Le esternalità derivanti dal cambiamento climatico avranno un impatto forte e durevole sullo scenario geopolitico internazionale. Comprenderne le origini e prevederne i costi è conditio sine qua non per superare quello che gli psicologi chiamano “sconto iperbolico”, ovvero la tendenza a considerare il futuro meno tangibile e cogente del presente, e a subordinare la tutela del patrimonio biosferico ai compensi materiali di breve termine. Attraverso quattro pubblicazioni, ci proponiamo di fare chiarezza su un argomento molto dibattuto e poco compreso, evocando scenari futuri e futuribili in grado d’illustrare l’impatto che i fenomeni geofisici possono avere sullo sviluppo delle società umane.
Per facilitare la comprensione del tema in oggetto e fornire le fondamenta di un’analisi consapevole, prendiamo dapprima in considerazione il ruolo e le caratteristiche dell’atmosfera terrestre, generalmente intesa come un unico grande “involucro” che circoscrive il nostro pianeta. L’atmosfera è costituita da una serie di sfere concentriche, distinguibili in base al gradiente di temperatura e alle variazioni che questa subisce in relazione all’altitudine. Lo strato più interno viene definito troposfera. Qui, grazie all’alta concentrazione di vapore acqueo e alle graduazioni di temperatura decrescenti, si concentrano tutte le specie viventi. A seguire troviamo la stratosfera, che svolge un ruolo fondamentale nel garantire la sopravvivenza di quegli organismi che tendono a svilupparsi nello strato sottostante: il vapore acqueo è quasi del tutto assente, le precipitazioni sono impossibili e uno spesso strato di ozono assorbe gran parte dei raggi UV ad alta frequenza derivanti dalla radiazione solare. Nelle zone più distali troviamo la mesosfera, in cui le temperature raggiungono –90°C, e la termosfera, dove queste, al contrario, sfiorano al suo limite esterno i 1100 °C.
Tra i fenomeni che più interessano l’atmosfera terrestre, l’effetto serra (Greenhouse effect) gioca un ruolo preponderante nel determinare quelle condizioni, più uniche che rare, che permettono la vita sulla Terra. Sebbene l’effetto serra venga generalmente evocato con accezione negativa, ciò che realmente mina l’incolumità delle specie terrestri sono le variazioni nella composizione chimica dell’atmosfera determinate dal consumo di combustibili fossili, in grado di produrre gas serra come l’anidride carbonica (CO2) e il metano (CH4). L’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, che in condizioni di equilibrio verrebbe compensato dalle capacità di assorbimento delle foreste e degli oceani, comporta un significativo aumento della temperatura terrestre, ulteriormente alimentato dai processi di deforestazione che colpiscono la foresta amazzonica o le regioni meridionali del Canada.
Ma come funziona realmente il processo di riscaldamento globale? Il calore si propaga attraverso tre vie principali: conduzione, convezione e irraggiamento. La conduzione prevede il trasferimento di calore attraverso il contatto diretto con la fonte di propagazione, mentre la convezione agisce in presenza di fluidi. L’irraggiamento, infine, consiste nel trasferimento di energia elettromagnetica attraverso la radiazione solare e costituisce il processo attraverso il quale la Terra viene riscaldata dal sole. Nei fenomeni d’irraggiamento, l’atmosfera terrestre riflette le radiazioni a bassa lunghezza d’onda (o alta frequenza), nocive per la vita, grazie a uno strato di ozono che si forma direttamente nella stratosfera, e assorbe invece parte della radiazione solare tramite l’azione dei gas serra. Per meglio comprendere questo procedimento viene solitamente proposto l’esempio della serra, dove la radiazione solare può accedere quasi completamente indisturbata ed essere assorbita dal suolo e dalle piante. Una volta riemessa sotto forma di raggi infrarossi, parte della radiazione rimane al suo interno, riscaldando l’ambiente.
Lo sfruttamento di risorse fossili deperibili come petrolio, gas naturale e carbone porta a un graduale incremento dei gas serra, rafforzando l’azione dell’effetto serra e determinando così un innalzamento complessivo della temperatura terrestre. L’anidride carbonica (CO2), che costituisce il grosso di queste componenti gassose, è aumentata da 280 ppm (parti per milione), nel periodo preindustriale, alle 409,98 ppm di oggi (dati aggiornati al 20 maggio 2017), con un generale aumento di circa 2 ppm all’anno. Quest’incremento non è affatto inerte.
La perturbazione del sistema atmosferico determina una serie di mutamenti climatici in grado d’impattare attivamente sullo sviluppo delle specie terrestri. L’innalzamento del livello degli oceani determinato dallo scioglimento dei ghiacciai, l’acidificazione dei mari, la perdita di biodiversità, l’alterazione delle correnti marine e lo sbilanciamento di nutrienti – azoto, carbonio, fosforo etc. – nei sistemi idrici sono solo alcuni dei processi che influiranno in modo crescente sul nostro stile di vita. L’acidificazione degli oceani, per nominarne una, rappresenta una delle problematiche che più mette a repentaglio la biodiversità marina del pianeta: la CO2 atmosferica si trova in stato di equilibrio con quella marina e, ad un suo incremento, corrisponde un aumento di quella presente negli oceani, determinando un incremento di acido carbonico (H2CO3), che abbassa il Ph marino. Quest’acidificazione compromette l’integrità di ecosistemi fragili e complessi come la barriera corallina che, anche grazie all’aumento delle temperature oceaniche (0.13°C per decade dal 1979 sulla superficie, e >0.1°C per decade dal 1961 al di sotto della superficie), stanno gradualmente scomparendo, portando con loro una vasta gamma di organismi unici e fondamentali.
Cosa dire invece della specie umana? Qual’è l’impatto dei cambiamenti climatici sulle nostre società e sul modo d’intendere i rapporti con l’ecosistema in cui siamo immersi?
Nel 1200 d.C. la popolazione polinesiana dei Rapa Nui, stanziata da circa tre secoli sull’Isola di Pasqua, intraprese la costruzione di enormi statue monolitiche chiamate moai, il cui sistema di trasporto richiedeva ingenti quantità di legname. Per far fronte a quest’esigenza, l’isola venne gradualmente disboscata, diventando ben presto brulla e inospitale. La deforestazione, oltre alla perdita di circa 15.000 ettari di superficie boschiva, determinò un inasprimento dei rapporti sociali, violenti scontri intestini e ondate di flussi emigratori che ridussero la popolazione nativa a poche centinaia di individui già nel XVII secolo. La perdita di sostenibilità agricola, provocata dalla manomissione del fragile equilibrio che legava il popolo dei Rapa Nui all’ecosistema dell’Isola di Pasqua, fu la causa primaria di quello che gli antropologi definiscono un “suicidio ecologico”. (Anthony Giddens, The Politics of Climate Change, 2011)
Nelle regioni occidentali del Sudan le milizie arabe filogovernative dei janjawid (“demoni a cavallo”) sono impegnate da ormai qualche decennio in un’ostinata opera di pulizia etnica ai danni delle minoranze Fur, Zaghawa e Masalit. L’inaridimento del Lago Ciad, determinato dai fenomeni di desertificazione che colpiscono con crescente severità il fronte settentrionale dell’Africa subsahariana, è annoverabile tra le cause di un conflitto indiscutibilmente complesso. La siccità ha spinto numerose tribù arabe a spostarsi oltre i confini del Darfur, esacerbando le tensioni con le comunità africane lì stanziate. In quella che è stata definita a ragione la “prima guerra per le risorse”, lo stress idrico ha giocato un ruolo chiave nel mettere l’una contro l’altra società divise sul versante etnico ma unite dalla comune e talvolta disperata ricerca di acqua e terra arabile. (Parag Khanna, Connectography, 2016)
Questi sono solo due esempi di come le logiche della geofisica possano influenzare, talvolta in modo cruento e decisivo, le società umane. Ed è per questa ragione che lo studio del cambiamento climatico non può prescindere da considerazioni di carattere politico.
I costi ambientali delle attività antropiche vengono definiti “esternalità”: azioni con impatto negativo su soggetti terzi, spesso incolpevoli e inconsapevoli, come l’inquinamento transfrontaliero o l’emissione di CO2 nell’atmosfera. L’irresponsabilità di un comportamento tanto scellerato deriva da quello che gli psicologi sociali chiamano “sconto iperbolico” (future discounting), ovvero la tendenza a considerare il futuro meno tangibile e cogente del presente e a subordinare la tutela del patrimonio biosferico ai compensi materiali di breve termine. L’essenza del problema è racchiusa nel cosiddetto “paradosso di Giddens”: malgrado la gravità dell’impatto a lungo termine, “non essendo i pericoli prodotti dal riscaldamento globale tangibili, immediati e visibili nel corso della vita quotidiana, molti se ne stanno con le mani in mano e non fanno niente di concreto per evitarli” (Anthony Giddens, The Politics of Climate Change, 2011).
Una buona politica del cambiamento climatico, in quest’ottica, ha il compito di invertire i processi psicologici derivanti dallo “sconto iperbolico” e far fronte, con sollecitudine, a quei fenomeni, volontari o involontari, consapevoli o inconsapevoli, antropici o naturali, che rischiano di compromettere la permanenza della specie umana sul pianeta. Le esternalità derivanti dal cambiamento climatico potrebbero avere effetti rilevanti in varie e vaste aree del pianeta.
Nel corso dei prossimi decenni, il riscaldamento globale potrebbe rendere inabitabili buona parte delle regioni equatoriali, spingendo centinaia di milioni di persone a emigrare verso le zone tropicali e polari. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello delle acque potrebbero provocare l’inabissamento di molti centri urbani posti lungo le fasce litorali, nonché lunghe crisi idriche alimentate dalla perdita di acqua dolce e dai fenomeni di desertificazione e deforestazione. La presenza di maggiore vapore acqueo nell’atmosfera potrebbe poi favorire regimi meteorologici instabili e incrementare la portata e l’impatto dei fenomeni tempestosi, alluvionali e ciclonici nel sudest asiatico e lungo le coste occidentali del continente americano.
Inoltre, i processi in atto potrebbero avere un’influenza determinante sulle dinamiche della geopolitica in molti quadranti del pianeta. Nella regione artica, lo scioglimento dei ghiacci potrebbe aprire nuove rotte commerciali in grado di rendere superfluo il passaggio attraverso gli stretti di Panama e Malacca, oltre a determinare, in un futuro non troppo lontano, la nascita di una nuova nazione in luogo dell’attuale protettorato danese sulla Groenlandia. Nei paesi dove si concentrano le comunità più povere del pianeta, le esternalità determinate dal cambiamento climatico potrebbero colpire più forte di quanto non si preveda oggi, determinando pressioni demografiche incontenibili e ondate migratorie impossibili da gestire.
Una parte degli effetti derivanti dal cambiamento climatico è già oggi ampiamente visibile, ma il futuro prossimo promette sconvolgimenti ancor più radicali. Nei prossimi capitoli della serie, approfondiremo un ventaglio di fenomeni geofisici legati al cambiamento climatico, inserendoli in uno specifico contesto geografico.
Di Marco Cantarelli e Francesco Balucani