15 marzo, Atene – Porto del Pireo
La Hanjin Wisdom squarciò la quiete del mare con la sua sirena. Segnalava l’ingresso nel Porto del Pireo.
Sakis era appoggiato alla gru numero 26, con la sua squadra erano pronti a smistare i container stipati sulla nave cargo cinese. In realtà la Hanjin Wisdom batteva bandiera liberiana, come molte altre navi utilizzate dalle grandi compagnie commerciali.
Il capo era stato molto chiaro. Makarios aveva detto di aprire per primo il container numero HJ001848, sigillo numero 4003458, sdoganato dallo studio Panagiotis. Prelevare gli otto rotoli che si trovavano all’inizio del container, prendere i 4 più pesanti e portarli alla vecchia rada per darli allo jugoslavo. Poi lui avrebbe provveduto a tutto. Sakis e i suoi uomini non dovevano fare altro che aprire il container giusto ed eseguire le istruzioni; non c’era possibilità d’errore.
Alle ore 10:04 la nave si accostò al molo. Le gru emettendo boati metallici iniziarono a lavorare.
La squadra di Sakis si muoveva con esperienza, eccetto lui che era il capo, gli altri erano tutti balcanici, 2 albanesi e 3 macedoni. I greci non amavano chiamarli macedoni, preferivano riferirsi a loro come Jugoslavi, per loro i macedoni erano quelli di Salonicco, i discendenti di Alessandro il Grande, non certo una tribù slava arrivata nel quinto secolo.
Mentre le gru spostavano contenitori di ferro da 40 tonnellate l’uno, e gli uomini si urlavano ordini tra di loro, ad un tratto due figure comparvero arrivando dal porto, erano entrambe vestite in modo elegante, del tutto fuori luogo per quel posto, sembravano giovani e certamente non erano due scaricatori di porto.
Avevano occhiali scuri e camminavano decisi verso Sakis e i suoi uomini.
«Capo guarda quelli» disse Kasmi.
«Chi sono?» fece Admir.
«Io che cazzo ne so…» rispose Sakis nervoso. «Non sembrano né sbirri né doganieri»
«Oh… Voi!» Iniziò ad urlare Sakis «…non potete stare nell’aera di sbarco!»
I due uomini continuavano a camminare sicuri di sé, sembrava che sapessero perfettamente cosa stavano facendo e perché lo stavano facendo. Erano in camicia bianca, giacca e cravatta nera. Sakis si decise ad intervenire, uscì dal gabbiotto di monitoraggio, si mise pettorina e caschetto d’ordinanza e andò verso i due uomini. Più si avvicinava più aumentava un senso di timore, mancava solo un container e poi ci sarebbe stato quello di Maka. Sakis non voleva assolutamente che qualcuno li interrompesse prima di aver aperto quel container o peggio qualcuno che li ritardasse. Non voleva far aspettare lo Jugoslavo. Si sarebbe innervosito.
«Scusate cosa ci fate qui?» disse Sakis ai due uomini. Mentre pronunciava quella frase vide che i due erano giovanissimi, due ragazzi al massimo ventenni.
«Quest’area è riservata alle operazioni di scarico. Possono entrare solo autorizzati»
«Non abbiamo bisogno di quel genere di autorizzazioni» disse uno dei due. «Siamo gli amici di Makarios, siamo venuti a prenderci la nostra roba»
Quella frase troncò ogni altro discorso. Sakis rimase pietrificato, non sapeva cosa rispondere.
«Cosa? Che cazzo dite?» Sakis reagì d’impulso «non so cosa dite, andate via da qui o chiamo la sicurezza»
I due lo guardarono immobili e non si scomposero di una virgola.
«Ho detto andatevene!»
«Senti Sakis… lo so che il patto con Makarios era diverso ma abbiamo pensato che forse era meglio per tutti se la nostra roba ce la davate subito, così la chiudiamo qui ed evitiamo perdite di tempo. Ecco qua numeri e sigilli dei container dove troverai le nostre cose. Così ti velocizziamo il lavoro…»
«Andateve, mi state facendo incazzare» ….com’ è possibile che sappiano i codici dei container?!.. Pensò sakis furibondo.
La squadra di Sakis iniziò a chiamare il capo. Gli uomini si stavano agitando, capivano che c’era qualcosa che non andava.
«Sakis, non è il caso di agitarsi» gli disse uno dei due ragazzini in giacca e cravatta. «Che ne dici di fare una telefonata a Maka? Eh? Che ne dici di sentire il tuo capo se la cosa non ti convince…»
Sakis si sentiva preso in giro, non gli era mai successo nulla del genere, la merce di contrabbando non doveva mai essere scambiata sul molo, non doveva mai essere consegnata vicino alla nave e nessun cliente lo aveva mai trattato così.
«Io farò una chiamata e poi saranno cazzi vostri»
Salonicco, magazzino Harlog
«Pronto, oh che vuoi? Non dovresti scaricare la Wisdom in questo momento?»
«Cosa? Chi? Hanno i codici?! Ma com’è possibile?!…»
Makarios iniziò a sudare freddo.
«Chi ha parlato?! Non possono sapere i codici, quel container l’ho chiuso io personalmente!…Non dire cazzate! Ma come sembrano due ragazzini?!»
«Ok senti, dalli la roba ma non farli uscire dai cancelli, falli passare dagli smaltimenti… Questa me la pagate idioti del cazzo!»
Makarios buttò giù il telefono.
«Come facevano a sapere i codici, solo io li potevo sapere… Io e la dogana. E Panagiotis…»
17 marzo, Atene, Biblioteca Nazionale
«Ti invidio Eleni»
«Perché?» Eleni sorrise al suo compagno, «cosa intendi?»
«Invidio il tuo modo di essere. La tua sicurezza. Non hai mai dei dubbi sul tuo futuro, né su quello che fai. Io ho sempre mille incertezze. Penso sempre che le cose potrebbero andar male. Anzi di solito penso che andranno male. Non appena inizio ad avere delle buone speranze succede qualcosa che le distrugge»
Eleni guardò Nico stranita. «Ma perché dici così, sei stupido o cosa?» Diede una piccola spinta a Nico. Per gioco.
«Sei un bravo ragazzo, sei intelligente, perché dovresti essere così pessimista?»
«L’ottimismo è viltà»
«Ma che dici? Non fare lo sciocco dai!»
«Non l’ho detto io, l’ho letto da qualche parte»
«Probabilmente l’avrai letto in uno di quei tuoi noiosi libri di storia» Eleni gli tirò un’altra piccola spinta con la spalla.
Il suo petto strusciò contro la spalla di Nico. Il ragazzo sentì meglio il suo profumo ed il fruscio dei suoi capelli e improvvisamente sentì il bisogno di accarezzarli.
«Cosa fai adesso?» gli chiese la ragazza.
«Torno a casa, devo finire di controllare la tesi, il prof mi sta addosso. Ieri sera mi ha mandato una mail dicendomi che alcune cose andavano cambiate. Lo sai come fa lui, ha quel suo modo assurdo di scrivere. Parla come se fosse un artista. Si esprime in quel modo così fastidioso… non so se definirlo naive o dandy, so solo che non lo sopporto. Sembra che non sia in grado di scrivere una frase senza darsi delle inutili arie del cazzo…»
«Nico dici troppe parolacce» lo interruppe Eleni. «Prima o poi ne dirai una nel momento sbagliato…»
«lo so, devo controllarmi» fece il ragazzo.
«Vuoi venire a casa?»
«Sì, così non lavorerai neanche un minuto sulla tesi… bravo ragazzino…»
«Non chiamarmi ragazzino!» fece Nico
«Perché non dovrei sei più piccolo di me» disse Eleni ridendo. «Piccolino, hai un anno meno di me, lo sai no?» Era così bella quando rideva, così bella quando lo provocava.
Nico girò la chiave della porta di casa.
«Yio? …Ci sei?»
«Ti ho detto che non c’è Yiorgos, è in università, mi ha scritto prima su Whatsapp»
«Dai entra» disse Nico. Prese la ragazza per un braccio e la tirò nell’appartamento.
Lei li tolse la maglietta. Nico non era bellissimo ma aveva un bel fisico, era da qualche anno che si allenava in casa facendo esercizi a corpo libero, e si vedeva.
Lui cercò di toglierle la maglietta. «Aspetta» disse Eleni.
«Prima tu» disse lei e gli tolse la cintura, Nico si levò le scarpe buttandole in girò per la stanza e si sfilò i pantaloni. Poi strinse Eleni e la prese in braccio, lei rideva. La portò sul divano e le slacciò i jeans. Non vedeva l’ora. Non resisteva più.
«Fai piano ho detto! non strattonarmi…ce li hai?»
«Sì, li prendo»
«No, li prendo io» disse Eleni guardandolo maliziosamente. «Dove sono?»
«Nel primo cassetto, lì, nel mobile bianco».
Eleni si alzò dal divano, aveva solo gli slip e una maglietta verde acqua, andò verso il mobile bianco, che secondo la divisione dei coinquilini era quello che spettava a Nico. Aprì il primo cassetto, la stanza era in penombra non vedeva molto bene, infilò la mano nel cassetto per frugare tra la biancheria di Nico cercando la scatola dei preservativi.
La trovò e la tirò fuori. Qualcosa si era avvolto alla scatola. Probabilmente un paio di calze.
Eleni aveva fretta, prese la confezione dei preservativi con la mano sinistra e con la destra sfilò l’oggetto che si era aggrovigliato. Non erano calze, sembrava un fazzoletto. Non era neanche un fazzoletto, era una specie di bandana.
Una bandana tutta nera.
Continua…