La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
La settimana di cessate il fuoco in Siria si è rivelata un insuccesso, e si è conclusa con una serie di violazioni, incidenti, scambi di accuse e, di fatto, nessun risultato concreto. Ecco a che punto siamo.
I primi giorni del cessate il fuoco, iniziato nel giorno della festa dell’Eid al-Adha, avevano visto una riduzione delle ostilità e avevano fatto sperare. Ma come già avvenuto in passato, l’ottimismo è durato poco: a una settimana esatta dall’inizio, il regime siriano ha unilateralmente annunciato, nella giornata di lunedì 19 settembre, il fallimento dell’accordo dopo che per giorni anche i russi avevano paventato il suo fallimento a causa degli attacchi di alcuni gruppi ribelli – che a loro volta hanno accusato i governativi di non rispettare la tregua. La fine della tregua si è aperta con una serie di bombardamenti aerei su Aleppo (un centinaio, tra bombardamenti siriani e russi) che hanno colpito anche un convoglio Onu-Mezzaluna Rossa di circa 20 furgoni carichi di aiuti umanitari. Dodici operatori hanno perso la vita, tra cui il direttore della Mezzaluna Rossa Omar Barakat, e almeno 48 persone sono rimaste ferite. Definendolo un probabile crimine di guerra, l’Onu ha sospeso le attività dei convogli sul terreno.
L’accordo, frutto di una proposta che gli Stati Uniti avevano presentato alla Russia a luglio e che avevamo analizzato qui, non era stato pubblicato per via delle informazioni sensibili che conteneva, indice tuttavia che la Siria è diventata un’arena per la diplomazia segreta. Anche se la Russia aveva concluso l’accordo sostenendo di avere il consenso di Damasco, il regime siriano non si era pronunciato, anzi: nelle ore immediatamente precedenti l’entrata in vigore Assad aveva annunciato che si sarebbe ripreso ogni centimetro di territorio perso, parlando proprio da Daraya, il sobborgo che dopo 4 anni di assedio si era arreso alle truppe governative. L’opposizione siriana invece aveva accolto l’accordo cautamente, esprimendo molte riserve in una lettera indirizzata agli Stati Uniti.
Le condizioni dell’accordo erano lo stop dei combattimenti tra regime e ribelli e l’accesso incondizionato di aiuti umanitari nelle zone sotto assedio, a cominciare da Aleppo, dove ci sarebbero 300.000 civili in trappola. Se queste condizioni si fossero attuate, sarebbero seguite altre fasi, che, nelle parole del Segretario di Stato USA Kerry, avrebbero potuto portare allo stop dei bombardamenti dell’aviazione siriana, che non avrebbe più potuto operare “in qualsiasi luogo in cui è presente l’opposizione, in un’area che abbiamo concordato con molta specificità, [in modo che] il regime non possa più [..] colpire l’opposizione moderata e legittima mascherando questi attacchi come lotta contro Nusra.” A questo scopo, aveva proseguito Kerry all’annuncio dell’accordo, “se i gruppi della riconosciuta opposizione vogliono mantenere la loro legittimità, devono prendere le distanze in ogni modo possibile da Nusra”. Con il fallimento della tregua viene messa in discussione – forse definitivamente – la possibilità annunciata di coordinamento tra Stati Uniti e Russia sugli attacchi militari contro ISIS e al-Nusra, in zone già determinate in cui l’aviazione siriana non avrebbe potuto operare.
Anche questa volta, sono mancate le precondizioni di base per la sua attuazione.
In primo luogo, l’accesso incondizionato di aiuti umanitari: il governo siriano aveva già rifiutato l’ingresso ai 20 convogli dell’Onu, poi bombardati. L’inviato Speciale Staffan De Mistura aveva infatti condannato la mancata autorizzazione da parte del governo siriano come una violazione dell’accordo.
In secondo luogo, non si è verificata la scissione tra gruppi ribelli moderati e Nusra. Questo punto è particolarmente difficile da implementare, anche volendolo, per varie ragioni. Sebbene ideologicamente e politicamente opposizione moderata e Nusra divergano in modo significativo, dal punto di vista tattico-militare per l’opposizione moderata Nusra è un partner indispensabile contro un nemico comune (il regime di Assad e le sue numerose milizie straniere alleate). Inoltre, se l’opposizione moderata si ritirasse dai territori che condivide con Nusra li perderebbe a tutto vantaggio del regime; se invece dovesse cacciare Nusra dai propri territori, l’esito potrebbe essere catastrofico, dato che Nusra è più potente e meglio armata. L’opposizione, per rinunciare alla convenienza militare derivata dall’alleanza con Nusra avrebbe bisogno di una valida alternativa, oltre al sostegno necessario per combattere il gruppo. Cosa che nessuno degli attori in campo ha finora garantito.
In terzo luogo, innumerevoli sono state le violazioni del cessate il fuoco: a metà settimana violenti scontri sono esplosi a Damasco e sono ripresi ad Aleppo, così come sono continuati i bombardamenti aerei sulle aree ribelli di Idlib, Hama, Homs e Aleppo. I ribelli, sia i moderati dell’FSA che gli islamisti di Ahrar al Sham, che inizialmente avevano accettato l’accordo, hanno poi rilasciato un documento in cui lo hanno rigettato, accusandolo di inefficacia, visto che gli aiuti non sono riusciti ad entrare nelle zone sotto assedio, i bombardamenti sui civili sono proseguiti e la sua implementazione avrebbe dato al regime la possibilità di guadagnare terreno, sfruttando accordi locali di evacuazione (come già avvenuto a Daraya, a Moadamia, e forse a breve ad al-Waer).
Inoltre nel documento i ribelli denunciavano che l’accordo non avrebbe previsto meccanismi di monitoraggio né tanto meno sanzioni per chi lo avesse violato, e che se da un lato escludeva dal cessate il fuoco Nusra, dall’altro non escludeva le innumerevoli milizie libanesi, iraniane, irachene, afghane e pakistane che combattono al fianco delle truppe siriane commettendo anch’esse crimini contro i civili.
Anche la società civile siriana aveva condannato il fallito accordo; 160 tra giornalisti, artisti e intellettuali avevano firmato un documento che lo identificava come lo strumento che avrebbe permesso al regime siriano di continuare a bombardare i civili sulle aree concesse da USA e Russia senza prevedere alcuna transizione politica in chiave democratica – cosa che potrà avvenire solo con la destituzione di Assad.
Le tensioni tra Stati Uniti e Russia
Già prima del fallimento della tregua, la Russia aveva messo in dubbio l’influenza che gli Stati Uniti hanno sul fronte dell’opposizione, ed hanno accusato Washington di non aver mantenuto i termini dell’accordo. Il Generale russo Vladimir Savchenko aveva dichiarato: “Se gli americani non prenderanno le misure necessarie per adempiere ai propri obblighi un collasso del cessate il fuoco sarà imputabile agli Stati Uniti”. Di contro, un portavoce americano ha dichiarato: “Quello che non stiamo vedendo è l’accesso degli aiuti umanitari e sarà difficile costruire fiducia sul terreno finché ciò non si verificherà”, il che è imputabile al governo siriano.
Ora che il regime siriano ha unilateralmente dichiarata nulla la tregua, sono gli Usa che accusano Mosca di non avere sufficiente influenza su Damasco e di essere co-partecipi del fallimento, avendo anche ripreso i bombardamenti aerei.
A rendere più critica la situazione c’è anche l’incidente notturno, avvenuto sul finire della settimana di tregua, che ha visto aerei australiani della Coalizione anti-ISIS colpire una postazione delle truppe regolari siriane a Deir ez Zor, uccidendo quasi 80 militari, tra truppe regolari e milizie straniere alleate. L’Australia ha porto le sue condoglianze alle famiglie dei militari uccisi, mentre gli Stati Uniti hanno aperto un’indagine, esprimendo dispiacere per la perdita di vite umane causate da un bombardamento che era rivolto contro ISIS e che per sbaglio ha colpito truppe siriane. Tuttavia, gli Usa accusano a loro volta la Russia di non averli avvertiti quando gli è stato comunicato che la Coalizione avrebbe bombardato quell’area specifica.
Alla luce di tutto ciò, non solo vengono riconfermate le carenze strutturali dell’accordo, ma anche la scarsa volontà delle parti: il regime siriano non può acconsentire a ridurre a terra la sua aviazione nelle aree rette dai ribelli, dato che sono quelle la sua priorità (e il silenzio con cui aveva accolto l’accordo e la fretta con cui ne ha annunciato il fallimento proprio allo scadere della prima settimana prevista ne sono indice), così come non può, per la sua stessa sopravvivenza, acconsentire a una transizione politica che preveda di condividere o lasciare il potere a una opposizione politica. Allo stesso modo, l’opposizione non può accettare condizioni che non prevedano lo stop dei bombardamenti indiscriminati sui civili, l’accesso incondizionato degli aiuti umanitari e la fine del regime ritenuto responsabile di questi crimini. Pertanto, finché un qualunque accordo non offrirà una soluzione alle radici del conflitto, protezione alla popolazione civile o garanzie alle parti, ogni tentativo sarà destinato a fallire.
di Samantha Falciatori