Sia in Siria che in Iraq ISIS sta perdendo terreno e sembra concentrarsi sulle sue roccaforti di Raqqa e Mosul. La corsa per liberarle è iniziata.
Negli ultimi mesi il sedicente “stato islamico” ha perso molto terreno in Iraq e in Siria, dove da taluni luoghi sembra essersi ritirato senza troppi combattimenti. Ciò lascia intuire un cambio di strategia da parte di ISIS, che sembra concentrare le sue forze in difesa dei due principali bastioni (Mosul e Raqqa) piuttosto che su città di minor valore strategico.
In Iraq, dopo aver perso Kirkuk (settembre), la città yazida di Sinjar (novembre), Ramadi (dicembre) e i distretti di Um al-Diban e Um Jurais (fine marzo), ISIS ha perso tutta la zona lungo il confine siriano e con essa le principali vie di rifornimento. Il 14 aprile le forze irachene hanno riconquistato anche Hit (a ovest di Ramadi). Queste vittorie hanno spinto il Pentagono ad annunciare la conclusione della fase uno della campagna militare contro ISIS, ossia impedirne l’avanzata e degradarne le forze, e l’inizio della fase due, che ha come obiettivo lo smantellamento delle strutture operative.
Il Pentagono ha contestualmente annunciato il dispiegamento di circa 1,800 soldati della 101st Airborne Division in Iraq allo scopo di addestrare e supportare le truppe irachene in vista della riconquista di Mosul (alcune centinaia sono già in Iraq) e di 250 Forze Speciali in Siria per assistere l’YPG curdo nella ripresa ultima di Raqqa.
Quella di Mosul è una battaglia cruciale che per avere successo richiede il coordinamento tra Peshmerga e forze irachene, queste ultime ritenute responsabili del ritardo dell’offensiva (i cui piani erano pronti da mesi). La scarsa unità delle forze anti-ISIS in Iraq, potenze comprese, non è un dato secondario. Quando ad esempio la Turchia ha inviato le proprie truppe nel campo di addestramento per i volontari sunniti iracheni a Bashiqa, vicino Mosul, il governo iracheno ha denunciato questo gesto come un’ingerenza. Lo scopo turco è evitare sia gli sforzi del PKK di costruire nuove basi nei territori sottratti a ISIS, sia contrastare l’influenza iraniana (che ha delle truppe in Iraq in sostegno del governo di Baghdad, nonostante Teheran abbia negato). A complicare i rapporti di forza, ci sono le tensioni da un lato tra il governo di Baghdad, sciita, e le milizie sciite irachene fortemente legate all’Iran (e sue grandi alleate sui campi di battaglia) e dall’altro, tra la comunità sunnita irachena e il Governo Regionale del Kurdistan, il cui attuale Presidente, Barzani, è più vicino ad Ankara su diverse questioni, che non a Baghdad, tanto che di recente i Peshmerga curdi hanno attaccato postazioni in mano alle milizie sciite supportate dall’Iran nel nord dell’Iraq, nei pressi di Tuz-Khurmatu. Una situazione fluida dunque, che potrebbe indebolire la lotta contro ISIS.
È in questo quadro che si inseriscono in parte i ritardatari tentativi per la riconquista di Mosul: a fine Marzo le truppe irachene hanno tentato di avanzare nel villaggio di Nasr, apripista per la conquista della città di Qayarrah, a sua volta base di lancio per la ripresa di Mosul. Ma in quattro giorni non sono riusciti ad avanzare e al primo contrattacco dell’ISIS le truppe irachene si sono ritirate, annunciando la posticipazione dell’offensiva e acuendo le rivalità con i Peshmerga curdi, che non fanno mistero del loro disprezzo verso l’incompetenza dei loro alleati.
C’è però un’altra città al centro dell’offensiva contro ISIS, ossia Fallujah, assediata dalle truppe irachene, dove nel silenzio generale si sta compiendo una tragedia umanitaria. La popolazione civile intrappolata all’interno, stimata tra gli 80,000-100,000 abitanti, è stretta da un lato dall’assedio – che senza cibo, medicine o carburante, la sta facendo morire di fame – e dall’altro dal pugno di ferro del Califfato. Il 6 aprile 15 persone sono state bruciate vive per aver tentato di fuggire dalla città.
A febbraio, in Siria le Forze Democratiche Siriane hanno conquistato le città di al Thawrah e al Shaddadi, tagliando la via di collegamento tra le due capitali dell’ISIS, Raqqa e Mosul, isolando quest’ultima. Nelle ultime settimane, le truppe siriane e alleate hanno riconquistato Palmira e Qaryatayn. Anche i ribelli hanno fanno progressi contro ISIS: nella fascia settentrionale a confine con la Turchia hanno sottratto all’ISIS decine di villaggi, il più importante dei quali al-Rai, sul confine, snodo dei rifornimenti degli uomini del Califfo (per avere un’idea di come è cambiato il fronte a nord di Aleppo nel giro di due mesi, si consiglia questa mappa animata).
La ritirata da Palmyra e Qaryatayn nella Siria centrale e dai villaggi nel nord di Aleppo sembra suggerire che ISIS voglia concentrarsi nella difesa dei suoi principali bastioni, a cominciare da Raqqa. Tuttavia, vi sono ancora tentativi di espansione nella Siria occidentale: ISIS ha rivendicato le auto-bombe che negli ultimi mesi hanno colpito le zone governative di Homs e Damasco, ed ha attivato una cellula dormiente nella provincia di Deraa, a sud, che sta avanzando contro i ribelli.
I bombardamenti aerei, dal canto loro, non hanno ancora avuto gli effetti sperati: quelli della Coalizione si sono concentrati, in linea di massima, nelle zone dove ISIS ha strutture militari, come nella periferia di Raqqa e Deir ez Zor, per lo più in aree desertiche; quelli russi, invece, si sono concentrati principalmente nella parte occidentale della Siria, dove la priorità era eliminare il fronte ribelle, e in parte su Raqqa e Deir ez Zor, dove seppur limitati i bombardamenti sono stati indiscriminati e hanno colpito, come denunciato dagli attivisti delle due città, le zone residenziali. In particolare, Raqqa Is Being Slaughtered Silently, il gruppo premiato a novembre dal Commitee to Protect Journalists con il Premio Internazionale per la Libertà di Stampa, ha denunciato massacri tra la popolazione civile. Secondo le loro più recenti stime, nel solo mese di Gennaio 2016, 10 civili sono morti a seguito dei bombardamenti della Coalizione americana e 113 a causa di quelli russi.
Per loro, i bombardamenti della coalizione contro ISIS a Raqqa non stanno funzionando. Tuttavia, non avendo come obiettivo solo basi militari ISIS o centri di addestramento, ma anche le loro riserve di petrolio e di denaro, i bombardamenti hanno ridotto – secondo recenti dati dell’IHS Conflict Monitor – gli introiti dell’ISIS, da metà 2015 a marzo 2016, del 30% (da 80 milioni a 56 milioni di $).
Di certo i bombardamenti da soli non bastano e ben altro è richiesto per sconfiggere il sedicente Califfato; nel prossimo futuro le battaglie per Raqqa e Mosul saranno decisive.
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di Samantha Falciatori