di Marta Furlan
Le perdite subite dall’ISIS in Siria e in Iraq sono compensate dall’espansione in Libia, che sta gradualmente emergendo come la nuova provincia del “califfato”.
Nel 2011 il Medio Oriente fu teatro di uno dei più significativi eventi politici degli ultimi anni: la Primavera Araba. Iniziata in Tunisia con il gesto disperato di Mohamed Bouazizi, l’ondata di protesta contro l’autoritarismo raggiunse presto Egitto, Libia, Bahrain, Yemen e Siria. Celebrata come l’evento che avrebbe spalancato al Medio Oriente le porte della democrazia partecipativa, la Primavera Araba si è invece rivelata una chimera: con l’eccezione della Tunisia, tutti i Paesi protagonisti del “risveglio Arabo” sono ora oppressi da regimi autoritari, come l’Egitto di al-Sisi e il Bahrain della famiglia Khalifa, o devastati da guerre civili, come la Siria, lo Yemen e la Libia.
In Libia la fine della dittatura di Gheddafi aveva diffuso speranze circa un futuro democratico, ma dalle elezioni del giugno 2014 il paese è diviso tra il governo di Tobruk – sostenuto dalla comunità internazionale – e quello di Tripoli – d’ispirazione islamica. Il Paese è poi attraversato da una guerra civile che ha finora resistito ogni tentativo di risoluzione.
Un passo avanti importante era stato fatto il 17 dicembre scorso, quando un accordo tra esponenti dei Parlamenti di Tobruk e di Tripoli aveva portato all’istituzione di un “consiglio presidenziale” incaricato di formare un governo di unità nazionale. Tuttavia, il percorso che la Libia deve compiere per recuperare la propria unità è lungo: dopo una prima proposta presentata il 19 gennaio dal Premier designato Fayez al-Sarraj e rifiutata dal Parlamento di Tobruk, lunedì 15 febbraio una seconda proposta è stata elaborata ed è al momento in attesa di ricevere il voto di approvazione parlamentare, con Tobruk che si è riservato una settimana di tempo per far conoscere la propria posizione.
Ma ciò che preoccupa di più nella situazione libica è l’espandersi dell’ISIS nella regione. Accerchiato in Iraq e Siria, il gruppo terroristico sta cercando di estendersi ovunque ci sia spazio di inserimento e, la Libia, con il suo vuoto politico è terra ideale per costruire la nuova provincia (wilayah in arabo) del sedicente Califfato. Qui, infatti, grazie alla mancanza di una forza coesa e unitaria e alla presenza di numerose milizie in lotta tra loro, l’ISIS sta mettendo radici.
Forte di circa 5.000 combattenti – provenienti da paesi vicini o assorbiti da gruppi locali come Ansar al-Sharia – l’ISIS sta portando avanti una duplice strategia; da un lato conduce attacchi terroristici e distrugge impianti petroliferi, così da diffondere terrore e cancellare ogni possibilità di sviluppo e state-building. Dall’altro, controlla circa 180 miglia di costa e città quali Tarablus, Fezzan e Barqah e Sirte, prossima a diventare la Raqqa libica.
Tale modus operandi ricorda la strategia adottata in Siria nel 2011, quando l’ISIS iniziò la sua violenta ascesa nel Levante. In Siria il gruppo sfruttò il vuoto di potere creato dalla guerra civile e, dopo aver implementato un piano ideato nel 2010 da Haji Bakr – ex colonnello delle forze aeree di Saddam, divenuto figura di spicco di Al Qaeda in Iraq/ISI dopo l’intervento americano e l’ascesa al potere degli Sciiti – riuscì a penetrare nelle zone a maggioranza sunnita prive di autorità, combinando strategia del terrore e occupazione territoriale. Grazie all’alto livello di coordinamento e all’assenza di un’opposizione unitaria, l’ISIS arrivò ad innalzare la propria bandiera in molte aree dell’Est e del Nord della Siria; controllare fonti di reddito come pozzi petroliferi e derrate alimentari; così da porre le fondamenta di un “Califfato” che ha successivamente esteso al vicino Iraq e che sta ridisegnando la mappa del Levante.
Simili dinamiche stanno operando in Libia, il cui controllo ha per l’ISIS un’importanza strategica primaria.
Innanzitutto, la Libia è – sia per la sua posizione geografica sia per i suoi confini porosi – terreno ideale per reclutare e addestrare aspiranti jihadisti del Nord-Africa, con il rischio che il paese si trasformi in un hub terroristico. In secondo luogo, trovandosi nel cuore della sponda Sud del Mediterraneo, consente all’ISIS di estendere il raggio della propria minaccia e della propria azione.
La presenza dell’ISIS in Libia minaccia dunque direttamente i paesi di Nord Africa e Europa, che potrebbero arrivare a considerare una coalizione anti-ISIS in Libia come una priorità. Tuttavia, nessuna missione può seriamente essere proposta finché il Paese è così frammentato. Le esperienze passate di interventi in Medio Oriente hanno infatti insegnato che il successo dipende dal supporto e dalla coesione della popolazione locale. Il primo passo per sconfiggere l’embrionale wilayah è allora la risoluzione della frattura Tripoli-Tobruk: Nord Africa e Europa dovrebbero indirizzare i propri sforzi a favorire un dialogo ora più vitale che mai. Nel frattempo, comunque, l’aviazione Usa ha colpito un centro d’addestramento riconducibile all’Isis nei pressi di Sabratha, a 70km da Tripoli, e l’Italia ha dato il proprio ok all’uso droni armati stanziati alla base militare di Sigonella.