte a queste circostanze un economista vicino al Presidente ha suggerito di tagliare i sussidi all’energia, dato che al momento il prezzo della bolletta della luce è più economico che un caffè. Laddove i sussidi venissero tagliati, le bollette dell’elettricità aumenterebbero in media del 720%.
Fortunatamente il nuovo Presidente non riceve solo eredità negative. A causa della chiusura del mercato interno, la disoccupazione è scesa al di sotto del 6%, il livello più basso degli ultimi 28 anni. Inoltre, il debito pubblico ammonta a solo il 7% del PIL, una cifra record per l’America Latina, ma che va letta come una incapacità di tornare pienamente sui mercati internazionali (con limitate possibilità di ottenere prestiti) a seguito dei crack finanziari degli anni passati.
Resta il fatto che dopo tanti anni, l’Argentina sarà governata da un imprenditore che, con le parole del padre Franco Macrì: «Ha la testa per essere Presidente, ma non il cuore».