La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Dalle promesse di Macron alla reazione di Erdogan e all’annuncio di Trump di voler ritirare le truppe dalla Siria, come sta cambiando la situazione nel nord del Paese?
La presa di Afrin da parte della Turchia di Erdogan e dei ribelli siriani da lui supportati il 17 marzo scorso ha rappresentato un importante game changer nel conflitto siriano. Non solo perché ha palesato il disinteresse di tutti gli attori coinvolti, compresi Stati Uniti e Russia fino ad allora sostenitori militari dell’YPG, verso la causa indipendentista curda, ma anche perché sta rimodulando gli equilibri tra le potenze coinvolte nell’area.
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Lo scopo di Ankara non è solo eliminare la minaccia YPG dai propri confini e allargare la propria influenza in ottica neo-ottomana, ma anche creare un’area che sia controllata dagli alleati ribelli siriani, con il duplice scopo di permettere il ritorno di almeno una parte dei 3,5 milioni di profughi siriani in Turchia e di avere una base territoriale da cui combattere gli ex qaedisti che pullulano nell’area di Idlib.
Infatti, i ribelli appoggiati da Ankara – pur in parte anch’essi islamisti e salafiti – combattono contro al-Qaeda: nella provincia di Idlib da mesi si assiste a uno scontro tra HTS (l’ex Nusra) e le altre fazioni ribelli confluite nella coalizione JTS.
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Lo scopo nel lungo termine sarebbe eliminare i gruppi estremisti un tempo legati ad al-Qaeda, rafforzando le altre fazioni ribelli e assicurando loro un base territoriale e logistica vicina alla Turchia, anche dal punto di vista politico.
Infatti dopo il ritiro dell’YPG e dell’amministrazione del suo partito politico PYD – che ricordiamo non rappresenta tutti i curdi ma solo quelli che sostengono il partito PYD – è stato formato un governo civile ad interim che cercherà di rimettere in moto le città dopo settimane di bombardamenti turchi, decine di morti e migliaia di sfollati.
Il presidente turco Erdogan ha anche annunciato che l’Operazione Ramo d’Ulivo, che ha portato alla presa di Afrin, potrebbe proseguire anche a est verso Manbij, la città in mano all’YPG che vede la presenza di forze speciali USA.
Il 21 marzo Erdogan aveva annunciato di aver raggiunto un’intesa, anche se non un accordo, con gli Stati Uniti sulla “stabilizzazione di Manbij e del nord-est della Siria”, aree arabe finite sotto controllo curdo durante l’avanzata anti-ISIS dell’YPG. Cosa significhi questa intesa in termini concreti non è noto, dato che la Turchia vuole il ritiro dell’YPG dalla città e ha già minacciato di avanzare militarmente se ciò non avverrà.
Se la Turchia dovesse estendere le operazioni anche a est un confronto con le forze della Coalizione, lì stazionate, diventerebbe inevitabile.
A esacerbare la situazione c’è anche la netta presa di posizione della Francia di Macron, che nei giorni scorsi ha ospitato a Parigi una delegazione dell’YPG cui ha promesso l’impegno francese a continuare la cooperazione nella lotta all’ISIS nel nord della Siria.
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L’incontro ha scatenato l’ira di Erdogan che ha rifiutato la proposta francese di fare da mediatore tra Turchia e YPG intimando a Macron di “non immischiarsi in affari su cui non ha competenza” e avvertendolo che sostenendo l’YPG la Francia potrebbe “diventare un bersaglio.”
Mentre la Francia promette un maggiore impegno nel nord della Siria, Trump ha annunciato di voler ritirare le truppe americane dalla Siria, dopo aver congelato lo stanziamento di 200 milioni di dollari destinati a stabilizzare le aree sottratte all’ISIS.
Il 29 marzo Trump ha infatti dichiarato: “Usciremo dalla Siria molto presto. Lasciamo che altri se ne occupino ora. Torneremo nel nostro Paese, cui apparteniamo”. Come a fare da eco alle sue parole, il giorno dopo un’esplosione a Manbij ha ucciso un soldato americano e uno britannico durante un’operazione per catturare un membro dell’ISIS.
La decisione di Trump preoccupa però alcuni funzionari della Sicurezza Nazionale e gli analisti, che temono che un ritiro possa aggravare gli equilibri militari nella zona, anche perché l’ISIS potrebbe approfittare di un tale disimpegno.
Inoltre, le milizie SDF a guida YPG che hanno combattuto l’ISIS nel nord hanno prosperato grazie al sostegno, anche aereo, della Coalizione. Se il decisivo sostegno militare USA venisse meno, le SDF si ritroverebbero in una posizione di vulnerabilità in un momento in cui la Turchia minaccia azioni militari contro l’YPG anche oltre Afrin. Il sostegno americano ha anche scoraggiato finora il regime siriano dall’attaccare le SDF per sottratte loro territorio e i pozzi petroliferi – sebbene incidenti non siano mancati. Secondo funzionari americani un ritiro totale delle truppe potrebbe avere implicazioni su larga scala.
L’annuncio ha preoccupato anche il principe saudita Salman, che in un’intervista ha detto che le truppe americane “dovrebbero restare in Siria” altrimenti si rischierebbe una situazione dagli esiti imprevedibili.
Quale che sia il futuro del (dis)impegno americano in Siria e delle minacce militari di Erdogan, la situazione nel nord è ancora in divenire, anche se la divisione in aree di influenza si fa sempre più forte.
di Samantha Falciatori