Mentre il Mali viene sconvolto dagli attentati, in Nigeria Boko Haram si lega all’Isis. I mutamenti e le nuove strategie del Jihad in Africa Occidentale, dove a separare i ribelli islamisti del Mali dai nuovi alfieri del Califfato in Nigeria resta la miseria del Sahel nigerino.
A pochi anni dalla guerra civile e dalle infiltrazioni jihadiste tra i ribelli tuareg dell’Azawad, il Mali si riscopre fragile. Il 7 Marzo cinque persone rimangono uccise in una feroce sparatoria rivolta contro un ristorante frequentato perlopiù da occidentali a Bamako, la capitale. La città, prima di allora, non aveva mai subito attacchi violenti, neppure durante la guerra civile. Il giorno seguente una pioggia di razzi viene lanciata verso una base Onu situata a Kidal, nel Nord, uccidendo un casco blu e due civili.
I due assalti, consumati nel giro di 24 ore, hanno seminato il panico nel paese africano, agitando lo spettro del conflitto civile sedato nel 2013 soltanto con l’intervento dell’esercito francese, tutt’ora presente in Mali. Dei due attacchi solo quello al ristorante è stato rivendicato, da parte del gruppo jihadista “Al-Mourabitoun”, una delle tante sigle impegnate durante la guerra civile maliana che gravitavano intorno ad Al-Qaeda.
In contemporanea con gli attacchi in Mali in Nigeria il portavoce di Boko Haram, la milizia jihadista nigeriana che imperversa nel Nord Est del paese, annunciava il suo atto di fedeltà al sedicente Califfato. Accettata la proposta e suggellata formalmente l’alleanza, l’Isis ha teso la mano ai suoi nuovi alleati africani lanciando un appello ai musulmani sparsi per il Mondo ad andare in Africa a combattere per Boko Haram.
Questo definitivo allineamento tra le due più note firme jihadiste, al netto degli psicodrammi di diversi commentatori occidentali, non viene visto da parte degli analisti internazionali come una particolare minaccia, a causa della distanza siderale tra il teatro nigeriano di Boko Haram e quello siro-iracheno dell’Isis. Si tratterebbe, perlopiù, di una risposta mediatica agli insuccessi sul campo patiti sia da Boko Haram, sia dall’Isis.
Lo squilibrio sempre più crescente tra gli scarsi risultati al fronte e l’espansione del “marchio” verso altri gruppi jihadisti, come sta avvenendo in Libia, sta facendo mutare forma all’Isis e al suo progetto politico per un nuovo Califfato. Alla concezione di un territorio unico, una rinnovata “Casa dell’Islam” i cui confini coincidono con fronti armati volti all’espansione continua del territorio, l’Isis sta affiancando, in assenza di nuove conquiste, una strategia volta alla frammentazione del Califfato nel Mondo, dove tanti territori sconnessi geograficamente tra loro, vengono governati da gruppi locali fedeli al Califfo di Ar-Raqqah.
Una parcellizzazione che riavvicina l’insieme di formazioni jihadiste legate al Califfato alla storica struttura di Al- Qaeda e alle sue numerose cellule sparse un po’ ovunque. E potrebbero proprio essere le vecchie formazioni legate ad Al-Qaeda, sempre più orfane di un comando centrale, le destinatarie di un nuovo linguaggio volto a convincerle che aldilà della lontananza territoriale dal nucleo del “Califfato” possono comunque essere cruciali alla causa.
Al-Mourabitoun potrebbe già aver ascoltato l’appello lanciato dal “Califfato”, rispondendo alla chiamata con gli attacchi lanciati in Mali. Un eventuale nuovo corso delle milizie ribelli del Nord del Mali, non più legato alla lotta locale aizzata dalla morente Al-Qaeda, ma il Jihad globale per l’autoproclamatosi Califfato, potrebbe costituire – a differenza del matrimonio dalle conseguenze al momento esclusivamente ideologiche e mediatiche tra Isis e Boko Haram – una concreta minaccia i già fragili equilibri dell’area.
Boko Haram dal canto suo è sì attualmente concentrato nel Nord Est della Nigeria, ma punta ad agire (e a dominare) sull’intero Nord a maggioranza musulmana. Se raggiungesse in pianta stabile il Nord Ovest, Boko Haram si troverebbe a soli duecento chilometri dai deserti del Nord del Mali dove operano le sigle jihadiste ribelli. Il passo da una fratellanza ideologica a una concreta collaborazione sul campo è molto più breve quando tra le due forze si frappone solo una striscia di arido Sahel controllato dal Niger, uno dei paesi più poveri e instabili del Mondo.
In un apocalittico scenario in cui Boko Haram riesca a piegare le forze regolari nigeriane e a imporsi sull’intero Nord del paese a maggioranza musulmana, i jihadisti potrebbero attingere all’enorme capitale umano di 150 milioni di abitanti. Una fiumana in grado di travolgere il Niger, abitato da soli 10 milioni di abitanti, perdipiù concentrati proprio nella striscia a sud frapposta tra Nigeria e Mali e potenzialmente vittime designate di un invasione in grande scala da parte di quest’ipotetica Nigeria del Nord a guida Boko Haram. Una volta a diretto contatto con il Mali e i suoi modesti 14 milioni di abitanti, Boko Haram potrebbe fornire molto di più che un semplice aiuto alle sigle jihadiste del Nord del paese, dando una spallata tanto forte che né le forze Onu né le forze francesi attualmente presenti in Mali sarebbero in grado di reggere. A quel punto il Sud dell’Algeria, tormentato da piccole ma combattive formazioni jihadiste (alcune di loro già votate all’Isis) e l’instabile Libia con le sue milizie a sostegno del Califfato, sarebbero tragicamente vicine, in un fronte che dal Mediterraneo premerebbe sulle sponde atlantiche di un’Africa Occidentale dilaniata dalla riunione logistica di tutte le forze jihadiste presenti nel territorio.
Con 200.000 rifugiati nigeriani che si sono già riversati nei suoi territori, il Niger sembra aver compreso la minaccia al suo fragile equilibrio costituita dal trovarsi tra i due fuochi di Boko Haram e dei gruppuscoli jihadisti maliani, e ha inviato il proprio esercito nei territori nigeriani controllati da Boko Haram assieme alle forze armate del vicino Ciad, già colpito dagli sconfinamenti di Boko Haram.
La stessa Nigeria sembra essere sempre più consapevole della metastasi che si sta radicando nei suoi territori, impegnando maggiormente l’esercito e arrivando persino a chiedere l’arrivo di forze mercenarie dal Sud Africa. Il Presidente Nigeriano, Goodluck Jonathan, promette:
Gli stati nord orientali di Borno, Yobe e Adamawa, saranno sotto il controllo del governo centrale entro tre settimane.
Termine sfacciato o meno, sembra che per risolvere le ferite inflitte dal sedicente Califfato in quelle terre occorrerà affrontare non solo le praterie della Nigeria settentrionale ma anche i deserti maliani. Il che impone una risposta di quell’Occidente, soprattutto la Francia, che in Mali è intervenuto personalmente e ora sembra non voler vedere che il “Califfato” formato “patchwork” in diversi punti nel globo è, pericolosamente, in grado di ricomporsi.
Mirko Annunziata