Cosa ci dicono le elezioni presidenziali tenute in Serbia a inizio aprile, tra l’accentramento dei poteri nelle mani dell’ex Primo ministro Aleksandar Vučić, l’avvicinamento con riserva all’Unione europea, e il problema di una mancata e compiuta democrazia.
Uno dei personaggi più emblematici della storia balcanica degli anni Novanta è stato sicuramente il leader serbo Slobodan Milošević. Egli, alla luce della volontà dei diversi stati membri della Repubblica federale Jugoslava di raggiungere l’indipendenza, portò avanti una politica che mirava al controllo di tutti quei territori – anche se frammentati e lontani dalla Serbia stessa – in cui fosse presente una minoranza etnica serba, al motto di “là dove c’è un serbo, quella è Serbia”.
Questa linea politica determinò un conflitto molto cruento nei territori di Bosnia e Kosovo, là dove la popolazione serba era più presente. Seppure questi due conflitti abbiano origini e motivazioni diverse, Milošević adottò per entrambi lo stesso modus operandi, quello della pulizia etnica, ossia l’eliminazione dei gruppi etnici non serbi, per legittimare così in un secondo momento il potere della Serbia su quei territori.
Ne conseguì ovviamente una delle guerre più feroci degli ultimi trent’anni e lo stesso Milošević venne accusato di crimini contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale dell’Aia (TPI) e ricercato dall’Interpol. L’influenza e l’azione di Milošević terminarono con le elezioni del 2001, che videro la vittoria del Presidente del Partito democratico serbo, Zoran Đinđić per la carica di Primo ministro, e del leader Vojislav Koštunica per la Presidenza della Repubblica.
Sembrava aprirsi un periodo nuovo per la politica serba, sino a quel punto monopolizzata dall’azione di Milošević, con numerose riforme soprattutto in ambito economico. Ad interrompere questo primo periodo di ripartenza politica però furono dapprima i cattivi rapporti tra il primo ministro e Koštunica e successivamente l’assassinio di Đinđić che stava collaborando con il TPI per la cattura di Milošević. Un nuovo percorso di stabilizzazione politica venne inaugurato con l’elezione di Boris Tadić come Presidente della Repubblica nel 2004.
L’azione del nuovo Presidente, che mantenne la carica per due mandati, si dimostrava efficace e attenta ad una normalizzazione dei rapporti con gli stati vicini, commemorando anche la strage di Srebrenica, e si indirizzava ad un avvicinamento all’Europa, collaborando con il Tribunale penale internazionale.
Nel 2012, convinto di riconquistare la leadership, Tadić viene però sconfitto da Tomislav Nikolić, Presidente del Partito progressista, inizialmente vicino alle istanze nazionalistiche, e poi spostatosi su posizioni più moderate. Nello stesso periodo il Primo ministro è il socialista Ivica Dačić, che in continuità con il pensiero di Tadić, prosegue il processo di avvicinamento della Serbia all’UE, ed inaugura una battaglia contro la corruzione, ancora oggi molto forte in Serbia.
Due anni dopo le elezioni politiche vengono vinte da un nuovo leader del Partito progressista, Aleksandar Vučić. Vučić si mantiene su posizioni filo-europee, coltivando contemporaneamente i rapporti anche con la Russia, storica alleata della Serbia. Il 2 aprile 2017, Vučić ottiene la carica di Presidente della Repubblica con il 55% dei voti senza la necessità di passare per il ballottaggio. Alla luce di questo percorso la Serbia, ad oggi, appare un stato politicamente stabile, proiettato nel panorama europeo assieme ad altri suoi vicini balcanici (nonostante in questo momento l’Europa non abbia l’aurea di desiderabilità che aveva in passato).
Ma proprio queste ultime elezioni mostrano in realtà come la Serbia non abbia ancora superato del tutto i propri problemi e limiti in alcune espressioni democratiche. Secondo molti giornalisti e politici di opposizione, Vučić continua a mantenere un forte controllo sui media, sia attraverso l’apparato statale sia attraverso il controllo di proprietà private.
Questo controllo sui canali di informazione ha determinato in fase di campagna elettorale una sovra-esposizione dello stesso Vučić, offuscando e talvolta screditando altri candidati di opposizione. Anche analizzando la quantità delle critiche portate dalle diverse fonti di informazione serbe ai diversi candidati, ci si accorge di come il percorso della Serbia verso un migliore sistema di informazione, carattere fondamentale della democrazia, sia ancora lungo.
di Giacomo Quartaroli