Cosa sta succedendo all’Europa? Dopo l’ultimo Consiglio europeo che si è tenuto a Bratislava il Vecchio continente pare si stia lentamente sgretolando. Da una parte l’Italia che, ancora, chiede aiuto per la gestione dei migranti, dall’altra i paesi del gruppo “Visegrad” che vorrebbero rivedere i Trattati fondativi proprio per la stessa ragione.
Cosa sta succedendo alla vecchia cara Europa? Dopo la Brexit, che ha sconvolto la politica britannica non più di tre mesi fa, nonostante le tragedie che continuano a interessare il Mediterraneo, ma anche nonostante i “muri” che pare crescano velocemente lungo i confini, l’Unione europea deve fare i conti con i problemi che la stanno dilaniando dall’interno.
Al termine del summit informale dei Capi di stato e di governo che si è tenuto a Bratislava due settimane fa (il primo senza il rappresentante del Regno Unito), l’Europa ha tutti i nervi scoperti.
Da un lato si stanno facendo largo i cosiddetti paesi del “gruppo Visegrad” (ovvero Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) che, sotto l’egida del premier magiaro Viktor Orbàn, hanno chiesto ufficialmente la ridiscussione di tutti i Trattati europei per dare più spazio di manovra ai Governi degli Stati membri, limitando il potere della Commissione, rea di essere troppo lontana (e spesso troppo accentratrice) e di non ascoltare abbastanza le esigenze avanzate dai Governi nazionali.
Pesanti come macigni le posizioni “estreme” del premier slovacco Robert Fico e di quello ungherese Orbàn che hanno minacciato di non voler accogliere più immigrati provenienti da Italia o Grecia, paventando, ancora una volta, l’innalzamento di ulteriori muri ai confini con gli stati balcanici.
“No” a quote obbligatorie di migranti, imposte dai vertici dell’Ue, “si” invece a un’ autonoma gestione del fenomeno, di modo da poter monitorare in maniera ottimale l’arrivo dei richiedenti asilo anche, e soprattutto, in funzione del potenziale di ogni singolo Stato.
Insomma, secondo i quattro Governi Visegrad sarebbe opportuno che ogni singolo esecutivo nazionale possa decidere, in totale autonomia, le misure concrete da attuare e soprattutto quanti migranti o profughi accogliere entro i propri confini.
Per molti, questa degli stati dell’Est europeo, è una posizione egoistica che tralascia di considerare il beneficio che gli stessi paesi, hanno tratto dal processo di integrazione europea.
Credo che sia importante che noi tutti facciamo una valutazione onesta della situazione attuale per fornire la migliore base possibile per costruire il nostro futuro insieme, quello che ci serve è una forte volontà politica. É giunto il momento di raccogliere la sfida”.
Queste le parole con le quali il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha accolto a Bratislava i 27 Capi di stato e di governo, cercando di portare sul tavolo una “road map” capace di unire gli Stati membri che qualora agissero autonomamente rischierebbero solo di provocare spaccature insanabili.
A Bratislava non si è registrata solo l’insofferenza dei quattro paesi dell’Est Europa, ma anche la totale mancanza di fiducia espressa dal presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi che, per la prima volta da quando siede al tavolo dei “big” europei, ha abbandonato le trattative in dissenso con le posizioni condivise della cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente francese Françoise Hollande.
Il nodo principale del dibattito europeo restano le politiche economiche dell’Unione.
Per il Governo italiano, infatti, la politica di austerity “imposta” da Bruxelles non ha funzionato, tanto che il premier Matteo Renzi accusa la stessa Germania di non aver mai rispettato le regole sul surplus commerciale, alla cui osservanza però è obbligata l’Italia.
Angela Merkel, insieme al presidente Hollande, ha invece fatto scudo, esaltato i valori di cooperazione europea e mettendo, citando il linguaggio sportivo, all’angolo il premier italiano.
In questo momento l’Italia ha fatto tutto quello che doveva fare sulla questione della gestione dei flussi migratori, l’Italia ha fatto anche di più, l’Europa invece no”.
Un altro punto in questione trattato da Matteo Renzi resta quello della gestione del fenomeno migratorio – da sempre delegato dalla Commissione agli Stati membri che, secondo il Trattato di Dublino, hanno competenza esclusiva nell’applicazione di misure concrete – che non sarebbe tenuto debitamente in considerazione dalle Istituzioni comunitarie, che abbandonano i Governi nazionali (posizioni in totale dissenso con quanto invece sostenuto da Polonia e Ungheria).
Il vertice di Bratislava è stata un po’ l’occasione, per tutti i Governi, di mettere nero su bianco le debolezze che in questo periodo sembrano le uniche certezze di questa unione.
Da un lato l’unanimità dei rappresentanti dei 27 ha deciso di chiudere ogni trattativa con il Regno Unito fino a quando il Parlamento britannico non si esprimerà sull’attuazione dell’articolo 50 del Trattato sul funzionamento (necessario per il proseguimento della Brexit), dall’altro però sono usciti allo scoperto anche tutti quei problemi di politica economica che non sono per nulla trascurabili, soprattutto dai paesi che “fanno più fatica” a uscire dalla crisi che ha investito il continente.
Se il ministro degli Esteri del Lussemburgo, Jean Asselborn, ha chiesto ufficialmente di “isolare” l’Ungheria, considerata troppo estremista nella gestione dei migranti; il premier greco Alexis Tsipras ha invece auspicato una maggiore unione e coesione tra nazioni per supportare e gestire in maniera pianificata e controllata l’accoglienza di migliaia di profughi in arrivo o già presenti sul territorio greco. Insomma, o dopo il vertice di Bratislava l’Europa cambia decisamente passo, o rischia di iniziare a sgretolarsi, rimanendo sommersa dalle sue stesse macerie.
di Omar Porro