Sono molte le questioni geopolitiche che interessano la Cina: l’autodeterminazione dei popoli, i diritti umani, la demografia, ed ora si aggiunge il terrorismo di matrice islamica. Non è una novità se si pensa allo Xinjiang, anche se in Occidente se ne parla poco. Isis, in rotta in Medioriente, tenta di non apparire sconfitto minacciando la grande potenza asiatica.
Lo Xinjiang è la provincia più occidentale della Cina, profondamente incuneata nell’Asia centrale. La sua particolarità rispetto al resto del paese è l’essere popolata principalmente dall’etnia degli Uiguri, un popolo di origine turca e di religione musulmana. Questa profonda diversità rispetto al resto della Cina, unita all’importanza strategica del territorio – posta in mezzo alla moderna “Via della Seta”, con le sue infrastrutture e le sue risorse – hanno portato a ripetute frizioni col governo centrale, di cui abbiamo già cercato di fare un riassunto qui.
I cattivi rapporti tra la comunità uigura e i cinesi di etnia Han (ovvero l’etnia principale cinese) sostenuti dal governo centrale hanno portato a gravi crisi, come le sommosse del 2009. Da un lato Pechino continua a utilizzare, come già in Tibet, una politica di “cinesizzazione” forzata del territorio, trasferendo grandi numeri di coloni di etnia Han nel territorio per diluire progressivamente la componente uigura. A ciò viene affiancato un ostruzionismo economico nei confronti della comunità, oltre alla negazione delle libertà d’espressione, la libertà politica, religiosa e di mantenimento delle tradizioni locali.
Da parte uigura ci sono stati appelli alla comunità internazionale, generalmente poco recepiti (se non dalla Turchia, in virtù del legame etnico, su cui Erdogan basa spesso la propria retorica “neo-ottomata”) ma anche qualche attentato, per lo più all’arma bianca, che danno al governo centrale le motivazioni necessarie per la repressione, in un circolo vizioso di violenza che recentemente ha avuto una nuova impennata.
E cosa c’entra Isis?
All’inizio di marzo Isis ha diffuso un video in cui minaccia direttamente la Cina. Questo gesto, per alcuni versi inedito, espone sia l’influenza dei numerosi combattenti jihadisti di origine turca provenienti da Uzbekistan, Turkmenistan e appunto Xinjiang, sia il tentativo, in un momento di difficoltà in Siria e in Iraq, di riguadagnare visibilità e reclute, in una regione dove sono coinvolte popolazioni musulmane soggiogate. In questo modo, Isis tenta di estendere la propria influenza oltre l’Asia centrale. tentando di guadagnare terreno in Asia centrale come anche il recentissimo attacco di Kabul dimostra
Isis mette quindi in discussione ancora una volta la leadership nel mondo del fondamentalismo islamico di al-Qaeda, partner tradizionale del Turkistan Islamic Party (il gruppo militare separatista e fondamentalista islamico uiguro) con due possibili effetti, di cui uno non esclude l’altro: un indebolimento del jihadismo nello Xinjiang come forza coesa ma anche un moltiplicarsi di piccoli gruppi sparsi e aggressivi, attraverso quell’atomizzazione terroristica che già preoccupa l’Europa.
Questo fatto potrebbe modificare la postura della Cina all’interno della lotta al terrorismo internazionale, offrendo la possibilità di un riavvicinamento agli USA in questo ambito, avvicinando Pechino a Washington.
Mentre la situazione potrebbe degenerare in moti di ancora maggior violenza, i mezzi democratici che gli Uiguri hanno per rivendicare i propri diritti, vista anche la prolungata inerzia della comunità internazionale, sempre restia a contrariare un partner potente come la Cina, si fanno sempre più flebili. La Cina, sempre poco incline – per usare un eufenismo – nei confronti dei diritti delle minoranze, potrebbe aver già creato un fertile terreno per il propagarsi di una minaccia jihadista dalle forme meno locali e più internazionali, pronte a sfruttare il malcontento di quel mondo musulmano stanziato nei vasti territori cinesi della Via della Seta.
di Federico de Salvo