La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Wadi Barada è al centro di una crisi idrica che ha lasciato Damasco senz’acqua e potrebbe essere la prossima area interessata dal trasferimento in massa dei suoi civili. Ecco cosa sta accadendo.
Dopo Aleppo, l’offensiva militare del fronte governativo si è concentrata su Wadi Barada, un’area in mano ai ribelli situata a pochi chilometri da Damasco e assediata dalle truppe governative dal 2012, nonostante una volta riconquistata Aleppo fosse stato concordato un cessate il fuoco. Da questa tregua sono stati esclusi i gruppi terroristici di Nusra e ISIS e, dal momento che a Badi Warada non vi sarebbe presenza di questi gruppi, l’offensiva governativa è una violazione del cessate il fuoco a seguito della quale i gruppi di opposizione hanno congelato la loro partecipazione ai colloqui di pace mediati da Russia, Turchia e Iran previsti per il 23 gennaio ad Astana, capitale del Kazakistan.
La valle di Badi Warada ha una grande importanza strategica e militare perché si trova sulla strada che collega Damasco al Libano e quindi rappresenta una risorsa militare e commerciale indispensabile per il regime siriano e le forze libanesi di Hezbollah sue alleate, ma anche perché collega Damasco a Qalamoun, e offre una via di rifornimento per i circa 1.500 ribelli dell’area. Da metà dicembre 2016 Badi Warada è teatro di intensi bombardamenti aerei e scontri di terra tra truppe siriane, milizie Hezbollah e comandanti iraniani da un lato e ribelli prevalentemente di Jaish al-Islam e Ahrar al-Sham dall’altro. Sebbene non vi sia un calcolo preciso dei civili intrappolati a Badi Warada, dato che l’area ospita anche sfollati di altre zone, secondo fonti locali si stima che siano tra i 90.000 e i 100.000. Oltre all’offensiva militare e all’assedio, ciò che sta rendendo Wadi Barada e l’intera città di Damasco al centro di una crisi umanitaria è che nella valle di Barada si trovano due delle sorgenti idriche, Barada e Ein al-Fijeh, che riforniscono la capitale di oltre il 70% del suo fabbisogno idrico. Durante i combattimenti, le sorgenti sono state danneggiate e dal 22 dicembre oltre 4 milioni di damasceni, secondo stime Onu, non hanno più acqua, cosa che potrebbe causare malattie, soprattutto tra i bambini.
Il regime siriano ha accusato i ribelli di aver contaminato le sorgenti con il diesel e di averle distrutte, mentre i ribelli accusano il regime di aver bombardato le sorgenti con dei barili bomba, mettendole fuori uso. A corroborare quest’ultima versione ci sarebbe un video che mostrerebbe proprio i bombardamenti aerei del regime sulla sorgente di Ein al-Fijeh. Non sarebbe la prima volta che aerei governativi bombardano strutture civili. Secondo un rapporto del Network siriano per i diritti umani, nel solo 2016 sono stati 1.373 gli attacchi compiuti contro strutture civili in tutta la Siria, di cui 761 (55,42%) a opera del regime siriano e 437 (31,83%) a opera dell’aviazione russa.
L’Onu ha tentato di inviare un team di manutenzione per valutare i danni e porvi rimedio, ma l’accesso gli è stato negato, per cui Jan Egeland, Consigliere Speciale per gli affari umanitari dell’Onu, ha dichiarato che non è possibile stabilire se l’interruzione dei rifornimenti idrici sia ascrivibile a un sabotaggio dei ribelli o a un attacco del regime, ma che in ogni caso privare la popolazione civile di un bene essenziale come l’acqua è un crimine di guerra.
Wadi Barada non è però priorità del regime solo per le sue risorse idriche: lo scopo è mettere “in sicurezza” l’intera area di Damasco, replicando nelle sacche ancora in mano ai ribelli quello che è stato attuato con successo in molti altri sobborghi di Damasco, come Darayya, Moadamiya, Douma, Qudsaya e altri, nonché, recentemente, ad Aleppo, ossia il trasferimento forzoso verso Idlib di ribelli e civili in quella che ormai è una evidente politica di rimappatura demografica della Siria, di cui avevamo parlato qui, all’insegna di una “sciizzazione” dei territori governativi. Il regime sta cercando di fare pressione sull’opposizione e sui civili che la sostengono affinché accettino la resa e il trasferimento verso Idlib, ma i ribelli avrebbero rifiutato. Nello stallo delle trattative, l’offensiva militare e i bombardamenti sui villaggi assediati proseguono, causando morte e distruzione tra i civili.
Aggiornamento del marzo 2017: Il 10 marzo la Commissione d’inchiesta ONU sulla Siria ha rilasciato un rapporto in cui espone le conclusioni delle indagini sulla distruzione delle sorgenti idriche di Wadi Barada. Nel rapporto A/HRC/34/CRP.3, (p. 10), conclude che non vi sono prove a sostegno della tesi del regime circa il fatto che i ribelli hanno avvelenato le fonti e che al contrario ci sono prove (sia video che fotografiche e satellitari) che dimostrano che si trattò di un duplice attacco aereo del regime deliberato contro le sorgenti idriche, che in quanto bene civile atto alla sopravvivenza della popolazione civile, rende l’attacco un crimine di guerra.
di Samantha Falciatori