La settimana scorsa sulle spiagge di Cannes alle donne musulmane è stato vietato l’utilizzo del completo che alcune di loro, indossano per andare al mare, soprannominato impropriamente “burkini” perchè ricorderebbe il burqa (un indumento che nasconde anche gli occhi ed è perlopiù portato – oggi – dalle donne in Afghanistan), quando in realtà trattasi di pantaloni, maglietta e cuffia, se vogliamo più simili a una muta da sub.
Ipso facto è stato proibito loro di andare in spiaggia e fare il bagno a meno che non si adeguino e si spoglino. La motivazione addotta dal Sindaco della città francese è chiara: “tale abbigliamento rappresenta un simbolo dell’estremismo islamico ed è contrario al secolarismo dello stato francese.”
La multa per chiunque contravvenga a questa regola è di 38 euro.
La stessa cosa è accaduta a Villeneuve-Loubet, dove il sindaco Lionnel Luca ha imposto il divieto di indossare il cosiddetto “burkini” adducendo motivazioni igieniche. Qualche giorno fa la misura è stata adottata anche dal sindaco della città di Sisco in Corsica Ange-Pierre Vivoni, a seguito di uno scontro violento avvenuto in spiaggia tra musulmani di origine nordafricana e abitanti del comune, sfociato poi in una marcia di circa 200 persone che urlavano “questa è casa nostra,” placata solo dall’intervento delle autorità. La polizia sta indagando circa l’accaduto, ma vietare temporaneamente (nel caso corso) il “burkini” in spiaggia, si è rivelato necessario per proteggere la popolazione, secondo quanto dichiarato dal primo cittadino.
Nel dibattito è entrato anche il Primo Ministro francese Manuel Valls che ha rincarato la dose: (il “burkini”) “è incompatibile con i valori della Francia” e lungi dall’essere un costume da bagno è la traduzione di un progetto politico, di contro-società, fondata sulla sottomissione della donna.”
Associazioni francesi e musulmane impegnate nella tutela dei diritti umani, hanno dichiarato che intraprenderanno azioni legali contro la decisione presa dal sindaco della città di Cannes di applicare il decreto che identifica nelle donne musulmane che indossano il “burkini,” una minaccia per l’ordine pubblico, in quanto “ostenterebbero un abbigliamento che rimanda ai movimenti terroristici in guerra con lo Stato francese” come affermato da Thierry Migoule a capo dei servizi municipali della città rivierasca. “Il provvedimento oltre che essere illegale è pretestuoso e lo faremo revocare” è stata la risposta di avvocati e associazioni varie.
Propaganda a parte – che di per sé qualifica i membri della classe dirigente coinvolti nella vicenda, come ignoranti – la Francia ha adottato una legislazione tra le più severe in Europa in materia di “abbigliamento consono per i musulmani” nell’ambito di una battaglia che vede impegnato lo Stato a combattere i segni visibili della religione all’interno dello spazio pubblico.
Dal 2004 infatti vige il divieto di indossare l’Hijab nelle scuole statali e dal 2011 quello di portare il Burqa o il Niqab nei luoghi pubblici – iniziativa già più ragionevole della prima elencata n.d.r. – e promossa in tempi recenti anche da diversi paesi musulmani in Africa (Chad e Camerun tra gli altri) in funzione antiterrorista.
Ora procediamo con ordine e cerchiamo di capire perchè la Francia sta sbagliando direzione partendo dal presupposto che ad attestarlo basterebbe la logica.
Da che mondo e mondo si agevola l’incontro con l’Altro impedendogli di fare qualcosa che non viola i diritti di nessuno ma semplicemente disturba o imbarazza qualcuno? L’asimmetria nell’impostare un dialogo date le premesse, è di immediata comprensione.
In che modo esattamente vietare alle donne musulmane di andare in spiaggia e fare il bagno in mare vestite – perchè di questo si tratta – dovrebbe placare le tensioni tra due mondi che organizzano l’esperienza (umana) in maniera diversa e che in Francia, ma anche in Europa, sono obbligati non solo a convivere ma ad andare d’accordo, visto che i fedeli musulmani con cittadinanza francese sono l’8% della popolazione totale?
Che differenza intercorre tra lo scegliere di coprirsi o di scoprirsi? Chi scrive è ben felice di indossare un bikini per fare il bagno in mare, ma rispetta la decisione di chi – nella maggior parte dei casi – sceglie diversamente, dato che superato l’imbarazzo, se si sorride a una donna che indossa il cosiddetto “burkini”, si viene corrisposti. Quella di coprirsi o scoprirsi resta una scelta individuale che nel migliore dei mondi possibili nessuna amministrazione dovrebbe giudicare o regolamentare.
La politica è quell’arte capace di governare il conflitto che tra gli esseri umani è ontologico cioè ineliminabile. Una classe dirigente che decida di impiegare risorse ed energie per alimentare questo conflitto invece che cercare di sanarlo non è degna di governare. Vietare alle donne musulmane di andare in spiaggia e fare il bagno perchè vestite è semplicemente un’assurdità.
La Francia in testa, ma più in generale l’Europa di Bruxelles, piuttosto che continuare ad adottare misure che vanno nella direzione opposta della pacificazione sociale, potrebbero concentrarsi sulla continua ridefinizione a cui è sottoposto il principio di laicità all’interno di uno Stato moderno, perchè questo impegno costituirebbe di per sé un terreno comune su cui lavorare, a patto che si sia disposti ad accettare che la religione, dall’ambito privato in cui è stata relegata, possa tornare a manifestarsi anche nello spazio pubblico attraverso i segni visibili che possiede.
Se si ammette che la società è plurale e lo Stato è laico, allora anche un’etica religiosa può avanzare il diritto di essere accettata – tra le altre – all’interno dello spazio pubblico, nel rispetto delle scelte compiute dal singolo cittadino. Lo Stato si fa promotore della libertà di coscienza di tutti, affinché sia resa possibile una coesistenza pacifica tra le componenti della società e le differenti religioni o ideologie.
L’osservazione di chi scrive è che i tempi non siano maturi per intraprendere questo percorso dato che ad affermarsi in Francia, ma anche nell’Europa di Bruxelles, è piuttosto un laicismo militante che altera il concetto stesso di laicità che presuppone che lo Stato rinunci alla pretesa di essere etico (né confessionale né ideologico). Il divieto di indossare l’Hijab o il “burkini” al contrario, attesta efficaciemente questa pericolosa deriva foriera di malintesi e incomprensioni.
Nello specifico secondo l’opinione di Enzo Bianchi, in Francia la laicità così caratteristica per il paese, mostra un’incapacità a tenere conto dell’evoluzione della religione e dei suoi soggetti, finendo per assumere i tratti di un laicismo che vuole assolutamente relegare la religione nel privato, lasciandogli soltanto una dimensione individuale ed escludendola dallo spazio pubblico in cui tutti costruiscono la polis.
Detto con altre parole se la tua società è ANCHE musulmana, fare finta che non lo sia non è tra le strategie vincenti.
di Eliza Ungaro