Donald Trump ha definito la prospettiva di un’intesa tra Israele e Palestina “l’accordo definitivo,” l’azione diplomatica per eccellenza, che non solo darebbe lustro alla sua presidenza, ma contribuirebbe a rafforzare il ruolo degli Stati Uniti all’interno dell’arena internazionale. Tuttavia la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele (6 dicembre 2017) ha isolato l’amministrazione americana all’interno delle Nazioni Unite e ha reso evidente come la stessa, non possa aspirare a mediare tra le parti. Come confermato anche martedì 20 Febbraio dal presidente palestinese Mahmoud Abbas, che in un discorso a margine del Consiglio di Sicurezza ONU, ha disconosciuto il ruolo degli Stati Uniti nel processo di pace mediorientale, e ha proposto una conferenza internazionale (da tenersi nel corso del 2018 e dove siano presenti rappresentanti israeliani e palestinesi) che dichiari la Palestina uno Stato membro a tutti gli effetti, delle Nazioni Unite, impegni (la comunità internazionale) alla protezione dei rifugiati palestinesi, e riconosca i confini stabiliti tra i due paesi nel 1967. Abbas ha poi lasciato la stanza prima che i rappresentanti di Israele e Stati Uniti avessero l’opportunità di replicare.
Non è chiaro se la conferenza si farà o meno, ma il discorso del leader palestinese è stato accolto positivamente sia dalla Russia che dalla Francia. La delegazione americana, composta da Nikki Haley l’ambasciatore all’ONU, Jared Kushner, genero di Trump incaricato di portare a termine “the ultimate deal”, Jason Greenblatt inviato presidenziale in medio oriente, non ha applaudito alle parole di Abbas che in visita alla Casa Bianca nel Maggio del 2017 aveva elogiato le doti di negoziatore di Trump e si era reso disponibile a lavorare insieme per la risoluzione del conflitto.
Le cose sono cambiate.