Hamas e l’Autorità Palestinese hanno raggiunto un accordo mediato da Mosca per formare un governo di unità nazionale che potrebbe finalmente spianare la strada alla fine delle divisioni intra-palestinesi.
Martedì 18 gennaio, dopo tre giorni di dialoghi tenutisi a Mosca sotto l’ombrello diplomatico della Russia, i rappresentanti dei principali gruppi politici palestinesi – l’Autorità Palestinese (Pa), Hamas, e Palestinian Islamic Jihad (Pij) – hanno annunciato il raggiungimento di un accordo per formare un governo di unità nazionale.
In base a quanto stabilito, i vari gruppi coinvolti nell’accordo verranno inclusi nelle istituzioni palestinesi, formeranno un nuovo Consiglio Nazionale Palestinese (PNC), e indiranno le tanto attese (e rinviate) elezioni. L’ultima volta in cui elezioni credibili e inclusive furono tenute è stato più di dieci anni fa – nel 2006 – quando la vittoria di Hamas e le tensioni successivamente emerse nel fronte palestinese hanno portato alla rottura tra Hamas e Fatah e alla divisione de facto di Gaza dalla Palestina. Gaza dal 2007 è sotto il controllo di Hamas; in Cisgiordania è invece rimasto il Governo dell’Autorità Palestinese e di Abbas.
Da allora, la politica palestinese ha fortemente risentito di questa spaccatura interna, che ha indebolito la credibilità della Palestina come attore coeso a livello internazionale, compromettendo ogni possibilità di raggiungere la cosiddetta “two-state solution”. I dialoghi di settimana scorsa, se effettivamente tradotti in azioni concrete, potrebbero essere il primo passo verso la risoluzione di questa decennale frammentazione e un nuovo inizio per la politica palestinese.
Negli anni scorsi, erano stati fatti più tentativi per riportare unità all’interno del Governo palestinese. Tuttavia, nessuna iniziativa verso una riconciliazione duratura tra Hamas e Fatah ha avuto successo, e le divisioni interne hanno continuato a prevalere, al punto che lo scorso autunno l’Alta Corte palestinese aveva stabilito che le previste elezioni municipali si sarebbero potute tenere solo in Cisgiordania e non a Gaza, sospendendo infine l’intero processo elettorale.
Ciò che ha impresso una spinta propulsiva agli accordi può essere individuato nel mutamento del contesto internazionale e alle difficoltà stesse di Abbas e Hamas di calmierare i problemi interni palestinesi.
Nel corso degli ultimi mesi, inoltre, l’ascesa di Donald Trump e della sua retorica nettamente pro-Israele abbracciata da lui e dai suoi collaboratori, la scelta di Friedman come nuovo ambasciatore Usa in Israele, il caso di Amona e la continua costruzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania, hanno riportato la questione palestinese e la “soluzione dei due stati” al centro dell’attenzione della comunità internazionale, che negli ultimi anni era stata per lo più focalizzata su altri problemi del complesso teatro mediorientale.
Nel contesto di questa rinnovata attenzione accordata alla questione palestinese, vi sono stati importanti episodi quali l’adozione da parte del Consiglio di Sicurezza Onu di una risoluzione che condanna la costruzione di insediamenti israeliani in Cisgiordania e la conferenza sulla pace in Medio Oriente tenutasi a Parigi la scorsa settimana, che ha visto la partecipazione di 70 delegazioni internazionali (ma non quelle israeliane e palestinesi).
È dunque sullo sfondo di questi sviluppi profilatisi sulla scena internazionale che può spiegarsi la scelta di Abbas e il suo tentativo di sfruttare questa contingenza positiva per il raggiungimento di un’unità politica palestinese. Solo superando le fratture interne e dotando la Palestina di un governo unitario, infatti, Abbas potrà presentare lo Stato palestinese come un unico attore e accrescere così ulteriormente il sostegno della comunità internazionale alla Palestina – obiettivo particolarmente importante in un momento in cui l’avvento di Trump alla Casa Bianca crea non poche incertezze e timori tra i palestinesi.
A queste considerazioni, è poi da aggiungere la dimensione interna palestinese per dare una spiegazione più completa delle ragioni che hanno spinto ora i vari gruppi palestinesi a rinnovare i tentativi di riconciliazione.
Abbas
Per quanto riguarda Abbas, nonostante la sua leadership sia stata riconfermata lo scorso novembre durante l’ultimo Congresso di Fatah, il leader palestinese ha visto la propria popolarità diminuire drammaticamente negli ultimi anni. Il raggiungimento di una riconciliazione rappresenterebbe così per Abbas e la sua futura eredità politica un importante successo. Al contempo, Fatah si trova dal 2007 in una situazione in cui la propria legittimità alla guida della popolazione palestinese è continuamente messa in discussione dalla presenza del governo di Hamas a Gaza e dalle frizioni esistenti con gli altri partiti, e l’unico modo per risolvere questo problema di legittimità è tramite l’indizione di elezioni inclusive.
Hamas
Hamas, dal canto suo, sta sperimentando crescenti difficoltà di governo a Gaza. A tale proposito, il più recente esempio sono le difficoltà che il gruppo sta affrontando nel garantire alla popolazione una normale fornitura energetica, mancanze che hanno portato settimana scorsa ad una serie di proteste nella città di Jabaliya. Come le proteste hanno rivelato, le difficoltà di Hamas al governo rischiano di deteriorare il supporto popolare di cui il gruppo da sempre gode nella Striscia.
Infine, per quanto riguarda gli attori minoritari della scena palestinese, per essi la formazione di un governo di unità nazionale come primo passo verso le elezioni è funzionale ad accrescere la propria capacità di influenza e ad estendere il proprio bacino di supporto al di là delle tradizionali aree.
di Marta Furlan