Di Isabella Querci
Il 30 e 31 marzo si terrà l’udienza del collegio arbitrale istituito per la composizione del contenzioso tra Italia e India, con riferimento al caso Enrica Lexie. Nel frattempo ci sono stati alcuni sviluppi, che vi raccontiamo qui.
[ecko_alert color=”orange”]Nelle puntate precedenti[/ecko_alert]
I fatti che hanno dato origine a questa sfortunata vicenda sono a tutti noti. Hanno avuto inizio il 15 febbraio 2012, con alcuni colpi di arma da fuoco sparati da due militari della marina italiana impegnati in una missione anti-pirateria a bordo della petroliera Enrica Lexie, in direzione del peschereccio indiano St. Antony, che hanno ucciso due pescatori indiani, fatalmente scambiati per pirati. Da quel giorno in poi, la vicenda si è tinta di sfumature fosche ed è stata caratterizzata non solo da un’alta conflittualità tra le due parti (governo italiano e governo indiano), ma anche – e forse proprio a causa di questa – da una buona dose di mistero; essa fornisce inoltre importanti spunti applicativi per la complessa serie di rimedi giuridici messi a disposizione dal diritto internazionale del mare.
L’episodio conferma l’intricata rete, spesso invisibile all’occhio del consumatore di informazioni, che lega il diritto alla politica e al business internazionale. Parlare del “caso Marò”, per quanto odiosa risulti questa espressione, impone di trattare congiuntamente i tre aspetti, nella consapevolezza che, nonostante gli sforzi, la qualità dei dati accessibili alla fonte resta scarsa. Anche solo in riferimento al contesto fattuale, non esiste una versione univoca, sia sul momento in cui le due imbarcazioni hanno incrociato la loro rotta sia sulle vicende susseguenti, non ultime le indicazioni date a Girone e La Torre sui motivi in base ai quali veniva loro richiesto di raggiungere il porto (e la giurisdizione) indiana di Kochi nelle ore successive l’evento. I due, infatti, venivano arrestati e, mentre a La Torre era concesso di tornare in Italia per motivi di salute, Girone era e continua a essere “detenuto” in India.
[ecko_alert color=”orange”]Gli sviluppi e “l’Indialeak“[/ecko_alert]
Nell’ambito di questa vicenda è stato detto e fatto tutto e il contrario di tutto, ma i pasticciati rapporti tra Italia e India risalgono a prima dell’uccisione dei due pescatori. Nel 2010 Finmeccanica vinse, per il tramite della sua controllata Agusta Westland, l’appalto per 12 elicotteri, destinati trasportare le più alte cariche pubbliche indiane. L’intero affare venne presto travolto da accuse di corruzione, terminate con l’assoluzione di tutti gli imputati in Italia, mentre la procedura è ancora pendente in India. Nonostante questo, il colosso made in Italy si è in seguito assicurato anche la commessa indiana per la costruzione di siluri tecnologici, prodotti dalla Wass, società che controlla interamente. Ça va sans dire che ottenere il perdono del mercato indiano è una prospettiva che fa venire l’acquolina alla bocca all’industria degli armamenti italiana e sarebbe ingenuo pensare che il lobbying di una multinazionale del peso di Finmeccanica (che si inserisce a pieno titolo nel catalogo dei nuovi attori non-statali del diritto internazionale) non possa essere in grado di determinare gli esiti di una vicenda giudiziaria. Ma non finisce qui.
Fonti non direttamente verificabili aggiungono che, su mandato dell’attuale Primo ministro Modi, un canale di negoziazione sul pronto rilascio di Girone e La Torre sarebbe stato prospettato, in cambio di prove che leghino la famiglia Gandhi (e più specificamente la presidente del partito del Congresso Nazionale Indiano, Sonia Gandhi) allo scandalo degli elicotteri Agusta. Il leak su tutta la vicenda sarebbe imputabile a un agente britannico, ricercato dalle autorità indiane. Questi avrebbe inviato una lettera alle corti internazionali procedenti in cui afferma che tali profferte sarebbero state avanzate prima dal pubblico ministero indiano procedente nel caso Agusta e poi, direttamente, da Modi a Renzi, nei paraggi di un’Assemblea Generale all’ONU. Il che la dice lunga sulla funzione delle istituzioni internazionali.
Sempre in tema di asservimento della ragion pubblica alla contrattualistica, possiamo ricordare i motivi per cui l’Enrica Lexie ha attraccato al porto di Kochi e si è consegnata alla giurisdizione indiana, determinando l’arresto dei fucilieri. Alle fumose richieste della Guardia Costiera locale, infatti, il capitano della nave, che risponde al solo armatore della stessa, la Fratelli D’Amato, ha a questi obbedito e prontamente diretto la petroliera verso il porto, nonostante non fosse in alcun modo tenuto a farlo. Il ruolo giocato dalle autorità pubbliche italiane nella medesima decisione, invece, non è chiaro (le fonti mediatiche sono contrastanti, si veda qui e qui, e quelle ufficiali inesistenti).
Una narrazione obiettiva del fatto e del diritto, in questa vicenda, è impossibile: chi desiderasse farsi una cultura sulle bufale, può fare riferimento a Giap, che senza pietà sciorina le intemperanze di giornalettisti e politucoli.
Ci piace ricordare solo un paio di iniziative diplomatiche italiane.
- L’ intercessione del parroco locale per riavvicinare, da un lato, le famiglie dei due pescatori uccisi, entrambe di fede cattolica e, dall’altro, La Torre e Girone e i loro “sostenitori”;
- Il versamento di denaro in forma di donazione alle stesse famiglie da parte del governo italiano per cifre astronomiche (e non solo per una famiglia di pescatori indiani) che ha opportunamente determinato il ritiro della loro denuncia.
Tutto questo, purtroppo, non è verificabile alla fonte ma esistono decine di storielle e leggende a tema marò: dalla Ferrari che corre in India con la bandiera della Marina Militare italiana e poi dichiara che il suo non è un gesto politico, fino a La Torre che ferma un’automobile a mani nude per salvare la vita di un passante. Nella cornice di questa commedia degli equivoci, sullo sfondo, s’intravedere il diritto internazionale.
[ecko_alert color=”orange”]I processi internazionali[/ecko_alert]
Come molti sanno, in India sono iniziati diversi procedimenti a carico dei fucilieri e, in seguito, gli agenti italiani hanno dato avvio a un procedimento arbitrale, nella cornice della convenzione UNCLOS, il trattato in tema di diritto internazionale del mare. Questo significa che non sarà il Tribunale internazionale per il Diritto del Mare (cd. ITLOS, che si trova ad Amburgo) a giudicare, ma una commissione di arbitri, presso la Corte Internazionale di Giustizia all’Aja. La corte arbitrale, scelta “di comune accordo tra le parti”, è composta dall’italiano Francesco Francioni, l’indiano P. Chandrasekhara Rao, il coreano Jin-Hyun Paik, il giamaicano Patrick Robinson e il russo Vladimir Golitsyn, presidente dell’ITLOS.
L’Italia, nel dare avvio alla procedura, ha contestato la giurisdizione indiana sulla vicenda in base al principio di immunità del personale di uno Stato nell’esercizio delle sue funzioni all’estero e sulla base del principio cd. “dello Stato di bandiera”, che imputa la giurisdizione sui fatti avvenuti durante la navigazione al di fuori dei mari territoriali allo Stato di cui la nave, appunto, batte la bandiera. Chiaramente, la controparte indiana contesta in toto quanto sopra e ribadisce la propria competenza a giudicare circa la condotta dell’Enrica Lexie. Una questione particolarmente interessante è la presenza di militari italiani, quindi chiaramente personale pubblico, su una petroliera privata, sotto contratto con armatori privati, che prestano i loro servizi a difesa di interessi privati. Peculiarità addebitabile al governo Berlusconi e in particolare all’ex ministro della difesa La Russa, che nel 2011 ha introdotto la presenza dell’esercito a difesa di imbarcazioni private.
[ecko_alert color=”orange”]E ora?[/ecko_alert]
La correttezza formale delle richieste italiane è stata riconosciuta dalle corti internazionali, non senza una certa animosità; lo confermano le quattro dichiarazioni, cinque opinioni discordi e l’opinione separata, allegate all’ordinanza del 24 agosto 2015. La prima udienza del collegio arbitrale nominato dalle parti si terrà il 30 e 31 marzo presso il Palazzo della Pace, la sede della Corte Internazionale di Giustizia all’Aja, a porte chiuse, e di certo questa sarà la prima di un buon numero di altre udienze, prima che la vicenda venga definitivamente chiusa. Non sapremo mai cosa sia successo e perché; di fronte alla battaglia a colpi di perizie totalmente incompatibili l’una con l’altra, è ancora una volta chiaro che la verità è un discorso che si ferma sulla soglia dei Tribunali e poi – si sa – a noi genovesi le faccende di mare e di acqua fanno un po’ paura.