La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Con il salvataggio del regime siriano e il fallimento dei colloqui di pace di Ginevra, la Russia sta mettendo in sicurezza i suoi interessi nell’area, ma la missione non è ancora conclusa come annunciato da Putin. Cosa si cela dietro la visita alla base aerea russa di Hmeymim?
Durante una visita a sorpresa alla base aerea russa di Hmeymim, Putin ha annunciato il completamento della missione russa in Siria e il ritiro parziale delle truppe. Con la quasi totale neutralizzazione dei ribelli, la fine di ISIS e la messa in sicurezza sia del regime siriano che degli interessi russi nel Paese, l’intervento militare si è concluso in positivo per Putin. La sua visita trionfante a Latakia non riguarda però solo questo: è stata una dimostrazione di forza non solo per gli attori internazionali coinvolti nel conflitto ma anche per il popolo russo – tra pochi mesi si vota per le presidenziali – e per lo stesso Bashar al Assad.
Innanzitutto, la visita è giunta a pochi giorni dall’annuncio della Coalizione internazionale della sconfitta del Califfato, cosa rivendicata anche da Putin, sebbene nei due anni di intervento russo in Siria i principali obiettivi dei raid siano stati i ribelli nell’ovest della Siria, e solo in percentuale minore le postazioni ISIS nell’est e nonostante gli attori che hanno effettivamente sconfitto l’ISIS nell’est del Paese siano state le milizie curde YPG, sostenute dalla Coalizione a guida americana.
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In secondo luogo è giunta a pochissimi giorni dall’annuncio di Putin della sua ricandidatura, stavolta da indipendente, alle elezioni presidenziali russe del marzo 2018. Il messaggio della visita dunque non è solo alle potenze internazionali circa l’indefesso sostegno russo al regime siriano e al vantaggio negoziale che la Russia ha sui colloqui di pace, ma è soprattutto rivolto al popolo russo.
L’intervento in Siria, il mito della lotta all’ISIS e l’esaltazione dello spirito nazionalista dei russi con il successo di un intervento militare che ha messo in sicurezza gli interessi nazionali nell’area con conquiste e accordi di grande vantaggio per la Russia, uniti al carisma “machista” di Putin, hanno oscurato i problemi economici in patria, rilanciato l’immagine di una Russia superpotenza globale e assicurato a Putin ampi consensi: il trionfalismo della visita a Latakia voleva lanciare un messaggio rassicurante all’elettorato russo e non a caso si è svolta nel quadro di un più ampio viaggio in Medio Oriente in cui Putin ha visitato anche Turchia ed Egitto.
Tuttavia, la missione in Siria non è conclusa come Putin ha lasciato intendere. Già due volte in passato aveva annunciato il parziale ritiro delle truppe, cosa che poi non è avvenuta o è stata riconsiderata con l’invio di altre truppe per sostenere il regime siriano, ancora incapace di estendere il controllo su gran parte del territorio siriano.
Il ritiro annunciato dal Presidente russo riguarda infatti solo alcune unità delle forze speciali, gli ospedali da campo e appena 25 velivoli. Il grosso dell’aviazione resterà in Siria a condurre operazioni a sostegno delle truppe siriane, iraniane e di Hezbollah contro i ribelli, sopratutto ad Hama, Idlib e nelle periferie ovest di Aleppo.
Ciò significa che l’intervento russo è lungi dall’essere concluso, anche alla luce della situazione sul terreno. La Siria è di fatto divisa in zone d’influenza con attori stranieri che le controllano anche militarmente, è un Paese distrutto dove le divisioni etniche e religiose renderanno forse impossibile la riconciliazione e dove, con il regime ancora il potere, i milioni di profughi siriani fuggiti all’estero non potranno tornare senza rischiare la vita.
Senza contare il fatto che nei due anni di operazioni l’aviazione russa ha causato migliaia di vittime civili, bombardando centri urbani, ospedali, sedi della Protezione Civile e mercati e impiegando armi proibite dal diritto internazionale, come bombe a grappolo e al fosforo bianco, come documentato da numerose organizzazioni internazionali, compresa la Commissione d’inchiesta ONU. Secondo le stime del Syrian Network for Human Rights la Russia sarebbe il secondo attore coinvolto nel conflitto ad aver causato più vittime civili dopo il regime siriano.
Ad aggravare la situazione c’è il fallimento dei colloqui di pace sulla Siria del processo di Ginevra sponsorizzato dall’ONU, causato dal ritiro della delegazione del regime che ha rifiutato di incontrare quella dell’opposizione, ponendo come precondizione che quest’ultima stracci la dichiarazione uscita dalla conferenza di Ryiad che chiede le dimissioni di Assad.
L’inviato ONU Staffan De Mistura ha accusato il regime del fallimento, dicendo che sarà difficile per qualsiasi futuro tentativo fare progressi “se il governo non è disposto a incontrare nessuno che abbia un’opinione diversa“. De Mistura ha anche detto che la delegazione del regime si è rifiutata di discutere due dei principali punti all’ordine del giorno – il processo costituzionale e le elezioni presidenziali – insistendo invece sul volersi limitare a discutere di terrorismo. La delegazione del regime ha invece accusato l’ONU e l’Arabia Saudita del fallimento per via della richiesta di dimissioni di Assad.
Questo perché, come avevamo spiegato qui, il regime non ha alcun interesse a scendere a compromessi e impegnarsi in un processo politico, ora che si è assicurato la vittoria militare. Non è però semplice come sembra: il regime siriano deve la sua sopravvivenza a un alleato che ha diritto di pretendere molto in cambio e non solo in termini militari ed economici, come dimostrano gli accordi – pesanti per la Siria – già siglati con la Russia, ma anche in termini di potere e influenza. Un episodio in particolare, avvenuto durante la visita di Putin alla base aerea, la dice lunga a riguardo, almeno in termini di etichetta diplomatica.
Mentre Putin si accingeva a pronunciare il discorso di vittoria, i suoi militari hanno fisicamente bloccato Assad impedendogli di camminare al suo fianco e costringendolo a fermarsi ad alcuni metri di distanza.
Un gesto che se da un lato può sembrare irrilevante, dall’altro simboleggia quanto il regime di Assad dipenda dalla Russia e quanto alto sarà il prezzo da pagare per questa alleanza.
di Samantha Falciatori