Cos’è la Grande Divergenza? Che cosa portò le piccole nazioni europee a dominare il mondo per gran parte dell’Epoca moderna? Perché è stata l’Europa a forgiare il mondo in cui viviamo oggi e non, per esempio, la Cina?
Una delle domande più affascinanti della storia dell’umanità riguarda ciò che comunemente viene chiamata la Grande Divergenza. Cioè il il motivo per cui l’Europa ha avuto uno sviluppo economico consistente a partire dal ‘700, mentre il resto del mondo è rimasto sostanzialmente stagnante. La cosa è ancora più particolare se si considera che per tutto il periodo precedente, dal Medioevo all’Età moderna, l’Europa ebbe performance economiche nettamente inferiori rispetto ad aree che, nel corso dell’epoca contemporanea, sarebbero state conosciute per la loro stagnazione.
In particolare è interessante fare un paragone con la situazione della Cina, che è sempre stata nettamente più prosperosa rispetto all’Europa, almeno fino al 1600, eccezion fatta per alcune aree particolarmente avanzate come l’Italia settentrionale nel tardo XV Secolo e l’Olanda nel XVII Secolo. Dalla fine del XVIII Secolo, tuttavia, la Cina venne scalzata dal suo primato, dall’Inghilterra prima, e dal resto dell’Europa – nonché dalle sue estensioni occidentali, quali gli Usa – poi. Ciò accadde prevalentemente grazie al processo di industrializzazione, che in Cina ha avuto luogo molto tardi e in modo quasi artificiale, cioè imposto dall’alto.
Cercheremo di seguito di riassumere alcune teorie sul tema della Grande Divergenza che ha diviso lo sviluppo dell’Est e dell’Ovest, che può essere sintetizzato con la domanda: perché l’Europa si è industrializzata e la Cina no?
Le prime risposte al dilemma della Grande Divergenza arrivano dal XIX Secolo, ed hanno una connotazione prevalentemente eurocentrica: numerosi autori, da Max Weber a Marx stesso, hanno risolto la questione spiegandola attraverso le caratteristiche culturali tipiche europee, che invece mancavano nei grandi imperi asiatici (o americani, o africani). Tali caratteristiche andrebbero cercate, secondo questi autori, nell’orientamento verso il mercato tipico del capitalismo europeo, che in alcuni casi viene fatto discendere direttamente dalla morale cristiana e protestante.
Questa “cultura mercantile” avrebbe contribuito a modellare le strutture e i sistemi politici del continente europeo, favorendo l’ascesa del parlamentarismo, un sistema che alimenta il funzionamento del mercato e quindi della performance economica, in quanto elimina i privilegi e garantisce, più o meno stabilmente, la proprietà privata. Secondo questi autori, il dispotismo di matrice orientale non era adatto a supportare una crescita basata sul mercato.
Altre teorie sulla Grande Divergenza tentano di spiegare l’aumento del gap di sviluppo tra Europa e Asia orientale. Si concentrano sui difetti strutturali dell’economia cinese, che avrebbero portato l’Impero Celeste alla stagnazione. In primis, una crescita non controllata della popolazione, che avrebbe determinato nei territori cinesi la cosiddetta “trappola Malthusiana”, ovvero: quando la crescita della produzione agricola non tiene il passo con la crescita della popolazione. Questo connubio avrebbe portato a minori investimenti (per via di un reddito pro-capite minore) e un salario medio più basso (per via della maggior offerta di lavoro), e avrebbe creato le condizioni per cui sarebbe stato poco profittevole la meccanizzazione della produzione, penalizzando l’industrializzazione.
Spiegazioni che oggi appaiono molto parziali, se non del tutto errate. In primo luogo, questi fattori non sono in grado di spiegare per quale motivo, dall’antichità al Rinascimento, la Cina sia stata, di fatto, la maggior potenza economica globale. In secondo luogo, come è stato messo in evidenza da alcuni autori moderni – il cui caposcuola è sicuramente stato Kenneth Pomeranz, autore del libro “La grande divergenza” (Il Mulino, 2012) – le differenze, anche dal punto di vista sociale, tra la Cina e l’Europa nell’età premoderna non erano così accentuate.
Dati alla mano, crescita della popolazione, salari medi e produttività agricola erano, nel periodo pre-industriale preso in analisi, pressoché identici ai due estremi dell’Eurasia. Inoltre, l’economia cinese mostrava molte peculiarità tipiche del liberalismo economico, per certi versi anche più dell’Europa. Infatti, non vi erano in Cina elementi che potessero distorcere il commercio interno o il mercato del lavoro: le varie dinastie imperiali cercavano di limitare il meno possibile l’attività commerciale, senza contare che la Cina aveva il sistema infrastrutturale di comunicazione fluviale più avanzato ed esteso al mondo, che collegava in maniera efficiente i vasti territori dell’Impero.
In Europa invece, dogane, confini, dazi, gabelle e frequenti guerre, limitavano fortemente il commercio su vasta scala, per non parlare del fatto che i contadini rimanevano ancorati, in alcune zone, a rapporti di tipo feudale. C’è di più: in Cina si stava sviluppando una fiorente attività che possiamo definire “proto-industriale”, ovvero un impiego della manodopera stagionale nel settore tessile, sfruttata dai mercanti cittadini che procuravano la materia prima e rivendevano il prodotto finito: un po’ come il sistema putting out in uso tra il XVI e il XVII secolo prima in Inghilterra e poi sul continente europeo.
In Cina le caratteristiche di un’economia in procinto di industrializzarsi c’erano tutte, quindi perché l’Inghilterra sì e il Delta dello Yangtze (l’area economicamente più avanzata della Cina premoderna, nei cui pressi oggi sorge Shanghai) no? Pomeranz, nella sua analisi, individua due cause che coincidono con gli elementi essenziali della prima industrializzazione europea: il cotone e il carbone.
Il primo, infatti, ha fatto sì che l’Inghilterra divenisse la fabbrica del mondo per quel che riguarda la produzione tessile, il secondo ha permesso di sfruttare una fonte di energia molto più efficiente di quelle allora conosciute. Entrambi questi elementi, inoltre, hanno contribuito al “risparmio di terra coltivata”. Il carbone ha fatto sì che il legno fosse abbandonato come fonte energetica, con la conseguente liberazione di terra coltivabile.
Il cotone, venendo prevalentemente importato dalle colonie nelle Americhe, non necessitava di essere coltivato in modo massiccio in patria. Ciò ha fatto sì che l’Inghilterra non dovesse impiegare la sua forza lavoro nel ripristinare la fertilità di terreni portati all’estremo della loro capacità produttiva, con conseguente dispendio di risorse, come hanno fatto invece la Cina e gli altri paesi che non hanno potuto sfruttare le risorse in mano agli inglesi (i giacimenti di carbone e lo sfruttamento coloniale).
Benché il lavoro di Pomeranz sulla Grande Divergenza sia innovativo e sia stato acclamato da più parti, ha attirato su di sé diverse critiche. Vediamole:
- Anche se la Cina avesse conquistato l’America, non l’avrebbe sfruttata come è stata sfruttata dalle potenze europee, per il semplice fatto che le varie dinastie non avevano instaurato un regime giuridico internazionale come quello dello “jus publicum europaeum”, in cui i conflitti tra potenze europee potevano venire “esternalizzati” nelle colonie. La Cina infatti ha avuto diversi viaggi esplorativi, sia nell’entroterra sia verso il mare, specie nell’Oceano Indiano e verso l’Africa, ma in nessun caso i cinesi hanno instaurato avamposti fissi o un controllo territoriale pari a quello delle colonie europee. Anzi, è famosa la storia delle esplorazioni di Zheng He, Grande Eunuco dell’Impero, musulmano, a cui l’imperatore cinese dell’epoca aveva affidato la guida della maestosa flotta imperiale per compiere, nel giro di 30 anni – dal 1405 fino 1433 – sette viaggi esplorativi verso occidente. Eppure, nel 1434 il governo cinese decise di smantellare la stessa flotta, e vietò la costruzione di navi capaci di solcare i mari per lunghe distanze, dando inizio ad una lunga epoca di isolamento auto-indotto.
- Nonostante gran parte delle materie prime della prima industrializzazione venissero dal Nuovo Mondo, queste dovevano essere comprate come se fossero vendute sul mercato. Il cotone veniva prodotto (per gli inglesi) dagli Stati Uniti del sud, che sono diventati indipendenti proprio negli anni in cui l’industrializzazione prendeva il volo. Anche se gli inglesi non avessero potuto prendere il cotone dall’America, avrebbero potuto farlo dall’Egitto o dall’India o dalla Cina stessa, e la situazione non sarebbe cambiata di molto, anzi, per via della scarsità della forza lavoro in America è probabile che il cotone americano fosse più costoso.
- La Cina, peraltro, ha vastissime riserve carbonifere, molte di più di quante non ne avesse l’Inghilterra. L’unico svantaggio era la posizione: mentre quelle inglesi erano vicine a centri produttivi e industriali quali Birmingham e Manchester, le riserve cinesi di carbone erano a molti km di distanza dal centro economico dell’Impero, che era appunto l’area costiera nei pressi di Shanghai. Secondo Pomeranz, questo svantaggio geografico ne ha reso difficile lo sfruttamento. Eppure lo stesso Pomeranz elogia il vastissimo ed efficientissimo sistema di trasporto fluviale cinese, che non aveva pari in Europa. Se vi era tale disponibilità di risorse, e i benefici dall’utilizzo del carbone erano così evidenti, perché nessuno ha sfruttato la cosa?
Le cause della Grande Divergenza vanno ricercate, secondo altri studiosi come Roy Bin Wong – storico dell’economia cinese all’Università della California e direttore dell‘Asia Institute – in una serie di processi che hanno favorito l’innovazione tecnologica nell’area europea molto più segnatamente rispetto a quello che è stato possibile osservare in Cina. Fattore questo non negato persino da Pomeranz, che ha sempre cercato di sminuire la “superiorità” europea in qualunque campo.
Wong pensa che il costante “stato di guerra” (o pace armata) tra le diverse Nazioni europee, abbia portato al concentrarsi nelle città della manifattura, dove cioè c’era meno probabilità di essere attaccati da eserciti invasori e dove i salari dei lavoratori sono più alti.
Per questo, gli imprenditori manifatturieri hanno cercato di basare i loro processi produttivi su tecnologie che risparmiassero lavoro, troppo costoso rispetto alla sua controparte. Così, a lungo andare, l’Europa ha potuto sviluppare una conoscenza e un sistema produttivo basato sullo sviluppo tecnologico, che ha trovato il suo compimento nel processo di industrializzazione.
Europa e Cina, inoltre, si sono distinte storicamente in due aspetti:
- l’Europa è quasi sempre stata spezzettata in un numero grandissimo di Stati, città-stato, feudi e polity di vario tipo, spesso in lotta e competizione tra di loro. Questo tipo di struttura politica continentale – sia nel periodo della Res Publica Christiana medievale, sia nel periodo westfaliano dello Jus Publicum Europeaum – ha sicuramente favorito la concorrenza.
- L’Europa inoltre ha posseduto fin dal Basso medioevo, e soprattutto dal periodo rinascimentale in poi, un sistema bancario e finanziario sviluppato e quasi sempre autonomo rispetto il potere politico. Nell’industrializzazione il ruolo del capitale è determinante: all’origine del sistema bancario europeo vi sono i traffici commerciali (anche se alcuni storici, da questo punto di vista, sono scettici, e sostengono che non si è ancora riusciti a capire se il progresso nel sistema bancario sia stato una causa o un effetto dei traffici commerciali).
Come era la situazione in Cina, in quello stesso periodo storico? Il governo è stato per lo più unitario, e possedeva una struttura che nelle sue forme essenziali risaliva agli inizi dell’Impero cinese. Vi erano lotte interne, ma erano più che altro lotte per il controllo dell’intero spazio cinese. Inoltre non risulta che vi fosse un sistema bancario degno di nota, o quanto meno sviluppato come quello europeo.
Il tema del frazionamento politico – e quindi della competizione – ricorre molto spesso nelle varie teorie che tentano di spiegare “la grande divergenza”. Tra gli altri testi degni di nota, e che occorre citare, ci sono il famoso testo dello studioso poliedrico (biologo, fisiologo, antropologo, storico) statunitense Jared Diamond “Armi, acciaio e malattie” (Einaudi, 2006) e il più recente “Occidente. Ascesa e crisi di una civiltà.” di Niall Ferguson (Mondadori, 2012).
Questi autori, anche se arrivando da ragionamenti talvolta diversi, riconoscono generalmente che tra i motivi per cui la Cina non si è mai imbarcata in imprese coloniali (pur avendone la possibilità c’è stato il fatto che l’Impero, nel proprio spazio geografico, non possedeva rivali – se non in qualche modo il Giappone, che però ha vissuto in sostanziale isolamento fino al XIX Secolo.
Inghilterra, Francia, Spagna e Olanda, ad esempio, hanno costruito i loro imperi coloniali proprio in funzione competitiva gli uni contro gli altri. La teoria che la guerra sia stata generatrice di progresso ha alla base l’idea che in Europa la frammentazione territoriale portò ad un costante stato di conflitto tra i sovrani, cosa che in Cina non avveniva.
Al netto delle complesse motivazioni storiche e politiche, potrebbe esserci stata anche una motivazione geografica per cui da una parte – in Europa – si sia creata una realtà territoriale frammentata, mentre dall’altra – in Cina – il sistema imperiale è riuscito a sopravvivere in maniera più o meno continuativa fin dall’antichità. Nel complesso, Cina ed Europa hanno più o meno la stessa estensione, ma gli ostacoli naturali in Europa sono molto più accentuati rispetto a quelli presenti in Cina: catene montuose importanti come le Alpi e i Pirenei, ampi tratti di costa circondano l’intera Europa, il territorio europeo è molto più boschivo, ecc.
Tutte queste spiegazioni, ovviamente, non esauriscono la complessità della domanda iniziale, ma sono un buono spunto per inquadrare la questione della Grande Divergenza e dell’evoluzione storica del progresso alle due estremità del continente euroasiatico.
di Giacomo Cattelan, integrazioni dal forum Storia e Politica - editing di Lorenzo Carota.