La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
L’operazione turca è frutto del riavvicinamento con la Russia e di un fragile compromesso incrociato, che riguarda anche Aleppo. Ecco cosa sta succedendo.
Negli ultimi mesi c’è stata un’accelerazione nello scacchiere siriano, che è rimasta un pò oscurata dal dramma umanitario di Aleppo, ma che ha cambiato gli equilibri del conflitto: l’intervento militare turco in Siria.
Dal 24 agosto, all’indomani dell’attacco terroristico che colpì la città turca di Gaziantep, truppe, carri armati e jet turchi, operano in territorio siriano a supporto dei gruppi ribelli dell’Fsa nel nord della Siria in funzione anti-Isis e anti-Ypg (i curdi siriani). L’operazione militare è stata chiamata “Scudo dell’Eufrate”.
L’operazione “Scudo dell’Eufrate” mira da un lato a mettere in sicurezza e eliminare la presenza di Isis lungo il confine turco, e dall’altro a fermare l’avanzata dei curdi dell’Ypg e l’allargamento del Rojava – la regione curdo-siriana, embrione di un possibile Kurdistan. Grazie all’intervento e alla copertura aerea turca, i ribelli hanno sottratto all’Isis decine di villaggi e alcune importanti città, come Jarablus, al Rai e Dabiq (città che tra le altre cose aveva un’imporante ruolo di propaganda, visto che dà il nome ad una rivista ufficiale di Daesh), ricacciando Isis verso est e creando una lunga zona cuscinetto.
Scontro Fsa-Ypg e le (apparenti) contraddizioni americane.
A settembre, forze speciali statunitensi sono state dispiegate a Jarablus e al Rai per sostenere l’avanzata dei ribelli contro Isis. Non tutte le brigate Fsa hanno gradito: ad al Rai alcune fazioni, come Ahrar a-Sharqiyah, hanno allontanato i militari Usa, criticandone il sostegno alle milizie curde dell’Ypg, rivali dell’Fsa e considerati terroristi per la loro vicinanza al Pkk (il Partito dei lavoratori curdo, attivo soprattutto in Turchia).
Questo episodio, piccolo ma significativo, condensa tutte le contraddizioni della strategia americana in Siria nella lotta all’Isis. Da un lato la Cia assiste militarmente e logisticamente le brigate Fsa, dall’altro il Pentagono fa lo stesso con i curdi dell’Ypg, noncurante del fatto che Fsa e Ypg abbiano interessi opposti: l’Ypg vuole creare un Kurdistan indipendente per soli curdi, a discapito delle popolazioni arabe locali e dell’unità territoriale della Siria, senza disdegnare l’aiuto del regime siriano (alleandosi talvolta con esso anche sul fronte di Aleppo) e della Russia, mentre l’Fsa ha come prerogativa l’unità del Paese e la lotta senza quartiere al regime siriano.
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Il Governo siriano ha fatto sapere la scorsa settimana che la presenza militare della Turchia in Siria potrebbe causare un’ulteriore “pericolosa escalation” e che “viola la sovranità siriana”
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Questa apparente contraddizione si spiega con il fatto che la priorità degli Usa non è combattere Assad, come avevamo spiegato qui, ma Isis, anche a costo di sostenere attori rivali. Le frizioni però sono inevitabili, e tra Fsa e Ypg è in corso una sorta di competizione per liberare per primi i territori dell’Isis, a cominciare dalla città di al Bab, ultima roccaforte dell’Isis nella provincia di Aleppo, e dove è probabilmente in preparazione anche un’offensiva governativa.
Bombardamento turco contro posizioni SDF nel nord della provincia di Aleppo. Credits to: ANHA News
Il riavvicinamento tra Turchia e Russia.
L’intervento turco in Siria non può che essere avvenuto con il consenso (tacito) della Russia, ed è il frutto più tangibile del riavvicinamento tra Erdogan e Putin: “Scudo dell’Eufrate” è iniziata pressoché in concomitanza con l’assalto russo-siriano su Aleppo-est, e questa potrebbe non essere una coincidenza. L’accordo per le forniture di gas russo alla Turchia ha sancito il riavvicinamento tra Ankara e Mosca, avvicinamento che riguarda anche la Siria.
Il tacito accordo comprenderebbe da un lato Aleppo, su cui a fine ottobre si è tentato un compromesso quando Erdogan ha accettato di distinguere gli jihadisti di al Nusra dai ribelli detti moderati. Da qui la Russia ha annunciato uno stop dei bombardamenti per permettere a civili e ribelli moderati di lasciare la città (offerta però rifiutata dai diretti interessati, anche perché lo stop dei bombardamenti non è stato del tutto implementato); dall’altro lato è stato offerto il consenso russo a “Scudo dell’Eufrate” e alla creazione di una zona cuscinetto in mano ai ribelli che di fatto costituisce quella safe zone da anni chiesta dalla Turchia (con buona pace di Bashar al-Assad).
La corsa per al Bab.
In questo compromesso c’è però una linea rossa: Fsa e Turchia non devono conquistare al Bab, troppo vicina ad Aleppo, e la cui riconquista da parte dell’Fsa comprometterebbe la stessa campagna russo-siriana su Aleppo. Proprio Aleppo è infatti il principale motivo di contrasto tra Ankara e i ribelli impegnati in “Scudo dell’Eufrate”: questi ultimi vorrebbero rompere l’assedio di Aleppo, che non è invece una priorità turca, verosimilmente per via del compromesso con Mosca.
È dunque al Bab l’anello debole del compromesso, troppo importante sia per l’Fsa – perché costituirebbe una base strategica per rompere l’assedio di Aleppo – sia per la Turchia, che non può lasciare che al Bab venga liberata dall’Ypg e inglobata nel Rojava curdo. È una linea rossa destinata ad essere varcata, come lo stesso Erdogan ha dichiarato in un discorso a Bursa il 22 ottobre. Al Bab è la prossima fase dell’operazione “Scudo dell’Eufrate“ e il tempismo della sua conquista sarà cruciale per Aleppo.
E il Governo siriano?
Nessun compromesso può escludere il consenso di Damasco. Il Governo siriano ha formalmente condannato l’intervento turco come violazione della sovranità territoriale della Siria, ma di fatto non lo ha ostacolato. La prima reazione siriana c’è stata solo a fine ottobre, quando un elicottero siriano ha sganciato barili bomba sull’Fsa, uccidendo alcuni combattenti.
Damasco non ha emesso comunicati ufficiali circa l’accaduto, ma è da rilevare che questo bombardamento avviene a ben due mesi dall’inizio dell’operazione turca. Infatti, nonostante la dovuta condanna ufficiale, anche il Governo siriano ha un certo interesse nel frenare le ambizioni territoriali dell’Ypg e la formazione di un Kurdistan indipendente. Sebbene le truppe siriane abbiano più volte sostenuto quelle curde nella lotta ai ribelli, non sono mancate frizioni tra le due parti, culminate con gli scontri militari per il controllo di Hasaka.
Anzi, recentemente la Siria avrebbe rifiutato un piano propostole dalla Russia (qui il testo originale in arabo) che prevedeva, tra l’altro, una federazione della Siria in cui il Kurdistan potesse godere di ampia autonomia. La proposta prevedeva anche la modifica del nome del Paese da “Repubblica araba siriana” a “Repubblica democratica siriana”. Per la Siria, storicamente paladina e protettrice del nazionalismo arabo, questa è una condizione inaccettabile.
E adesso?
Questa fitta rete di interessi incrociati e concessioni sta ridefinendo i rapporti di forza nello scacchiere siriano, a cui si aggiunge l’enunciata (per ora, a parole) convergenza di posizioni tra il neoeletto Presidente americano Trump e il Presidente russo Putin, che potrebbe avere importanti conseguenze anche sul conflitto siriano.
Gli equilibri che circondano l’intervento turco sono però fragili perché contingenti. Le rivalità tra gli attori coinvolti sono bombe a orologeria: al Bab sarà una grande sfida per questo compromesso, cui farà seguito al Raqqa, “capitale” dell’autoproclamato “califfato” e prossimo obiettivo militare dopo la liberazione di Mosul in Iraq; sarà una corsa contro il tempo tra Fsa e Turchia da un lato, e Ypg e Usa dall’altro. L’Ypg ha già annunciato di voler inglobare Raqqa nel Kurdistan, sebbene sia a prevalenza araba sunnita. Le tensioni etniche si mescolano inevitabilmente a quelle militari e in questo scenario le prospettive di partizione si fanno sempre più realistiche.
di Samantha Falciatori