Il presidente serbo Aleksandar Vucic si è recato in visita ufficiale in Croazia per rafforzare la cooperazione economica e migliorare i rapporti, che rimangono tutt’oggi aspri dopo la sanguinosa guerra dei Balcani degli anni ’90 e il crollo della Jugoslavia. Dopo aver incontrato la presidente croata Kolinda Grabar-Kitarovic, entrambi i Paesi si sono impegnati a intensificare il lavoro sui diritti delle minoranze serbe e croate nei rispettivi Paesi, sulle questioni di confine – cercando di risolverle entro due anni, prima di rivolgersi a un tribunale internazionale – e sulla ricerca delle persone scomparse durante il conflitto. L’intenzione serba di migliorare i rapporti con il vicino croato fa parte di quel processo che la Serbia sta compiendo per poter aderire all’Unione Europea, per cui la normalizzazione dei rapporti con i Paesi vicini, nonché ex nemici, è condizione necessaria.
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Tuttavia non sono mancate le proteste: circa 1.000 persone si sono riunite nella piazza principale di Zagabria contro la visita di Vucic. I manifestanti hanno denunciato la sua posizione ultranazionalista durante il conflitto del 1991-1995 che esplose quando la Croazia dichiarò l’indipendenza dalla ex Jugoslavia, scatenando una ribellione da parte della sua minoranza serba, armata e sostenuta da Belgrado. I manifestanti croati hanno preteso le scuse dalla Serbia e chiesto riparazioni di guerra.
È solo l’ultimo episodio di contestazione tra due Paesi su cui grava un pesante passato, che va anche oltre la guerra dei Balcani. A fine gennaio infatti il governo croato si era rivolto all’ONU protestando contro una mostra organizzata dalla Serbia al Palazzo di Vetro dell’ONU di New York sul campo di concentramento di Jasenovac, in Croazia, dove nella Seconda Guerra Mondiale decine di migliaia di serbi, ebrei e zingari furono uccisi dal regime filo-nazista di allora. Un segnale di quanto una memoria storica condivisa sia condizione irrinunciabile per una normalizzazione dei rapporti.