Dipingere la Russia come una minaccia è divenuta ormai prassi nel discorso politico occidentale. Tali racconti, però, hanno sempre mancato di rispondere ad un quesito fondamentale: “Cosa vuole realmente la Russia?”. Una risposta a tale domanda ha provato a fornirla Kadrii Liik durante una conferenza organizzata da SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale) e dall’European Council on Foreign Relations, a cui abbiamo partecipato.
Uno dei fattori che hanno destato maggiore preoccupazione nelle élite e nei governi europei negli ultimi anni è stata la “svolta reazionaria” della Russia. Alcuni si sono spinti a paragonare l’ideologia russa odierna – da alcuni definita “rosso-bruna”, per via della miscela tra estrema destra conservatrice e comunista – a quella bolscevica di cento anni fa, affermando che, come allora, essa aspiri a diffondersi in tutto il mondo.
Tuttavia, questa è una semplificazione; infatti, Putin considererebbe tale conservatorismo solo come un mezzo. L’utilizzo di tale ideologia a scopi pratici, spiega Kadrii Liik, si è avuto per la prima volta nel 2012. Il governo aveva bisogno di qualcosa che ponesse un argine alle proteste organizzate contro Putin da parte delle classi sociali urbane. È stato in quel momento che l’esecutivo russo ha scoperto che tale ideologia poteva essere utilizzata anche sul piano internazionale, riscuotendo un certo consenso anche in Occidente. Da allora il Cremlino ha iniziato a supportare e in certi casi a finanziare partiti europei di estrema destra, conservatori e nazionalisti.
È innegabile, tuttavia, che la diffusione di tali idee sia nociva per l’unità del continente europeo e per il sistema liberal-democratico occidentale. Infatti, la sempre maggiore popolarità di tali idee conservatrici nel tessuto sociale europeo ha portato molti cittadini a dubitare dell’efficacia e della bontà del sistema internazionale che regola il mondo dalla fine della Guerra Fredda: un’Europa debole e divisa avvantaggerebbe strategicamente la Russia. Mosca però, in tal senso, costituisce solo una minaccia collaterale. L’Occidente, ma più nello specifico l’Europa, ha il suo bel da fare a convincere i cittadini a rispecchiarsi nuovamente nelle istituzioni rappresentative.
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La svolta conservatrice di Mosca, dunque, non costituisce un problema diretto per l’Europa, né per l’Occidente nel suo complesso. Molto più difficile è affermare però che la “minaccia” russa sia totalmente inesistente. Ma da cosa deriva essa innanzitutto?
Il principale motivo alla base dei contrasti odierni fra la Russia e il mondo occidentale è l’incapacità di comunicare. Come affermato da John Mearshmeir durante la conferenza tenutasi lo scorso 19 ottobre presso l’Università MGIMO di Mosca, infatti, Mosca e Washington agiscono sul piano internazionale riferendosi a due manuali completamente differenti. Infatti, se gli USA e i loro alleati operano coperti dall’ottica liberale, al contrario, i russi ritengono che sia quella realista la dottrina da utilizzare in questo ambito (nonostante di fatto anche gli USA nei momenti di “decisione” optino per la dottrina realista).
Il politologo americano, inoltre, è convinto che il mondo occidentale abbia una grande responsabilità nello scoppio della crisi ucraina, culmine delle tensioni fra i due poli. Alla base di tutto vi sarebbe l’allargamento della NATO. Sin dalla metà degli anni Novanta, infatti, i leader russi si erano opposti alla progressiva espansione dell’Alleanza Atlantica nello spazio post sovietico, anche se non esistono accordi formali in tal senso stretti tra Washington e Mosca, diversamente da quanto affermato dal Cremlino. Secondo Mearshmeir, la Rivoluzione arancione in Ucraina è stata per Putin la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
Agendo secondo un’ottica realista, infatti, per la Russia il territorio e il suo vicinato possiede una valenza cruciale. La Russia non ha alcuna intenzione di ricreare l’Urss, lo stesso Putin ha più volte negato tale opzione (“Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore”, è una frase spesso attribuita al leader russo). Né vi è un’intenzione strategica esplicita da parte russa di unificare tutti i territori composti da popolazioni di etnia russa, come temono gli Stati Baltici. Tuttavia, proprio la visione realista delle relazioni internazionali porta Mosca a desiderare fortemente il mantenimento di una sfera di influenza rispetto al suo vicinato. Putin vorrebbe che Paesi come Georgia, Moldova, Armenia e Azerbaijan facessero parte della sfera d’influenza di Mosca.
La Russia è, inoltre, decisa a far di tutto per scardinare l’ordine liberale che domina il mondo sin dalla fine della Guerra Fredda. Tale volontà è facilmente evidenziata sia da una dichiarazione di Putin a Monaco nel 2007, in cui asseriva che il modello unipolare sarebbe inaccettabile al giorno d’oggi, ma anche dal forte attivismo della Russia fra i (malandati) BRICS, per rendere la collaborazione fra questi Paesi un vero e proprio forum politico.
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I quattro anni di Trump alla Casa Bianca modificheranno la situazione? Chi scrive si trovava in Russia al momento della vittoria del candidato repubblicano e la soddisfazione dei russi per il risultato delle elezioni americane era davvero percepibile. Non è detto però che il neo Presidente americano sarà in grado di costruire delle relazioni di mutua fiducia fra Washington e Mosca. Diplomatici di alto livello russi erano cauti sin dal giorno della sua elezione sul fatto che l’elezione dell’ex magnate potesse portare ad una rapida riconciliazione fra le due superpotenze. Anzi, vi era chi avrebbe preferito l’elezione di Hillary Clinton, secondo il principio per cui meglio avere a che fare con un nemico ben conosciuto piuttosto che con un individuo totalmente imprevedibile, quale si è dimostrato già nei primi mesi Trump.
Anche Emmanuel Macron sembra intenzionato a migliorare le relazioni fra il blocco occidentale, e in particolare l’Europa e la Francia, e la Russia. Tale desiderio è dimostrato, ad esempio, dalla sua dichiarazione per cui la destituzione di Assad non è una conditio sine qua non per dialogare con la Russia sulla Siria, nonostante la Francia, su un altro fronte, non riconosca l’annessione della Crimea alla Russia.
Tuttavia, chi potrebbe giocare un ruolo fondamentale nell’avvicinamento fra la Russia e il mondo occidentale è proprio l’Italia. A Mosca ci stringe una forte amicizia dimostrata dalle recenti visite in rapida successione a Mosca del Presidente della Repubblica Mattarella, del Presidente del Consiglio Gentiloni, e del Ministro degli interni – facente quasi funzioni di Ministro degli esteri – Minniti. Inoltre, anche il corpo diplomatico italiano di sede a Mosca nutre delle posizioni concilianti rispetto alle azioni russe in ambito internazionale.
Tale posizione di vicinanza dell’Italia rispetto alla Russia è stata confermata anche dall’ex Ministro Frattini nel corso di un evento a cui abbiamo partecipato presso la sede della SIOI a Roma dal titolo “What does Russia wants?”. Questi ha affermato che l’Italia, sin dai tempi di Eltsin, ha cercato di creare una collaborazione basata quanto più possibile sulla reciproca fiducia con la Russia; inoltre, in quanto europei, sempre secondo l’ex Ministro del governo Berlusconi, dobbiamo considerare la Russia come partner strategico perché è impossibile affrontare i grandi problemi internazionali senza la collaborazione di Mosca.
Nel corso di tale conferenza, anche Lia Quartapelle, deputata del PD, ha dimostrato l’assenza di un forte contrasto fra il nostro Paese e la Russia. A suo dire, infatti, la Russia è una sfida perché l’Unione Europea non sa cosa vuole. La deputata pensa sia necessario per l’Europa intrattenere un dialogo con la Russia, ma come può Bruxelles iniziare un dialogo con Mosca se non è chiaro quale sia la posizione dell’Europa su alcuni argomenti chiave come, ad esempio, la Siria?
Un elemento evidenziato dalla Quartapelle – non del tutto provata dall’evidenza dei fatti – è che la distanza geografica dalla Russia è direttamente proporzionale alla fiducia posta nelle istituzioni europee. Secondo Quartapelle, se in Estonia si vede l’appartenenza alle istituzioni di Bruxelles come un “baluardo” a difesa dalle ingerenze russe, al contrario in Paesi quali l’Italia o la Francia – dove aumenta l’euroscetticismo – questi sentimenti sono assenti. Ciò nonostante, la crescente diffidenza nei confronti delle istituzione europee non è un’esclusiva dei paesi dell’Europa dell’Ovest.
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Come suggerisce dunque la stessa deputata, sarebbe più opportuno che l’Europa lavorasse su stessa, cercando di risolvere i problemi strutturali che la affliggono, riscoprendo i propri valori fondativi, piuttosto che preoccuparsi di eventuali minacce alla propria sopravvivenza che giungono da attori esterni.
di Antonio Schiavano