Le migrazioni di esseri umani sono fenomeni antichi quanto il mondo, e non esistono casi in cui sia stato possibile fermarle. Si possono però gestire.
Uno dei temi caldi di questo periodo, e che tanto affolla i media soprattutto italiani, è l’immigrazione e come il naturale spostamento di popoli, connaturato alla specie umana, possa influenzare gli equilibri degli stati riceventi.
L’immigrazione è un fenomeno antico quanto il mondo, legato alla scelta strategica di alcune popolazioni di stanziarsi in maniera permanente in un dato territorio, creando così le premesse per l’esistenza di un confine fisico che definisce un’appartenenza di tipo culturale, talvolta anche etnica. Storicamente, cioè seguendo il filo delle cronache degli ultimi 5mila anni per quanto le fonti archeologiche ci permettono di risalire fino al 10.000 a.C., nessun processo migratorio è mai stato fermato.
Assodato questo fatto che assume carattere di dato scientifico, secondo le tesi del laboratorio umano di Jared Diamond, osserviamo che l’immigrazione può essere solo gestita. A tal proposito, come tutte le attività umane, essa può essere gestita bene e male. Addirittura essa può essere sfruttata come un’arma, o come forme di arricchimento di un paese. Il Canada contemporaneo ci mostra un’importante alternativa (per quanto storicamente abbiamo esempi simili fin dal 2100 a.C.) e ci mostra l’altra via della gestione migratoria.
Il Canada nella politica di Trump
La politica protezionista di Donald Trump sta rimettendo in discussione tutte le principali tratte economiche del pianeta, generando una crisi del sistema globale molto più sostanziale di quanto non sembri.
Sorvolando sul merito delle scelte del governo degli Stati Uniti, quel che ha colto di sorpresa i mercati è stato il ventaglio dell’operazione: se in un primo momento l’inasprimento dei dazi e l’attuazione di una politica migratoria più ferrea potevano sembrare diretti alla Repubblica Popolare Cinese, in un secondo momento essi sono diventati anche strumento di pressione sull’Unione europea, per poi trionfare (o degenerare, secondo i punti di vista) in un attacco a 360° rivolto ad ogni nazione. Incredibilmente, nel novero troviamo anche lo storico alleato degli Stati Uniti: il Canada.
Un’importante premessa, dovuta al lettore meno addentro alle dinamiche economiche delle Americhe, è ricordare che il Canada è una delle grandi potenze economiche del pianeta (l’autore dell’articolo l’ha inserita nella categoria delle Regine, in un’ipotetica scacchiera globale) nonché legata agli Stati Uniti su così tanti livelli che le due nazioni formano oggi un binomio difficilmente distinguibile e discernere la matassa di tali legami è alquanto difficoltoso.
Infine non bisogna dimenticare che il Canada svolge fin dalla prima guerra mondiale, ma soprattutto dalla guerra fredda in poi, il ruolo insostituibile di guardiano dei confini americani e area di serenità politica ed economica che in più di un’occasione ha rappresentato un appoggio fondamentale per il governo di Washington.
Ciononostante la scure “trumpiana” si è abbattuta anche sul fedele alleato. La prima reazione è stata di stupore da parte di media canadesi, spesso arrivando alla ridicolizzazione dell’idea che i confini Canadesi potessero essere un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Ciò è assolutamente comprensibile anche considerando che dal 1850 lo spostamento di genti fra le due nazioni è sempre stato, in termini numerici e qualitativi, reciproco, sancito poi nel 1987 dall’accordo CUSFTA (The Canada–United States Free Trade Agreement, una versione di Schengen d’oltre oceano). Alla derisione però sono seguite le considerazioni più serie, a cominciare dall’impatto sull’economia Canadese di una simile manovra.
Tra i due litiganti
Wiliam Watson, analista e giornalista del Financial Post ha cercato di stabilire chi potrebbe giovarsi di questo nuovo assetto che vede il Canada e gli U.S.A. contrapposti. La sua analisi è che i dazi sull’acciaio e l’alluminio colpiranno principalmente proprio gli Stati Uniti (e i suoi due partner della NAFTA, Messico e Canada) dando la possibilità a U.E. e Cina di creare nuovi mercati di scambio più convenienti.
Se a questo scenario già complesso si considera l’attacco portato nei confronti delle importazioni di OGM Canadesi da parte dei paesi filo americani come Giappone e Corea del Sud, il risultato è una strategia che trasforma i tweet aggressivi di Donald Trump nei confronti del governo di Ottawa non in semplici provocazioni propagandistiche, ma esposizione di un programma che punta a minare i rapporti con gli U.S.A. e la forza internazionale del Canada.
L’immigrazione: famiglie, armi e malattie
Senza entrare nel merito, più complesso di quanto non sembri, delle famiglie spezzate dall’attuazione delle norme migratorie voluta dal presidente Donald Trump nei confronti degli immigrati provenienti dal confine messicano, quel che è certa è la posizione del governo di Ottawa che ha aspramente condannato l’operato degli U.S.A., arrivando fino alle dichiarazioni del Ministro dell’Immigrazione Canadese Ahmed Hussen, il quale si domanda se gli Stati Uniti possono ancora essere considerati uno stato in grado di dare asilo ai rifugiati.
Il tema dei rifugiati è alquanto sensibile in quanto il Canada si è trasformato negli ultimi anni nel principale punto di raccolta dei cittadini di Hong Kong che lasciano il loro territorio, ancora sottoposto ad una complessa assimilazione da parte della Repubblica Popolare Cinese, per divenire cittadini canadesi.
Solo nel 2016 si è osservato un incremento del 30% delle richieste di trasferimento di residenza da parte dei cittadini di Hong Kong per un totale stimato di 300.000 nuovi cittadini canadesi un tempo residenti a Xiānggǎng. Fra le principali ragioni di un simile drenaggio, costante e ininterrotto dal 2012, si devono considerare le difficoltà delle nuove generazioni di Hong Kong che hanno difficoltà ad integrarsi nella società cinese.
Eppure il Canada non ha aperto le porte solo ai cittadini cinesi. Spostandoci infatti ai cittadini indiani, il numero delle domande dei richiedenti asilo è vertiginosamente aumentato del 200%. Tali processi migratori non solo sono visti di buon occhio da parte del Canada ma sono addirittura incentivati dal programma “Canada’s Express Entry” il quale ha il solo scopo di accelerare le pratiche di immigrazione di coloro i quali dimostrano di avere le capacità e le competenze di poter contribuire al benessere del paese. In altre parole l’immigrazione non viene ostacolata ma drenata e controllata al fine di ottenere quel ricambio generazionale di cui il mondo occidentale sembra difettare, senza considerare il vantaggioso investimento di accogliere nel proprio paese soggetti che sono stati preparati ed educati a spese di altre nazioni.
Il Canada tenta così di divenire il principale polo attrattore dei cervelli in fuga. Fra i tanti interventi si segnala lo Student Direct Stream che dall’8 giugno ha sostituito il precedente Student Partnership Program con l’India allargandosi a Cina e Filippine, agevolando ulteriormente le pratiche per quegli studenti meritevoli che vogliano trasferirsi in Canada.
Pur mostrando una preferenza per l’immigrazione di “alto rango”, lo stato del nord america non si mostra completamente chiuso all’immigrazione economica, potendo in questo modo sfruttare nuova manodopera a basso costo in continuo arrivo. Al 2016 un canadese su cinque non era nato in Canada e l’Africa e l’Asia la fanno da padroni sostituendo anche la vecchia Europa in questo processo: Nigeria, Algeria, Egitto, Marocco and Camerun sono i principali stati Africani di provenienza.
Considerazioni finali
Aldilà delle opinioni, il Canada è una nazione che, sicuramente agevolata da un contesto geografico favorevole al controllo dei confini, sta trasformando l’immigrazione in una fonte di energia che sostiene un motore economico perfettamente funzionante.
I processi migratori, come perfettamente compreso già dagli assiri, che scelsero di gestire tali fenomeni in maniera consapevole, sono come un fiume in piena. La creazione di barriere impermeabili può solo portare ad un accumulo di energia che sfocia poi nella rottura degli argini; al contrario una diga ben costruita può rivelarsi una fonte inesauribile di energia.
Il Canada ha fatto una scelta che, per il momento, sta dando i suoi frutti.
di Tanator Tenebaun