L’Alta Corte inglese ha sentenziato che non è nelle prerogative e nei poteri del Governo appellarsi all’art. 50 dei Trattati europei, bensì del Parlamento, detentore della sovranità popolare. Una sentenza forse scontata, dalle conseguenze però imprevedibili.
Tra i tanti quesiti che riguardano il processo verso la brexit, nei scorsi giorni se ne è aggiunto uno ulteriore: il Governo del Regno Unito dispone dei poteri per attivare l’articolo 50 del Tfue? Oppure tale compito spetta al Parlamento in qualità di Istituzione rappresentativa dei cittadini britannici?
Il 3 Novembre 2016 l’Alta Corte del Regno Unito, decidendo sul caso R (Miller) vs Secretary of State for Exiting the European Union ha risposto, ritenendo che sia compito del Parlamento, e non del Governo, decidere su una questione come la brexit, mettendosi di fatto in contrasto con il cabinet di Theresa May, Primo ministro britannico.
Sebbene la pronuncia abbia dei risvolti politici di non poco conto, la Corte tende a precisare che “l’oggetto del giudizio è una pura questione di diritto e tale pronuncia esula dalla volontà di esprimere un giudizio nel merito circa l’opportunità politica di lasciare o meno l’Unione europea”.
La Corte chiarisce come fin dall’inizio del percorso di integrazione europea il Parlamento inglese abbia avuto un ruolo fondamentale nell’estensione del sistema di diritto nazionale mediante l’introduzione e l’adesione al sistema comunitario europeo, e di conseguenza al diritto dell’Unione Europea.
Un sistema che non è mai stato derogato nemmeno dall’adozione del “European Union Referendum Act 2015” che ha avuto la mera facoltà di autorizzare un referendum di tipo consultivo senza estendere i poteri della Corona in termini di attuazione dello stesso.
Pertanto, i giudici considerano il referendum del 23 Giugno 2016 uno strumento unicamente di tipo consultivo per i Parlamentari che dispongono degli strumenti più opportuni per valutare e guidare la fuoriuscita dal Regno Unito nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini.
Infatti, il pilastro del bilanciamento dei poteri della monarchia costituzionale inglese s’individua nella supremazia del Parlamento, unica Istituzione britannica in grado di emanare o abrogare leggi. Tale funzione si coordina con i poteri esperibili a livello internazionale dal Governo che devono essere esercitati nell’ambito di leggi definite dal Parlamento in nome della sovranità popolare.
Questo principio, applicato ai Trattati internazionali ed in particolare alla brexit, comporta che il Governo possa sì avviare i negoziati internazionali, ma non possa compiere scelte in grado di modificare la legislazione vigente. Secondo i giudici dell’High Court, quindi, in nome del principio di supremazia, il Governo non ha il potere di attivare l’art.50 senza l’intervento del Parlamento, istituzione a cui fa capo la sovranità popolare.
Sebbene la Corte abbia chiarito di non volere esprimere un giudizio politico, nei fatti questa sentenza rappresenta un problema per il Governo britannico. La maggioranza che sostiene il Governo di Theresa May infatti non è compatta sulla decisione di abbandonare l’Unione Europea, e può contare su appena 15 voti in più dell’opposizione.
Il Governo inglese si appellerà certamente al giudizio di ultima istanza della Corte Suprema, che potrebbe riunirsi per dibattere di questa questione il 7 dicembre. May però, cosciente di poter incorrere in un altra sconfitta giuridica, ha fatto sapere che in caso di bocciatura del ricorso potrebbe indire nuove elezioni, così da poter formare una nuova maggioranza in Parlamento. Una mossa rischiosa, ma necessaria nel caso in cui il Primo ministro non riesca a negoziare un accordo nel Partito conservatore che detiene l’attuale maggioranza.
di Ilaria Rudisi