Violenza in Colombia vuol dire molto. La Violencia può essere un avvenimento storico la cui crudeltà è inscrivibile in una parola. Può voler dire quotidianità e può essere definita la priorità di chiunque voglia governare questo Paese: luci e ombre del processo di pacificazione che ha seguito la firma degli accordi tra Stato e FARC, messo ora in discussione dal nuovo presidente Ivan Duque.
FARC: una storia tra guerriglia e compromessi
Le Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia nascono nel 1964 come alternativa, seppur illegale, al Frente Nacional, la coalizione di liberali e conservatori che nacque a seguito del periodo storiograficamente noto come La Violencia, dieci anni (1948-1958) di una logorante guerra civile scoppiata dopo l’assassinio del leader liberale Jorge Eliécer Gaitán (aprile 1948).
Formatesi originalmente come “gruppi di autodifesa contadina”, le FARC riunirono le voci di chi invocava una riforma agraria e, a seguito dell’attacco frontale operato nei loro confronti dall’esercito regolare, decisero di darsi un’impronta più spiccatamente leninista e rivoluzionaria. L’appellativo FARC-EP venne in realtà assunto dai gruppi di guerriglieri che le componevano solamente nel maggio 1982, in occasione della Settimana Conferenza dei Guerriglieri del Bloque Sur.
Il primo tentativo di firmare una pace con lo Stato colombiano fu rappresentato dagli Accordi di Uribe del 1984. Il dialogo, avviato nell’82 tra il capo della guerriglia Tiro Fijo e il governo del Presidente Belisario Betancur, portò ad un cessate il fuoco a cui aderirono tre gruppi guerriglieri. La tregua ebbe tuttavia vita corta, dato che dopo pochi mesi una serie di violazioni da parte di entrambe le parti causò una temporanea rottura dei negoziati per la pace.
La creazione del partito Unión Patriótica (1986), in cui sarebbero dovuti confluire i membri delle FARC una volta firmata la pace, fu solo un falso indizio di apertura nei confronti di una demilitarizzazione dei gruppi che le componevano. Negli anni ’90 infatti le azioni delle FARC assunsero connotati politici di maggior impatto: la priorità dei guerriglieri diventò strappare il potere alle élite colombiane.
In un primo momento, la risposta del governo fu durissima, tanto da impiegare nella lotta alle FARC gruppi paramilitari come il Muerte A los Secuestradores (MAS), cui obbiettivo principale era l’annientamento delle FARC-EP e del M-19 (il Movimiento 19 de Abril) movimento nato il 19 aprile 1970 in opposizione alla presunta frode elettorale con la quale il Fronte Nazionale avrebbe ottenuto il potere, battendo il generale Pinilla e mettendo in discussione l’avvia di un reale processo di democratizzazione del Paese.
Il governo di César Gaviria Trujillo (1990-1994) optò successivamente per una riapertura dei processi di pace, ottenendo però scarsi risultati. Le stesse difficoltà le incontrò il presidente Andrés Pastrana (1998-2002), che non fu in grado di offrire alcun tipo di garanzia né al Paese né alla controparte, fallendo nel tentativo di creare una “zona di distensione” che sarebbe dovuta sorgere dalla smilitarizzazione dei municipi di San Vicente del Caguán, Uribe, Macarena, Vistahermosa e Mesetas, localizzati nei dipartimenti di Meta e Caquetá (Colombia centro-meridionale).
L’inizio del nuovo millennio fu segnato da una netta interruzione dei negoziati di pace, che lasciarono spazio ad un aumento delle offensive governative, volte soprattutto a scoraggiare il narcotraffico e appoggiate economicamente e finanziariamente dagli Stati Uniti – vedi il Plan Colombia, progetto da 7,5 miliardi di dollari.
L’ascesa di Álvaro Uribe a Casa de Nariño e la morte del leader maximo de le FARC Alfonso Cano posero la parola fine al dialogo, ufficialmente chiuso nel febbraio del 2002.
L’elezione di Juan Manuel Santos a Presidente del Paese nel 2010 avvenne sotto l’auspicio di una riapertura dei tavoli negoziali, per la quale è stato necessario attendere il 2012 e la collaborazione di Norvegia, Cuba e del Vaticano. Fortunatamente, l’attesa è stata parzialmente ripagata nel settembre 2016, quando il presidente Santos e il rappresentante delle FARC Timochenko hanno firmato l’accordo di pace che è valso al primo il premio Nobel per la pace.
La vittoria di Ivan Duque e il sogno di una Colombia Unita
Ivan Duque, uribista e conservatore, leader del Centro Democratico, ha superato di 12 punti percentuali (54% vs 42%) il candidato ex-guerrigliero Gistavo Petro. L’esito del ballottaggio delle presidenziali, tenutosi domenica 17 giugno, sottolinea come una parte consistente della popolazione non abbia gradito l’eccessiva clemenza riservata agli ex membri delle FARC – a cui sono stati assicurati dei seggi fissi in Parlamento.
Resta a questo punto da chiedersi quanto una politica maggiormente punitiva possa effettivamente portare acqua al mulino del sogno di Duque di una Colombia unita. Se da un lato infatti c’è il rischio che la controparte non accetti le nuove condizioni poste, dall’altro è ancora vivido il ricordo delle imponenti politiche di sicurezza impiegate dal maestro politico di Duque, Alvaro Uribe, accusato di violazione dei diritti umani.
Luci e ombre degli accordi di pace
Il testo finale su cui si era trovato l’accordo, e che per il momento rimane valido nonostante la volontà del nuovo presidente di modificarlo, prevede che venga finalmente attuata la riforma agraria, che ricordiamo essere stato l’obiettivo che fece nascere i nuclei armati. In seconda battuta, l’accordo prevede un piano di riabilitazione e reinserimento nei confronti dei guerriglieri che hanno deciso di abbandonare le armi, molti dei quali non hanno finora avuto occasione di vivere in un contesto diverso. Uno dei punti più controversi e ingiusti secondo Duque.
Leggi anche Elezioni Legislative in Colombia
Nell’accordo, inoltre, ci si propone di continuare il dialogo perché vengano trovate soluzioni al fenomeno del narcotraffico e alla riabilitazione delle vittime e degli abitanti delle zone fino a quel momento sotto il controllo delle FARC.
La realtà dei fatti, a più di un anno dalla firma della pace, è l’evidente difficoltà nella gestione dei territori precedentemente sotto il controllo dei guerriglieri. In molte di queste zone infatti, lo Stato e la polizia non sono riusciti a impedire che i dissidenti delle FARC e i gruppi che si sono rifiutati di sottoscrivere l’accordo, come l’ELN (Esercito di Liberazione Nazionale), o addirittura organizzazioni di carattere mafioso come il Clan del Golfo – fino agli anni 2000 un gruppo paramilitare di destra – ne prendessero il posto, subentrando nel controllo del mercato della cocaina, prima utilizzato come forma di finanziamento dai guerriglieri delle FARC.
La corsa al mercato della coca ha spinto le parti ad iniziare, oltre che la lotta con le forze governative, una lotta interna al fine di appropriarsi della fetta di mercato più ingente. A soffrire di questo conflitto nel conflitto sono le popolazioni di queste aree.
Tumaco, ad esempio, da cittadina portuale del sud-ovest della Colombia è stata trasformata in uno degli angoli più violenti del Paese, snodo cruciale per il commercio di stupefacenti gestito dalle GUP, Guerrillas Unidas del Pacifico, che da Peña de los Santos risalgono verso la costa navigando il fiume Rosario.
Una volta sgomberate quelle che si erano imposte come vere e proprie autorità locali, il governo avvierà per Tumaco e le altre zone liberate un piano di investimenti da 3 miliardi di dollari all’anno per i prossimi 15 anni, nel tentativo di riuscire finalmente a fornire agli abitanti locali i servizi necessari affinché possano avere un’esistenza dignitosa.
Tuttavia, agli occhi di molti desmovilizados, gli ex guerriglieri che tentano di trovare una loro posizione all’interno della società civile, è già chiaro che buona parte delle promesse governative, nonostante gli enormi sforzi della Agencia Colombiana de Reincorporación, non saranno realizzate per mancanza di fondi e di strumenti adeguati.
Il problema più incombente è costituito dalla difficile sostituibilità delle colture di cocaina, che agli occhi dei contadini appaiono decisamente più vantaggiose per prezzi e tempistiche (le foglie possono essere raccolte solamente dopo tre mesi e garantiscono un guadagno annuale di circa 15 mila dollari per ettaro) rispetto a colture convenzionali – e legali – come può essere quella del cacao (che genera solamente un decimo dei ricavi ottenibili con la coca).
Prossimamente per la nostra rubrica In.side sarà pubblicata un’inchiesta della Reuters che ci illustrerà più dettagliatamente la situazione di Tumaco.
di Riccardo Stifani