La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
La tortura in Siria è prassi di governo consolidata e, secondo l’Onu, siamo nella fattispecie di crimine contro l’umanità. Le foto del caso Caesar, in mostra a Roma, sono state dichiarate prove ammissibili in un eventuale Tribunale internazionale.
La Commissione d’Inchiesta Indipendente sulla Siria delle Nazioni Unite ha concluso, nel rapporto di febbraio 2016, che le torture di massa che sono avvenute e che avvengono nelle carceri siriane ammontano a “una politica di Stato di sterminio della popolazione civile” – ossia, a crimini contro l’umanità.
Le foto del caso Caesar – che avevamo analizzato qui – sono 55.000 e ritraggono circa 11.000 detenuti morti sotto tortura nelle carceri siriane. Sono state scattate da un fotografo della polizia militare siriana che, disertando, le ha trafugate e portate con sé. Dopo essere state esposte alle Nazioni Unite a New York, al Museo dell’Olocausto di Washington, al Parlamento europeo e nelle principali città europee, 28 di queste foto sono state esposte per la prima volta in Italia al MAXXI (Museo nazionale delle arti del XXI Secolo) di Roma, dal 5 al 9 ottobre, in una mostra dal titolo “Nome in codice: Caesar. Detenuti siriani vittime di tortura”, patrocinata da Amnesty International Italia, Articolo 21, Focsiv, Fnsi, Unimed e Un ponte per.
Le foto sono state autenticate da una Commissione indipendente di medici legali, esperti forensi e giudici internazionali (leggi il rapporto) che ne ha certificato l’ammissibilità in un eventuale processo per crimini contro l’umanità. Sono un’importante testimonianza di una parte delle atrocità tuttora in corso in Siria. Squarciare il velo di silenzio e omertà che avvolge la tragedia siriana: è questa l’importanza della mostra. Corpi scheletrici, mutilati, bruciati, con gli occhi cavati, ammucchiati uno accanto all’altro: si potrebbero scambiare per quelle dell’Olocausto, con la differenza che queste sono a colori.
È necessario mostrare queste foto, anche se così cruente, perché come ha sottolineato il senatore Luigi Manconi, Presidente della commissione per i Diritti Umani, “accanto al bello [occorre] presentare anche il vero, e raramente coincidono”. Le foto, espressione di quello che alcuni definiscono “il male minore”, possono essere visualizzate qui e qui ma avvertiamo: sono scioccanti.
Sul valore legale delle foto, Stephen J. Rapp, investigatore internazionale del caso siriano, all’inaugurazione della mostra ha detto :
“Ho avuto l’onore di essere Procuratore del Tribunale Speciale per la Sierra Leone, che condannò l’ex Presidente Charles Taylor a 50 anni di carcere per crimini contro l’umanità e di guerra. Le prove che abbiamo dei crimini in Siria, parte delle quali è qui oggi, ma anche migliaia di documenti e testimoni, provano che atrocità di massa vengono commesse oggi in Siria [..] e sono più solide di quelle che avevamo nei processi dell’ex Yugoslavia, del Rwanda e persino contro i nazisti a Norimberga, perché abbiamo i nomi delle vittime, dei carnefici e degli edifici dove vengono commessi questi crimini.”
Centinaia delle vittime ritratte in quelle foto sono già state identificate, se ne conoscono i nomi e le storie, che Human Rights Watch ha raccolto nel rapporto “Se i morti potessero parlare. Morti e torture di massa nelle strutture detentive siriane”, di cui avevamo parlato qui. Ad agosto Amnesty International ha pubblicato l’ennesimo rapporto (“Ti spezza l’umanità. Tortura, malattie e morte nelle prigioni della Siria”), in cui documenta almeno 17.723 vittime di tortura accertate nelle carceri siriane dal marzo 2011: una media di 300 al mese.
All’inaugurazione era presente anche Mazen al Hamdan, un rifugiato siriano che oggi vive nei Paesi Bassi ma che è stato detenuto e torturato nel carcere dove sono state scattate le foto di Caesar. Sopravvissuto all’inferno della tortura, la sua testimonianza diretta offre uno spaccato ancora più vivido delle foto esposte, una denuncia contro l’indifferenza. Come ha detto Baykar Sivazliyan, Presidente emerito dell’Unione degli armeni in Italia intervenuto all’inaugurazione della mostra:
“Il silenzio è stato il secondo assassino degli armeni. Per cui [serve] un po’ di coraggio nell’affrontare queste cose e questa mostra fa i primi passi affinché l’Occidente impari a non mettere sempre vittima e carnefice allo stesso livello con questa falsa politica di equidistanza. [..] Dobbiamo avere il coraggio di dire chi ha torto o ragione, altrimenti non riusciremo mai ad affrontare seriamente questi problemi [..] Si può essere Paesi amici, fare grandi affari, ma quando c’è bisogno ci vuole il coraggio di dire ‘stai sbagliando’.”
Coraggio che spesso manca. Sabato 8 ottobre militanti di Forza Nuova hanno fatto irruzione alla mostra inneggiando slogan in sostegno ad Assad e Putin, reiterando il sostegno del gruppo fascista al Presidente siriano e scappando prima dell’arrivo della polizia. Pietro Barrera ha dichiarato: “Questa sguaiata provocazione di FN [..] conferma quanto sia importante il nostro impegno per la difesa dei diritti umani ovunque vengano calpestati”.
Per chi fosse interessato, segnaliamo le registrazioni video della conferenza stampa di presentazione della mostra tenutasi il 4 ottobre alla Federazione Nazionale Stampa Italiana, dell’inaugurazione della mostra al MAXXI tenutasi il 5 ottobre (parte 1 e parte 2) e della conferenza stampa presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati tenutasi il 6 ottobre.
Per chi volesse approfondire il caso Caesar, si rimanda all’inchiesta giornalistica “La macchina della morte. Siria: oltre il terrorismo islamico” di Le Caisne Garance, giornalista che ha più volte intervistato Caesar e che ha avuto accesso alla documentazione originale.
di Samantha Falciatori