Le elezioni comunali in Libano hanno rivelato nuove tendenze oltre all’emergere di una società civile che ha ottenuto un buon seguito tradotto in elevate percentuali di voto. Cosa significa per il paese dei cedri?
In Libano il mese di Maggio è stato scandito dalle tornate elettorali per le comunali, le prime organizzate in 6 anni. A Beirut l’affluenza è stata molto bassa, circa il 20%, mentre la più alta, quasi il 50%, si è registrata nella Valle del Bekaa, bastione del movimento sciita Hezbollah (Partito di Dio), che si è presentato in coalizione con il Movimento Amal, vincendo sia nella Valle del Bekaa che nel sud del Libano. A Beirut ha invece vinto la Beirutis List, vicina al governo, guidata da Jamal Itani e sostenuta dall’ex Primo Ministro Saad Hariri. Nonostante la vittoria dei due grandi “partiti tradizionali”, è da rilevare l’avanzata dei loro nuovi avversari, espressione di un crescente malcontento tra la popolazione.
Per quanto riguarda Hezbollah, va rilevata una crescente opposizione anche nelle zone più saldamente sotto il suo controllo. La popolazione ne denuncia l’incapacità politica nella risoluzione di problematiche locali (crisi dell’acqua e dei rifiuti, poca corrente elettrica, abusivismo, criminalità ecc..) e in molti hanno accordato la preferenza all’opposizione, come il partito Baalbek Madinati (laico e con candidati della società civile) nella valle del Bekaa o i partiti Ghobeiry e Bourj al-Barajneh a Dahiyeh (il comune più ricco in mano a Hezbollah, nella periferia meridionale di Beirut). Il successo ottenuto da queste liste ha spinto lo stesso Segretario di Hezbollah, Nashrallah, a chiamare pubblicamente al voto gli elettori sciiti; un gesto che tradisce la preoccupazione che anche nella stessa comunità sciita – solita appoggiare il Partito di Dio – possano esserci persone insoddisfatte. Uno dei principali fattori di malcontento è anche legato al crescente numero di soldati, che Hezbollah recluta tra gli sciiti, che dalla Siria tornano a casa nelle bare, dopo aver combattuto a fianco delle truppe del Presidente Assad. La retorica della “guerra santa” e della “resistenza” sembra non essere più sufficiente a far accettare alle famiglie sciite il tributo di sangue che una guerra oltre confine comporta.
Per quanto riguarda la Beirutis List, ha vinto per poche migliaia di voti sull’avversaria Beirut Madinati (piattaforma di tecnocrati, professionisti ed esponenti della società civile); una lista rivale di tutto rispetto che ha ottenuto il 40% dei voti, tanto che Hariri si è congratulato con loro.
Il fatto che gli avversari dei “partiti storici” abbiano ottenuto così tante preferenze, nonostante la sconfitta, è indicativo della voglia di rinnovamento, soprattutto tra i giovani, di una politica promossa dalla società civile, che per la prima volta, grazie anche al sostegno di potenti famiglie locali, è diventata una forza eleggibile. Sebbene non abbia vinto, ha comunque ottenuto ampio consenso ponendosi come alternativa alla “politica tradizionale”. A questo proposito vale la pena fare qualche considerazione sul sistema elettorale. Sebbene le consultazioni siano state accolte come una grande prova di democrazia, non si può dire altrettanto della trasparenza. Già prima delle elezioni, l’Associazione Libanese per le Elezioni Democratiche (LADE) denunciava che il governo non aveva istituito alcuna commissione di monitoraggio, e anzi aveva rifiutato gli accrediti a LADE, che dopo le elezioni ha pubblicato un rapporto in cui denuncia 647 violazioni elettorali (corruzione, confische di carte d’identità, spogli condotti nel caos ecc..). Tutto ciò aggravato dal fatto che in Libano il voto non è segreto, quindi è più facile influenzare e ricattare gli elettori (senza contare le implicazioni che etnia e religione dell’elettore, identificabile, possono avere). La stessa chiamata al voto da parte di Nasrallah è stata una pressione sull’elettorato sciita, più che un semplice invito. Riforme elettorali, chieste da tempo dalla società civile, gioverebbero alla stabilità del Paese, ma l’attuale classe politica non è aperta a riforme che contribuirebbero a privarli del controllo sul processo elettorale.
Tuttavia, l’emergere di un’alternativa politica, seppur non ancora abbastanza forte da assicurarsi la vittoria, potrebbe contribuire a risolvere un’altro grande problema del Libano, cioè l’assenza di un Presidente della Repubblica dal 2014. Per equilibrare il complesso tessuto etnico e confessionale libanese, la legge prevede che il Presidente della Repubblica sia cristiano maronita, il Primo Ministro sunnita e il Presidente del Parlamento sciita, ma il Parlamento non è ancora riuscito a eleggere un Presidente, sebbene il mandato sia stato esteso per ben due volte. La paralisi istituzionale è dovuta alle divisione del fronte cristiano tra il Movimento Patriottico Libero del generale cristiano maronita Michel Aoun, alleato di Hezbollah (e quindi di Iran e Siria), e delle Forze Libanesi di Samir Geagea, maronita anch’esso, alleato invece del movimento sunnita Futuro di Saad Hariri, appoggiato dall’Arabia Saudita e ostile alla Siria di Assad. Le influenze di grandi potenze come Iran e Arabia Saudita e la guerra in Siria (con quell’1,4 milioni di profughi siriani in Libano, su una popolazione locale di 4 milioni), sono fattori che aggravano la crisi politica. Il mandato del Parlamento libanese termina a giugno 2017 ma, sebbene una terza estensione non sia prevista, la soluzione appare ancora lontana.
di Samantha Falciatori