La mattina seguente alle elezioni americane del novembre 2016 molti analisti si sono fatti una domanda: riuscirà il sistema di Check and Balances a reggere l’urto di un personaggio del calibro di Donald Trump?
Il Check and Balances (C&B) è un sistema previsto dalla Costituzione americana tale per cui la Corte Suprema, il Presidente Usa e il Congresso (massimi titolari rispettivamente del potere giudiziario, esecutivo e legislativo) hanno strumenti necessari per controllarsi a vicenda, evitando che si creino situazioni in cui uno di questi rami impazzisca e minacci il funzionamento dell’intero sistema istituzionale. Alcuni esempi: il Presidente può mettere un veto alle leggi del Congresso, ma quest’ultimo può mettere il Presidente sotto “impeachment” e mandarlo a casa; il Presidente nomina i giudici della Corte Costituzionale ma la Corte può dichiarare incostituzionali le sue azioni.
Testare il sistema C&B con Trump alla guida di uno dei tre rami del potere (quello esecutivo) equivaleva a un crash test di una Yaris, con a bordo 250 milioni di americani, lanciata verso una scogliera con la leva del cambio incastrata nell’ego dell’autista. Con una personalità forgiata nel dirigismo imprenditoriale, all’autocompiacimento più che al dialogo, Donald Trump ha trovato un modo delizioso di mettere alla prova il sistema C&B: usare tutto il potere presidenziale (a volte basta la sola influenza indiretta di questo potere) per licenziare persone a lui scomode in ruoli chiave.
L’indice di ricambio dello staff della Casa Bianca sotto Trump è il più alto registrato da decenni, ed è pari al 34% del personale nel solo primo anno di attività, contro il 9% di quello di Barack Obama e il 6% di Bush Junior. L’ultimo della lista ad essere stato silurato è il Consigliere della Sicurezza Nazionale H.R. McMaster, che sarà sostituito con John Bolton, ex-ambasciatore americano presso l’ONU, più in linea con Trump sulla politica verso l’Iran.
Prima di lui, Rex Tillerson, segretario di Stato ha scoperto qualche giorno fa di essere stato licenziato da un tweet del Presidente. Dalle parole di Trump sembra che i due avessero divergenze in politica estera, in particolare sull’accordo con l’Iran in tema nucleare. Trump potrà quindi fare affidamento su un segretario di Stato più in linea con la sua visione, sebbene Tillerson fosse stato scelto proprio da Trump. Un dato spassoso è che sotto Tillerson circa il 60% dei diplomatici di lunga carriera ha dato le dimissioni e le nuove domande di lavoro presso il Foreign Servicesono calate del 50%.
Il licenziamento di Tillerson è preceduto da una lunga lista di altri nomi fatti saltare (qualcuno licenziato, qualcun altro forzato alle dimissioni) o per opportunismo o, secondo alcuni, per una presunta schizofrenia. Ecco i più eccellenti:
James Comey – Direttore Fbi: il più rumoroso licenziamento di Trump finora, che ha allontanato il primo incaricato dell’indagine sul ruolo della Russia nella propria elezione. Questo licenziamento, dopo soli 110 giorni, è oggetto di un’indagine del Congresso in cui, nonostante la manovra del Presidente, si valuta esattamente la volontà di Trump di insabbiare le indagini sul Russia-Gate.
Michale Flynn – National Security Advisor: dopo soli 23 giorni dall’insediamento ha dato le dimissioni su richiesta di Trump. Coinvolto nel Russia-Gate, sono emersi suoi contatti con l’ambasciatore russo, durante la campagna elettorale, su un ipotetico impegno di Trump ad alleggerire le sanzioni sulla Russia in caso di vittoria. Queste affermazioni sono ugualmente oggetto dell’indagine del Congresso.
Gary Cohn – Chief Economic Advisor: uno degli artefici delle manovre economiche di Trump, si è dimesso in seguito alla decisione del Presidente di perseguire la politica dei dazi commerciali.
Sally Yates – Attorney General: la ministro della Giustizia licenziata da Trump dopo 10 giorni di incarico per non aver appoggiato il cosiddetto muslim-ban che impediva ai cittadini di una lista di Paesi musulmani di entrare negli Usa.
Steve Bannon – Chief Strategist: uomo forte del Presidente, non si è mai chiarito se Trump lo abbia licenziato o se si sia dimessoper divergenze di opinioni.
Che si tratti di schizofrenia, di opportunismo o dell’incapacità di condividere una qualsiasi visione di lungo termine perfino con i suoi più stretti collaboratori, la curiosa abitudine di Trump di sbarazzarsi dei suoi collaboratori, rende l’operato della Casa Bianca sempre più instabile. La tattica aziendale di abusare del proprio ruolo per avere un’ampia rotazione dei propri impiegati così da motivarli o metterli in competizione tra loro (come faceva ai tempi di The Apprentice) è in contraddizione con la possibilità di coordinare una squadra compatta, che lavori su obiettivi di lungo periodo.
Resta però da capire quali siano questi obiettivi di lungo periodo di Trump: solidificare il team alla Casa Bianca per lavorare seriamente su riforme complesse o aumentare l’instabilità dell’esecutivo per rendersi l’unico punto fermo – in modo da accentrare esperienza e potere solo su se stesso in mezzo a un team di perenni novellini?