La lingua inglese in Europa dopo la Brexit

credits: Neweurope.eu
All’indomani della brexit, molte sono le questioni che sono sorte. Oltre alle problematiche economiche e politiche, si è fatta strada la questione della lingua. Con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, la lingua inglese continuerà ad essere usata nelle comunicazioni ufficiali, e – ancora di più – resterà la lingua franca in Europa?

Le lingue della diplomazia

Agli albori della Comunità economica europea, la lingua della diplomazia era soprattutto il francese. In seguito, con l’allargamento dell’Unione ai paesi dell’Est, la lingua inglese ha sostituito quella francese. Oggi nella Ue ci sono 24 lingue ufficiali, ma le cosiddette “working languages” – cioè le lingue con cui si comunica e si lavora all’interno delle sue istituzioni – sono essenzialmente tre: inglese, francese e tedesco.

Il primo riferimento ad un possibile e automatico decadimento dell’uso della lingua inglese, è venuto all’indomani dei risultati del referendum popolare britannico da parte di Danuta Hübner, Presidentessa del Comitato di affari costituzionali del Parlamento europeo: “L’inglese è lingua ufficiale perché è stata richiesta dal Regno Unito. Non avendo più il Regno Unito come membro, non avremo più neanche l’inglese”.

Infatti il Regno Unito è l’unico paese ad aver scelto l’inglese come lingua ufficiale, in quanto l’Irlanda e Malta a suo tempo scelsero il gaelico e il maltese. Questo particolare, in realtà, è stato subito contestato da alcune parti, in quanto il riferimento al regolamento di cui parla la Hübner, nella versione francese dice chiaramente che gli stati non possono registrare più di una lingua ciascuno; nella versione inglese, invece, questo non è esplicitato.

Una, tre o 24 lingue?

Ma le variabili in gioco sono tante, così come le domande che ci si pone:

Il multilinguismo è un ostacolo o un vantaggio per l’Unione? L’inglese può davvero essere eliminato dalle lingue ufficiali della Ue? Quali danni provocherebbe ciò? Che ruolo giocano in questa decisione i paesi terzi, extracomunitari, che con la Ue hanno rapporti politico-economici?

Nel 2004, l’ex Regina dei Paesi Bassi, Beatrix Wilhelmina Armgard van Oranje-Nassau, parlando della necessità di una lingua franca all’interno dell’Unione, si è rivolta così in un discorso al Parlamento europeo: “Oggi mi rivolgo a voi in olandese. Allo stesso tempo sono convinta che la cooperazione in Europa ci richiederà delle concessioni maggiori in questo campo. A meno che non si voglia trasformare l’Unione europea in una Torre di Babele, dobbiamo fare tutto il possibile perché sia possibile capirsi nel modo più chiaro”.

In questo modo, già nel 2004 ci si interrogava sulla possibilità di avere una unica lingua in Europa, al fine di evitare fraintendimenti e fare un altro passo verso l’agognata unione dei Paesi e dei Popoli.

Ma in realtà l’Unione europea è nata con l’obiettivo di un mercato comune, e la politica, anche “culturale” se vogliamo, che include i vari progetti Erasmus, tra gli altri, ha sempre avuto quale interesse di fondo la creazione di un Mercato Unico, ove la libera circolazione di merci e persone fosse possibile. La lingua insomma era soltanto un mezzo per raggiungere un obiettivo per lo più economico.

Ma questa politica, dopo Maastricht, è  cambiata, perché se da una parte si spingeva verso la libera circolazione di merci e persone, dall’altra si è iniziato a proteggere e valorizzare anche le diversità linguistiche.

L’inglese è attualmente la lingua di lavoro più usata, oltre che una delle 24 ufficiali in cui vengono tradotte tutte le leggi, le comunicazioni, le procedure dell’Unione. Più volte si è discusso sulla possibilità di diminuire il numero delle lingue in cui tradurre tutte le comunicazioni dell’Ue (per motivi economici, principalmente: solo la Commissione spende 330 milioni di euro l’anno, mentre l’intera Unione spende circa l’1% del bilancio annuale), ma ad oggi è prevalso il punto di vista di coloro che pensano che ciò non faciliterebbe la comunicazione, ma che anzi farebbe perdere alla Ue il consenso dei cittadini.

Proprio sul sito della Commissione peraltro, viene riportato che

“(…) poiché la Ue è una istituzione democratica, essa deve poter comunicare con i suoi cittadini nella loro lingua. (…) Essi infatti hanno il diritto di conoscere le decisioni che vengono prese anche per loro. Essi devono inoltre poter ricoprire ruoli attivi al suo interno, senza dover per questo imparare altre lingue. (…) Utilizzare quante più lingue possibile rende l’Unione e le sue istituzioni più aperte ed efficaci”

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L’inglese e i rapporti commerciali

Il Wall Street Journal ha evidenziato che, per via della brexit, l’Unione ha già intensificato le comunicazioni in francese e tedesco, a discapito di quelle in inglese. Esempio di ciò è stato il summit tra Ue e Cina dello scorso luglio, in cui il Presidente della Commissione Europea si è rivolto al proprio interlocutore in francese, spiegando che per l’Europa il francese è importante quanto l’inglese.

Dunque anche nel settore economico, notoriamente dominato dalla lingua inglese, si sta cercando di utilizzare maggiormente francese e tedesco. Ciò potrà essere relativamente semplice per l’Unione, ma non lo sarà altrettanto per i paesi che con l’Unione europea hanno sempre avuto rapporti commerciali basati sull’inglese.

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Il cambiamento potrebbe non piacere a nessuno, per comodità e costi
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Il cambiamento potrebbe non piacere a nessuno, per comodità e costi. Molte società extra-europee, infatti, hanno studi commerciali e legali che lavorano in inglese. Per capire quanto sia facile sbagliare, basterà pensare che sullo stesso sito dell’Unione europea, se si vanno a leggere le informative generali riguardanti le istituzioni, le versioni in inglese e francese presentano tra loro diverse sfumature di significato.

Eurenglish, ovvero l’europeizzazione dell’inglese parlato nella Ue

Impossibile pensare che a breve l’inglese possa sparire dal contesto europeo. Ciò che è stato ultimamente sottolineato è il particolare uso che di questa lingua viene fatto all’interno delle istituzioni europee. Essa è diventata per molti versi la lingua veicolare, ed essendo parlata soprattutto da persone di lingua madre diversa, ha perso le connotazioni del British English ed è diventata una lingua a sé.

Una lingua che si discosta dall’inglese parlato nel Regno Unito, perché non ne conosce le innovazioni culturali, e perché “incrociata” con termini acquisiti da altre lingue. Recentemente è addirittura stato pubblicato dalla Commissione un interessante documento contenente le linee guida per un corretto uso della lingua inglese all’interno delle istituzioni UE, che include argomenti di grammatica (nomi numerabili e collettivi) e una lista di vocaboli utilizzati in maniera errata, con relativa correzione.

Conclusioni

Con tutta probabilità non assisteremo alla scomparsa della lingua inglese dal contesto europeo. Essa è ormai diventata la lingua di comunicazione dei giovani, cresciuti con internet, i voli low cost e l’Erasmus; è la lingua degli scambi commerciali con paesi terzi, e perché – dopo la Seconda guerra mondiale – gli Stati Uniti hanno soppiantato l’Inghilterra come potenza globale.

Inoltre, l’Irlanda registrò il gaelico solo perché l’inglese era già presente quale lingua ufficiale e, il provvedimento che questa possa essere eliminata, deve essere votato all’unanimità da tutti i paesi membri (e quindi, anche dall’Irlanda stessa). In ultimo, in Europa il 38% dei cittadini parla l’inglese (come lingua straniera) sufficientemente bene da poter tenere una conversazione, contro il 12% di chi invece parla il francese e l’11% di chi parla tedesco.

Si rafforzerà piuttosto un inglese incrociato con altre lingue europee, come già sta accadendo nei corridoi delle istituzioni dell’Unione, e ciò sarà un vantaggio. Questa lingua permetterà agli altri idiomi europei di mantenere la propria sovranità, e al tempo stesso permetterà la sopravvivenza di rapporti chiari tra i paesi membri. Eliminarla creerebbe confusione, incertezza, malcontento.

Ciò manterrà la stabilità dei rapporti commerciali con i paesi extra-europei che commerciano con l’Europa, che altrimenti potrebbero dover spostare i loro mercati altrove.

Per quanto riguarda il francese e il tedesco, essi potranno acquisire nuova popolarità, ma solo questo. L’inglese sta diventando la nostra seconda lingua; il processo è stato ormai avviato e tornare indietro al momento è impossibile. Peraltro le sorprese, per quanto riguarda il brexit, potrebbero riservarci ancora dei cambiamenti, se l’ex Presidente francese Sarkozy manterrà la promessa – qualora fosse rieletto presidente nel 2017 – di presentare e far firmare al Regno Unito un nuovo trattato che cambierebbe le vesti e semplificherebbe la struttura dell’Ue.

di Paola Cafarella