Lo sviluppo tecnologico degli ultimi anni ha fatto emergere l’esigenza di tutelare il diritto dei singoli protezione dei dati personali: fino a che punto, però, il diritto alla privacy deve essere garantito, qualora dalla sua strenua osservanza possano derivare gravi minacce alla sicurezza nazionale?
Era il 15 dicembre 1890 quando sulla Harvard Law Rewiew, la più famosa rivista giuridica statunitense, apparve l’articolo “The right to privacy” di Samuel Warren e Louis Brandeis, due giovani avvocati di Boston che, a causa di vicende personali che li videro coinvolti, si posero per la prima volta un quesito destinato a rimanere senza risposta: quale rapporto intercorre tra il diritto all’informazione e il diritto alla riservatezza?
Il diritto alla privacy sarebbe nato, negli Stati Uniti, in seguito alla disgregazione della società feudale, come privilegio del cittadino borghese di conservare una sfera personale inviolabile e inconoscibile da terzi, definito da Brandeis “the right to be let alone”. Mentre oltreoceano, originariamente, la privacy non era considerata la realizzazione di un diritto “naturale” proprio di ogni individuo, in Europa questa concezione si affermò già nel Settecento – anche grazie a William Pitt il Vecchio, primo ministro del Regno Unito dal 1766 al 1768 – come un diritto che il cittadino aveva conquistato affrancandosi dalla sudditanza nei confronti della Corona.
Qualche secolo dopo, nel 1950, si avvertì la necessità di inserire tale diritto nella CEDU all’art. 8, tra i diritti fondamentali dell’uomo. Ciò implicò il bisogno di disciplinarlo all’interno delle Carte Costituzionali nazionali, attraverso codici ad hoc ed autorità garanti in materia di protezione dei dati personali.
Negli ultimi anni, il massiccio incremento dell’utilizzo delle nuove tecnologie ha contribuito a riaccendere il dibattito relativo ai limiti che possono essere previsti in merito all’esercizio del diritto alla privacy e a far sorgere l’impellenza della questione riguardante il rapporto tra riservatezza personale e sicurezza nazionale. Recentemente il problema si è posto con riferimento a due casi d’attualità che hanno acquisito una immediata risonanza internazionale: l’uccisione del ricercatore italiano Giulio Regeni, e la strage di San Bernardino negli Usa il dicembre scorso.
In entrambe le vicende, il tentativo delle autorità di acquisire informazioni utili alle indagini attraverso la consultazione di tabulati e dati telefonici è stato ostacolato da “strenui difensori” del diritto alla privacy: il governo egiziano nel primo caso, la Apple nel secondo.
Le reazioni della corporation di Cupertino, la cui mancata collaborazione non ha impedito all’FBI di sbloccare l’iPhone di uno degli attentatori grazie all’aiuto di hacker professionisti, hanno peraltro innescato un clima di tensione che ha contribuito ad accrescere l’attenzione dedicata dalle multinazionali al rispetto della privacy dei propri fruitori. Negli ultimi giorni, ad esempio, Whatsapp ha provato a rafforzare i propri sistemi di sicurezza, introducendo nelle chat la crittografia end-to-end da sempre utilizzata da Telegram che, a sua volta – per voce del suo fondatore Pavel Durov – starebbe sviluppando un nuovo sistema di criptaggio denominato peer-to-peer, al fine di incrementare la riservatezza dei suoi utenti.
@emmanuelksvz We are working on a P2P solution that will make the service unblockable. It’ll take some time.
— Pavel Durov (@durov) 20 ottobre 2015
In un futuro non troppo lontano, pertanto, sarà sempre più difficile per le autorità acquisire intercettazioni o informazioni telefoniche, strumenti fino ad oggi utilizzati non per violare la privacy dei singoli, ma per portare alla luce scandali di grandi dimensioni o per conoscere spostamenti e strategie di pericolosi criminali.
Fermo restando il diritto del singolo di controllare la circolazione di informazioni che lo riguardano per preservare la propria sfera privata da intrusioni illecite, e partendo dal presupposto che la legge si basa sul bilanciamento di interessi contrapposti, fino a che punto il diritto alla riservatezza e alla protezione dei dati personali può esser considerato preminente rispetto alla salvaguardia della sicurezza nazionale?
di Federica Allasia