La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Nonostante i proclami della fine della guerra all’ISIS, la guerra in Siria prosegue e anzi si aggrava. La ripresa dei bombardamenti su Idlib, a dispetto degli accordi di Astana, rischia di replicare il sanguinoso scenario di Aleppo est. Che impatto avrà?
Nelle ultime settimane il fronte governativo e i caccia russi hanno lanciato un’offensiva sulla provincia di Idlib, l’unica rimasta in mano ai ribelli e roccaforte non solo delle forze di opposizione ma anche delle milizie jhadiste di Hay’et Tahrir al-Sham (HTS, ex Nusra), in quello che è il corollario più diretto del fallimento dei colloqui di pace.
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Nonostante Idlib rientri nelle zone di de-conflitto stabilite dagli accordi di Astana tra Russia, Iran e Turchia, e debba prevedere pertanto la fine dei bombardamenti e l’accesso agli aiuti umanitari e nonostante proprio nel nord di Idlib la Turchia abbia dispiegato alcune truppe, l’aviazione russa ha intensificato negli ultimi giorni i raid aerei, anche con bombe incendiarie (vietate peraltro dal diritto internazionale) per facilitare l’avanzata delle truppe siriane, iraniane e di Hezbollah, che hanno conquistato diversi villaggi e che intendono riprendere il controllo di tutta la regione.
Le operazioni si stanno concentrando nel sud della provincia, dove il fronte governativo punta a riprendere la base aerea di Abu Duhour e la strada che collega Damasco ad Aleppo e che attraversa la provincia di Idlib. Secondo i vertici militari, le operazioni in questa vasta zona di de-conflitto sarebbero legittimate dalla lotta al gruppo HTS, dal momento che i gruppi jihadisti sono esclusi dall’accordo di Astana.
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Tuttavia, i bombardamenti russi stanno colpendo indiscriminatamente aree residenziali e civili in una provincia che, secondo stime delle Nazioni Unite, ospita circa 2,6 milioni di civili, comprese decine di migliaia di sfollati interni fuggiti da altre zone del Paese o deportati a Idlib dalle decine di trasferimenti forzosi operati dal regime in molte aree ribelli dopo la riconquista, come avvenuto ad Aleppo. Trasferimenti forzosi che in base al diritto internazionale sono, come anche concluso dalla Commissione d’Inchiesta ONU, crimini di guerra.
Decine sono infatti le vittime civili dei bombardamenti e decine di migliaia i profughi che tentano la fuga verso nord, al freddo e senza alcuna assistenza umanitaria, costretti in campi di fortuna allagati e privi di risorse, come mostra il video sottostante. Gli attacchi aerei hanno costretto oltre 60mila persone a lasciare le loro case dal 1° novembre, secondo l’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’ONU (OCHA), cifre in rapido aumento in questi giorni.
Il portavoce dell’OCHA, Jens Laerke, ha dichiarato che nella provincia di Idlib il 55% delle comunità è sovraccarico di profughi, che in molte zone costituiscono oltre il 70% della popolazione totale. L’OCHA ha anche denunciato che a causa dei bombardamenti alcune organizzazioni umanitarie hanno dovuto interrompere l’assistenza nelle zone colpite, aggravando ancor di più una situazione umanitaria, già al limite.
Il recente fallimento dei colloqui di pace di Ginevra per via del rifiuto del regime di dialogare con l’opposizione è stato il chiaro segnale che la soluzione al conflitto siriano è militare, nonostante i vari proclami internazionali che sostengono il contrario. Come avevamo visto qui, il regime non ha alcun interesse a trovare una soluzione politica, forte dell’indefesso sostegno militare russo e iraniano. Ciò significa che nonostante l’annuncio strumentale della fine della lotta all’ISIS e l’altrettanto strumentale annuncio di Putin del parziale ritiro delle forze russe dalla Siria, le violenze continueranno in nome della lotta ad HTS e il numero di profughi aumenterà, nella ormai consueta assenza di qualsiasi misura di protezione per la popolazione civile.
Lo scenario che si profila è infatti una violenta riconquista militare che rischia di replicare il bagno di sangue registratosi ad Aleppo est nel dicembre 2016, con la differenza che allora 50mila civili vennero risparmiati dal massacro dalla mediazione turca che riuscì a ottenere una evacuazione di massa verso Idlib che, pur crimine di guerra, salvò loro la vita. Dove potranno fuggire ora i civili di Idlib?
di Samantha Falciatori