Le dottrine nucleari di Cina e Usa a confronto.

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Durante tutto il 2017 e in questi primi mesi del 2018 si è assistito nell’ambito delle relazioni internazionali e delle politiche di sicurezza ad un generale cambiamento nelle dottrine nucleari delle grandi potenze: è in atto un riarmo.

C’è grande attenzione tra gli analisti della politica internazionale nell’osservare le manovre e i cambi di postura delle potenze mondiali, e delle nuove dottrine nucleari che si stanno delineando. Questi cambiamenti derivano da diversi fattori. C’entra sicuramente una generale acutezza dell’instabilità e delle situazioni di crisi, dalle necessità di rinnovare le dinamiche di deterrenza attraverso quella che ancora oggi viene considerata l’arma “definitiva”, passando per le personalità dei decision-makers politici-militari.

A testimonianza di quest’ultimo punto si può facilmente richiamare alla memoria lo scambio di accuse e minacce tra il Presidente degli Stati Uniti e il nordcoreano Kim Jong Il.

In ogni caso, anche a fronte della pubblicazione avvenuta qualche settimana fa della “Nuclear Posture Review” da parte del Dipartimento della difesa statunitense, è interessante andare ad analizzare quanto è stato elaborato e posto a fondamento delle policy dei prossimi anni, concentrandosi, per un confronto, su di uno dei competitor strategici individuati nel documento, ovverosia la Repubblica Popolare Cinese.

Quest’ultima, infatti, rappresenta la vera e nascente potenza globale, sia dal punto di vista economico che militare, sebbene le sue strategie nel campo della difesa siano ancora piuttosto nebulose rispetto ad altre realtà (Russia in primis).

IL DRAGONE ROSSO

Individuata da Donald Trump all’inizio delle sua presidenza come grimaldello tramite il quale scardinare la cassaforte nordcoreana, per poi passare in un lasso di tempo assai breve al ruolo di avversario da contenere (sovrapponibile al momento nel quale il Presidente si accorse di non essere in grado di controllarne la volontà con la facilità precedentemente ipotizzata), attualmente la Cina rappresenta per gli Stati Uniti l’attore su cui porre l’attenzione nell’ambito del grande gioco della competizione globale.

Ovviamente ciò significa che anche il Pentagono prevede la necessità di adottare nuove strategie volte a prevalere in un eventuale confronto con la potenza asiatica. E questo significa, data l’appartenenza della Repubblica Popolare al ristretto gruppo degli Stati dotati di armamento nucleare, rapportarsi anche con il pericolo rappresentato da tale tipologia di armi.


Seppur non certamente paragonabile, specialmente nel numero, a quanto posseduto in tale ambito militare alla Federazione Russa, i passi effettuati sin dai primi test atomici del 1964 sono stati per la Cina molteplici, portando a ottenere prima una bomba all’idrogeno (la cosiddetta arma termonucleare) e infine a possedere la tecnologia necessaria per porre una o più testate su di un missile balistico.

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Inquadrata nelle cosiddette “Rocket Force” appartenenti alla branca terrestre dell’Esercito di Liberazione del Popolo (PLA), questa si compone sostanzialmente di missili balistici a raggio intermedio (sino a 5.000 km di raggio d’azione) e a portata intercontinentale. I primi, ovviamente, sono in grado di consegnare la loro testa in guerra solo sui territori dei vicini asiatici, pur essendo in grado di raggiungere le basi americane dislocate in Corea del Sud, Giappone e Guam, un’isola dell’arcipelago delle Marianne sita al largo delle Filippine.

Gli ICBM, invero, hanno per loro natura una portata maggiore, ma delle quattro tipologie presenti nell’inventario cinese solo due sono in grado di raggiungere le Hawaii e i 48 stati posti a una latitudine più bassa (questo in virtù di complicate problematiche di orbita).

Inoltre, solo una porzione ancora più ridotta dei circa 100 ICBM è provvista di più di una carica nucleare, contro i circa 400 missili intercontinentali degli Stati Uniti montanti ognuno tre testate. Gli Stati Uniti, grazie alla loro capacità di proiezione, potrebbero raggiungere con un proprio attacco un qualsiasi punto del territorio cinese.

Per quanto attiene ai sopra citati missili a raggio intermedio la stima del loro numero varierebbe a seconda delle fonti impiegate per stimarli, sebbene la Federazione degli Scienziati Americani (FAS) ritenga che anche in tale caso si raggiunga a malapena un centinaio di unità, in quanto la tipologia suddetta di armamento è principalmente impiegato in un ruolo di uso convenzionale.

Infine, come corollario della disamina dell’arsenale della Repubblica Popolare, va ricordata la piccola componente che trova il proprio “mezzo di consegna” attraverso i sottomarini o i missili da crociera. Data la natura piuttosto opaca delle informazioni sulla struttura militare dello Stato, non è ben chiaro se anche le due armi menzionate siano controllate dai rispettivi servizi, ossia la Marina e l’Aviazione, oppure dalla stessa “Rocket Force”, che a propria volta è supervisionata direttamente dalla Commissione Militare Centrale dello Stato.

Il titolo di quest’ultima non deve però trarre il lettore in inganno, poiché la sua composizione è sostanzialmente sovrapponibile con quella della Commissione Militare Centrale del Partito Comunista Cinese; il che aiuta ben a comprendere come sussista un ferreo controllo da parte del Partito su tali armamenti e come si possa affermare che il Partito sia sostanzialmente lo Stato e lo Stato il Partito.

Tornando ai numeri grezzi e alle spiegazioni tecniche, gli SLBM posseduti da Pechino sfiorano la cifra di 50 unità dispiegate su quattro sottomarini balistici. Un mero confronto con quelli facenti parti della U.S. Navy condurrebbe all’impossibilità stessa di un paragone, dato che Washington ne schiera circa 250 su 12 SSBN (la dizione militare dei sopracitati sottomarini balistici), ognuno in grado di caricare dodici testate.

Il sottomarino balistico-nucleare della Marina Statunitense, USS Henry M. Jackson (SSBN 730) – US Navy photo

Questo numero fa comprendere l’incredibile disparità, dato che tecnicamente solo questi mezzi totalizzerebbero una cifra pari a 3.000 testate, limitate grazie al trattato START siglato tra Russia e Stati Uniti nel corso della Presidenza Obama.

L’ultimo mezzo di trasporto da analizzare ruota attorno ai missili da crociera per l’attacco terrestre, di cui la Cina possiede due versioni, una lanciata da terra e l’altra dall’aria (CJ-10 e CJ-20), oltre alle più semplici bombe a gravità alloggiabili su bombardieri e caccia-bombardieri.

Alcune analisi affermano però che all’Aviazione cinese non sia stata assegnata nessuna missione nucleare, oltre al fatto che la relativa vetustà dei suoi mezzi non sarebbe capace di penetrare le difese missilistiche più complesse. Al contrario gli Stati Uniti hanno una forza di bombardieri nucleari, i B-52 e i B-2 (a cui si aggiungerà il B-21 ora in sviluppo e la cui entrata in servizio è prevista per la metà della prossima decade), dotati di missili da crociera lanciati dall’aria. Questi ultimi verranno citati nelle righe successive in quanto punto di contesa all’interno dell’establishment politico-militare statunitense, nonché possibile fonte di frizione con la Russia.

Da quanto esposto precedentemente risulta piuttosto chiaro come nonostante la modernizzazione delle Forze Armate cinesi sia un trend acclarato, il confronto con quelle degli Stati Uniti sia sostanzialmente a favore di questi ultimi. Ciò anche in virtù del fatto che la Cina presenti ufficialmente una dottrina nucleare di “no-first use”, il che significa che essa s’impegna a non utilizzare in caso di conflitto l’arma nucleare come strumento offensivo ma esclusivamente difensivo, in un ruolo di “second strike”.

Secondo numerosi rapporti elaborati dal Dipartimento della Difesa le testate cinesi sono separate dai loro mezzi di lancio, rendendo quindi tali armamento non di primo impiego in qualsiasi momento. Al contrario, tutte le altre potenze nucleari e la NATO non hanno mai escluso tale possibilità, lasciando un margine di ambiguità, anche se Washington afferma esplicitamente che in caso di attacco da parte di uno stato non nucleare firmatario del Trattato di Non-Proliferazione (NPT) non vi potrà essere un loro impiego. Fatto che, non necessariamente, potrebbe avvenire nei confronti di chi appartiene al club delle potenze nucleari. Quanto detto viene implicitamente confermato nella pubblicazione della documentazione strategica nucleare di recentissima pubblicazione (febbraio 2018).

Ulteriore punto di svantaggio per Pechino deriva da una questione eminentemente tecnica. Alfine di costruire un ordigno atomico è necessario, infatti, l’impiego di uranio arricchito o plutonio, che possono essere prodotti solamente in una centrale nucleare a uso militare. Le disponibilità di materiale degli Stati Uniti sono 30-35 volte maggiori rispetto a quelle della Cina, e consentirebbero la creazione di migliaia di altre testate.

LA TRIADE NUCLEARE USA

Con l’espressione qui impiegata s’intendono i tre “strumenti di consegna” degli ordigni che sono posseduti dalle Forze Armate a stelle e strisce. Pur essendo amministrativamente controllate dall’Aviazione e dalla Marina, nell’ambito operativo la loro catena di comando corre all’interno dello STRATCOM, ossia lo Strategic Command, il cui principale incarico è preparare piani operativi per il loro impiego e, nel caso estremo, il loro utilizzo.

Primo elemento che s’intente esaminare sono gli ICBM, rappresentati da 400 Minuteman III dispiegati nelle pianure degli stati più interni del Paese, ossia Montana, Wyoming e Nord Dakota. La loro locazione fu scelta, sostanzialmente, per proteggerli da eventuali attacchi nemici sul territorio nordamericano. Essendo stati principalmente designati negli anni ’70, oggigiorno i missili necessitano di ampi ammodernamenti e ciò ha aperto la strada a numerose discussioni in seno ai think tank e apparati della Difesa. Infatti, numerosi esponenti (tra cui l’ex Segretario alla Difesa dell’Amministrazione Clinton, William Perry) hanno sostenuto come questa parte della triade fosse oramai inutile, e non solo per ragioni di budget.

La principale deriverebbe dal fatto che le altre due parti dell’arsenale nucleare sarebbero in grado di assicurare una sicura deterrenza, nonché lo sviluppo di nuovi armi non farebbe altro che incentivare una corsa al riarmo, destabilizzando gli scenari internazionali. Altre motivazioni comprendono anche la possibilità che un attacco atomico contro i silos di stoccaggio potrebbero distruggere gli ICBM medesimi.

Nonostante ciò, però, il Pentagono ha previsto un programma del costo totale di 86 miliardi di dollari inteso alla sostituzione dei Minuteman con il cosiddetto Ground-Based Strategic Deterrent (GBSD), la cui vita operativa dovrebbe estendersi sino al 2070. Va anche ricordato, comunque, che le diverse centinaia di missili dispersi su di un vastissimo territorio impedisce, volutamente, la situazione in cui un solo attacco, per quanto su larga scala, sia in grado di disabilitare tali armi. Un “second strike” sarebbe sempre possibile.

Dislocamento dei LGM-30 Minuteman al 2010 – wikimedia.org

La Marina, invece, possiede quelli che sono senza dubbio gli unici mezzi realmente “stealth” esistenti, ovvero i sottomarini. L’ambiente in cui essi operano rende assai difficile la loro individuazione anche da parte dei sofisticati strumenti esistenti, cosicché i missili da loro trasportati (i Trident III) sono inscrivibili come un sistema altamente affidabile sotto il profilo della capacità di sopravvivenza.

Una problematica, però, deriva dalla difficoltà di comunicazione tra i centri di comando e i sottomarini stessi, in quanto la trasmissione dei messaggi di lancio in ambito subacqueo risulta estremamente laboriosa, rallentando quindi i tempi di reazione. Anche tali mezzi stanno raggiungendo la conclusione della vita operativa per cui furono progettati, essendo entrati in servizio nel corso degli anni ’80. Conseguentemente furono allocati già dal 2010 circa 6 miliardi di dollari per le fasi di design e progettazione di un sostituto; un risultato che ha condotto al progetto finale identificato nella nuova classe Columbia, che vedrà l’inizio della costruzione all’inizio del nuovo decennio.

Tutti gli attuali SSBN verranno sostituiti, permettendo alla U.S. Navy di possedere un sottomarino in grado di rimanere utilizzabile sino a quasi la fine del XXI secolo. Il tutto a una cifra che si avvicinerà ai 500 miliardi di dollari.

Infine, l’ultima componente della triade è rappresentata dagli ordigni trasportati dai bombardieri e dai caccia-bombardieri. Come già precedentemente ricordato, gli Stati Uniti possiedono una pluralità di mezzi che sono in grado di svolgere la loro missione di deterrenza, consentendo di godere di una capacità di sopravvivenza alquanto elevata, data la capacità intrinseca di un velivolo di spostarsi e quindi evitare attacchi nemici.

Va sottolineato, comunque, come la sostanziale differenza con gli strumenti precedentemente descritta si riscontra nel fatto che in tal caso le armi impiegate non rientrino nella categoria delle strategiche (misuranti a scoraggiare attacchi nemici e portare avanti una strategia di deterrenza), quanto in quelle delle tattiche, teoricamente sviluppate per l’uso sui campi di battaglia.

Queste armi potrebbero assumere la forma di semplici bombe a gravità o, maggiormente probabile, essere montate come teste in guerra di missili, in special modo il cosiddetto ALCM (Air-Launched Cruise Missile). A questo proposito emerge un problema di complessa soluzione, infatti questa tipologia di missile è stata riconfigurata in gran numero dopo la conclusione della Guerra Fredda in sistema con testata convenzionale, e solo una piccola percentuale è ancora oggi in grado di svolgere il compito originario.

Diapositiva dell’Aeronautica militare del 2014 che mostra l’uso dei bombardieri in una fase di “guerra nucleare” prima di un conflitto.

Data, tuttavia, la diminuzione della sua capacità di sopravvivenza contro le minacce poste dai sistemi anti-aerei moderni, il Dipartimento della Difesa ha deciso di finanziare la progettazione e costruzione di un nuovo missile di tale tipologia, il cosiddetto LRSO (acronimo di Missile a Lungo Raggio per l’Attacco Lontano), che entrerà in servizio tra il 2020 e il 2030. Tale arma avrà due versioni: una convenzionale e una nucleare. Come è ben comprensibile, un avversario che vedrà il proprio territorio e/o forze bersagliato dal succitato non sarà capace d’individuarne la tipologia d’appartenza, aumentando quindi il rischio di misunderstanding e risposte “eccessive”.

Beninteso che questa previsione è sempre stata innescata avendo in mente Russia e Cina come avversario, in quanto non si può temere reazioni eccessive da parte di Stati non dotati di armamenti altamente distruttivi.

CONFRONTO DI VOLONTÀ

Nei due paragrafi precedenti si sono messi a confronto gli arsenali che le due grandi potenze, Repubblica Popolare Cinese e Stati Uniti, posseggono e le dottrine che ne regolano l’impiego.

Tuttavia comprendere appieno il campo degli armamenti nucleari è un discorso estremamente complicato; non a caso una letteratura sterminata e teorie in abbondanza videro la luce nel corso dei diversi decenni che sono trascorsi dal momento in cui si comprese come sfruttare l’energia nucleare alfine di creare un’arma.

Per questo le preoccupazioni e polemiche emerse nelle ultime settimane dopo la pubblicazione della stessa Nuclear Posture Review sono in qualche modo non totalmente centrate sulla questione, dato che punti critici come la possibilità di avere armi in grado di esprimere una potenza scalabile (e quindi impiegabili in operazioni di teatro) non rappresentano una novità; per esempio, i missili dell’Aviazione di cui sopra già hanno questa facoltà.

L’eventualità, poi, di armare i cruise lanciati da navi o addirittura creare vettori terrestri (come gli Euromissili degli anni Ottanta) con testate atomiche non sono altro che elementi di una complessa partita di scacchi tra grandi potenze, in special modo oggi con la Federazione Russa che, come ricordato all’inizio di tale articolo, rimane una potenza militare principalmente nucleare. Su ciò si innestano questioni complesse come il rispetto di trattati internazionali, in questo caso l’INF (Intermediate Nuclear Forces Treaty), che potrebbero vedere le nuove armi come “merce di scambio” tra le parti.

Tale ipotesi sembra peraltro confermata della recentissime affermazioni di Vladimir Putin, che nel corso di un messaggio dagli accenni elettorali ai due rami del Parlamento Russo, ha affermato come il Paese si sia dotato di due armi nucleari tecnologicamente avanzatissime, “…in grado di sfuggire a qualsiasi tentativo di difesa da parte dei sistemi anti-missili degli Stati Uniti”, anche se ci sono forti dubbi sulla loro operatività.

La Cina stessa, invero, nonostante la precedentemente spiegata disparità con gli Stati Uniti, rappresenta una sfida geostrategica nascente, con la conseguenza che le decisioni dell’establishment militare e politico potrebbero essere strutturate in prospettiva futura.

In ogni caso, come ha ben esposto il Segretario alla difesa James Mattis di fronte alla critiche e perplessità di questa nuova impostazione, “…non esiste un’arma nucleare tattica. Il loro uso è sempre strategico, indipendentemente dallo scopo del loro impiego” . Proprio per questo ci si augura che le decisioni assunte dai loro possessori seguano la medesima razionalità e consapevolezza del Segretario e di coloro i quali hanno assicurato per decenni il cosiddetto “equilibrio nucleare”.

Per leggere la Nuclear Posture Review degli Stati Uniti potete visitare questa pagina.

di Luca Bettinelli