La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Dietro gli scenari militari dei vari fronti aperti in Siria, si nascondono anche dei progetti di rimappatura demografica che rischiano di cambiare la Siria per sempre.
La Siria ha una grande varietà etnico-religiosa, che avevamo analizzato qui, ma la guerra ne ha esasperato le divisioni, al punto tale da far prospettare una possibile partizione della Siria su base etniche. Anche se nessuno degli attori coinvolti ha messo in discussione l’unità territoriale della Siria, ad eccezione del Pyd (Democratic Union Party) curdo che vuole un Kurdistan indipendente, il rischio di una balcanizzazione è reale e negli ultimi mesi si stanno rafforzando delle tendenze, ormai in corso da anni, che stanno di fatto rimappando la demografia siriana, con vere e proprie politiche di spopolamento e ripopolamento a sfondo etnico-religioso.
Avevamo già accennato al processo di iranizzazione in corso in alcune aree sotto controllo governativo, soprattutto a Damasco e Homs, dove le milizie iraniane (sciite) si stanno stabilendo, a volte con le famiglie, nei quartieri un tempo sunniti e ormai spopolati a causa dei combattimenti (ricordiamo che il 74% della popolazione siriana è sunnita e che il potere è nelle mani dell’etnia alawita, minoranza di matrice sciita). Essendo i territori in mano ai ribelli principalmente sunniti, non stupisce che gran parte degli sfollati e dei rifugiati sia sunnita. Lo spopolamento delle aree sunnite corrisponde però sempre più a un ripopolamento sciita.
Damasco.
Nella capitale, nel 2015, è stato avviato il cosiddetto “progetto iraniano”, un rinnovamento urbano nel quartiere di Mezze, nell’area attorno all’ambasciata iraniana, che tramite decreto legislativo ha portato allo sfratto di circa 200.000 residenti. Le case sono state demolite, ricostruite e vendute ad agenti, militari e lavoratori iraniani e afghani (sciiti). Infatti, sono molti i mercenari afghani reclutati dall’Iran e mandati in Siria a combattere per Assad in cambio della cittadinanza iraniana. Le autorità afghane hanno recentemente arrestato un ufficiale iraniano, Qurban Ghalambor – rappresentante dell’ufficio dell’Ayatollah Khamenei a Kabul – per reclutamento e invio di mercenari afghani in Siria. A questi si aggiungono i lavoratori afghani impiegati in progetti di ricostruzione, che vi si sono stabiliti con le famiglie. Il progetto ha modificato le caratteristiche fisiche e demografiche dell’area e secondo i residenti nessuna compensazione è stata offerta loro e, anzi, si sono rilevate pressioni, anche fisiche (in un caso un uomo è stato ucciso), da parte degli agenti iraniani. Human Rights Watch già nel 2014 denunciava il fenomeno, accusando il regime siriano di demolizioni deliberate e sfollamento forzato di civili.
Homs.
Ad Homs il fenomeno è più esteso, perché il ripopolamento iraniano non coinvolge un quartiere, ma tutta la città. Homs è passata quasi interamente nelle mani del regime e delle milizie iraniane nel 2014, ad eccezione del quartiere Al-Waer, i cui circa 75,000 civili intrappolati si sono arresi all’assedio a settembre e sono stati evacuati a Idlib. Homs è stata rasa al suolo da tre anni di assedio governativo e sono in progettazione dei piani di ricostruzione su circa 217 ettari e 465 aree residenziali, che verranno vendute e popolate da milizie e privati iraniani e afghani (sciiti). Anche perché il catasto di Homs, un tempo città sunnita, è andato distrutto e nessun rifugiato, se mai potrà tornare, potrà provare quali fossero le sue proprietà. Da sottolineare che sono molte le città che hanno perso la documentazione catastale, o perché distrutta nei combattimenti, o perché bruciata deliberatamente dalle milizie conquistatrici.
Latakia.
Anche nell’enclave alawita si registrano casi di ripopolamento: con l’Act of Housing the Displaced, nei quartieri sunniti le case vengono espropriate e affidate a lealisti e Shabeeha (le forze paramilitari del regime). L’esproprio avviene spesso previo arresto o coscrizione forzata dei cittadini sunniti, oppure costrigendoli ad andarsene da soli: i quartieri sunniti vengono lasciati senza elettricità, acqua corrente, raccolta rifiuti, per cui molti se ne vanno volontariamente.
Manbij.
A Manbij, la città che le milizie curde dell’Ypg hanno liberato dopo 2 anni di oppressione dell’Isis ad agosto, i festeggiamenti sono stati accompagnati da un inquietante episodio: secondo fonti locali l’amministrazione curda del Pyd che ha preso il controllo della città avrebbe dato alle fiamme l’edificio del catasto cittadino, distruggendo tutti i registri. Sarebbe un tentativo per eliminare ogni traccia documentata delle proprietà della popolazione araba locale e per inglobare anche Manbij nel Kurdistan che l’Ypg vorrebbe veder nascere.
Non è un caso isolato: la distruzione dei registri si è verificata anche in altre città, a prevalenza araba, conquistate dall’Ypg, ed è stata accompagnata da espropriazioni di beni, demolizioni di case, arresti arbitrari e sfollamento forzato ai danni delle popolazioni arabe, il tutto documentato e denunciato da varie organizzazioni umanitarie, come Human Rights Watch (rapporto giugno 2014), Amnesty International (rapporto ottobre 2015) o KurdWatch.
Gli obiettivi dell’Ypg, che avevamo visto qui, si riassumono in un dichiarato progetto politico su basi etniche (l’agognato Kurdistan), che non fa che aumentare le tensioni non solo con le popolazioni arabe, ma persino con il regime siriano, che il 18 agosto ha lanciato, per la prima volta, bombardamenti aerei contro le milizie Ypg ad Hasaka.
Le evacuazioni sponsorizzate dall’Onu.
A tutto ciò si aggiunge lo spopolamento di aree sunnite tramite evacuazioni “mediate” dall’Onu, delle zone sotto assedio governativo costrette alla resa per evitare lo sterminio. Negli ultimi mesi è avvenuto in molti sobborghi di Damasco: Daraya, Moadamiya, Douma, Al-Hameh e Qudsaya, secondo la strategia “surrender or starve“. Il copione è sempre lo stesso: pullman verdi e bianchi, scortati da Mezzaluna Rossa e veicoli dell’Onu, evacuano ribelli e civili dalle zone che vengono consegnate al regime siriano verso Idlib. Nel caso di Daraya, delle stimate 8.000 persone intrappolate da un assedio che durava dal 2012, un migliaio (tra ribelli e civili) sono stati evacuati, gli altri sarebbero dovuti essere smistati altrove dalle autorità governative, ma di fatto molti sono stati arrestati. A Daraya si sono già insediate almeno 300 famiglie irachene sciite, sotto la supervisione delle autorità siriane. L’Onu è stato accusato di complicità in “pulizia etnica”, in quanto di fatto sta favorendo la ricomposizione demografica siriana sponsorizzando la deportazione forzata di sunniti nella provincia di Idlib e contribuendo alla “sciizzazione” dei territori governativi.
Si rammenta che, in base all’art. 7 dello Statuto di Roma, il trasferimento forzato della popolazione, anche parziale, è un crimine contro l’umanità.
Daraya (Damasco) vista da un drone - credits to: Russiaworks.ru
Potrebbe far parte di questa rimappatura demografica siriana anche la campagna militare russa, nella misura in cui colpisce deliberatamente ospedali, scuole e aree residenziali delle zone (sunnite) in mano ai ribelli. Infatti, la necessità militare dei bombardamenti russi su scuole e ospedali non è stata dimostrata, anche se al contrario è stato dimostrato che sono bombardamenti deliberati sui civili, tanto che persino Medici Senza Frontiere ha smesso di comunicare all’aviazione russa (e siriana) le coordinate dei suoi ospedali, visto che poi vengono puntualmente bombardati. La conseguenza più diretta di tali operazioni è l’esodo di centinai di migliaia di civili (sunniti).
Quali che siano le motivazioni politiche e strategiche degli attori coinvolti, in Siria è in corso una ricomposizione demografica su scala sempre maggiore che rischia di essere irreversibile.
di Samantha Falciatori