La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Quali sono i termini dell’accordo tra ribelli e russi per la fine dell’offensiva su Deraa, riconquistata dal regime, e cosa ci si deve aspettare ora?
Con la vittoria del fronte governativo siriano, che ha riconquistato il valico di frontiera con la Giordania di Nassib, si è conclusa l’offensiva su Deraa, che durante i massicci bombardamenti delle ultime settimane aveva sfollato oltre 320.000 civili (stime UNHCR), nel più grande sfollamento di massa da un’unica area mai registrato dall’inizio del conflitto.
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Durante l’offensiva ci sono stati colloqui tra i comandanti ribelli dell’FSA e quelli russi, mediati dalla Giordania, ma il 4 luglio sono falliti: la Russia chiedeva che i ribelli consegnassero tutte le armi pesanti in un’unica soluzione mentre i ribelli volevano riconsegnarle gradualmente, dopo che gli sfollati fossero tornati a casa.
L’impossibilità di raggiungere un accordo aveva fatto saltare le trattative, portando alla ripresa dei raid aerei russi e dell’offensiva governativa. A stento la Giordania è riuscita a far tornare i ribelli al tavolo delle trattative, fino al 6 luglio, quando un accordo ha posto fine all’offensiva.
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In base all’accordo, il regime si dovrebbe ritirare dai villaggi di Kahil, al-Sahwa, al-Jiza e al-Misaifra – a est di Deraa – mentre i ribelli dovrebbero consegnare le armi pesanti. Quelli che si oppongono all’accordo verrebbero trasferiti a Idlib.
La parte più importante dell’accordo tra ribelli e russi, però, riguarda il fatto che alle truppe siriane non sarebbe permesso di rimanere nell’area, che sarebbe presieduta invece dalla polizia militare russa. Lo stesso valico di Nassib sarebbe gestito da personale civile del regime siriano e dalla polizia militare russa.
Si tratterebbe di una garanzia importante non solo per i civili di Deraa, che temono rappresaglie da parte delle truppe governative, ma anche per la Giordania che, come il vicino Israele, teme che le milizie sciite iraniane e di Hezbollah si insedino nell’area.
Il condizionale però è d’obbligo, dal momento che le truppe siriane e le milizie sciite alleate non solo non si sono ancora ritirate dai quattro villaggi concordati, ma hanno anzi assediato la parte ribelle della città di Deraa, intrappolando migliaia di civili.
Come sarà possibile implementare l’accordo non è chiaro, sebbene i ribelli abbiano effettivamente iniziato a consegnare le armi, così come non è chiaro se le speranze della Giordania di far sì che con l’accordo le centinaia di migliaia di profughi ammassati lungo i propri confini tornino a casa siano ben riposte, sebbene alcune famiglie siano tornate indietro.
Durante l’offensiva il governo giordano, che ospita già 1.4 milioni di rifugiati siriani, non ha mai aperto i confini, giustificando la decisione sia con problemi di sicurezza sia con l’impossibilità economica di far fronte a un simile esodo. Nonostante ciò, i cittadini giordani hanno lanciato una gara di solidarietà raccogliendo e portando cibo e beni di prima necessità ai loro vicini in fuga.
Ma cosa significa questo accordo nel quadro più ampio del conflitto siriano?
In primo luogo, una grande vittoria strategica e simbolica per il regime siriano.
Strategica sia perché il valico di Nassib collega la Siria alla Giordania e riapre così un’importante rotta commerciale, sia perché lì vi transita l’autostrada M5, l’arteria principale del Paese che collega Deraa con Aleppo, passando per Damasco, Homs, Hama e Idlib – anche se il tratto di Idlib passa in territorio ribelle.
Simbolica perché la rivoluzione contro il regime nel marzo 2011 partì proprio da Deraa, con il dilagare delle proteste a seguito della tortura da parte delle forze di sicurezza locali di alcuni bambini che avevano scritto slogan anti-regime sul muro della scuola. Riprendere Deraa è il simbolo della vittoria militare del regime sul proprio popolo, ma pone anche una questione di legittimità agli occhi di una popolazione repressa e massacrata proprio da chi oggi reclama il controllo dell’area. Molti degli sfollati infatti non intendono tornare sotto il controllo governativo temendo di essere sottoposti ad arresti o reclutamento forzato come già accaduto in altre aree riprese dal regime, come Aleppo e Ghouta.
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In secondo luogo, se implementato in ogni sua parte, l’accordo implica che la Giordania è riuscita a salvaguardare, almeno per ora, i propri confini dalla presenza militare iraniana e ad evitare di dover accogliere migliaia di profughi.
In terzo luogo, significa che il regime siriano può concentrarsi sul prossimo obiettivo, che sembra essere la provincia di Quneitra, al confine con le alture del Golan occupate da Israele, dove i combattimenti tra ribelli e truppe governative sono degenerati proprio il giorno dell’accordo di Deraa, il 6 luglio, quando si è anche registrato un bombardamento dell’aviazione israeliana su una postazione militare siriana che aveva a sua volta bombardato la “zona cuscinetto” sul confine del Golan.
In una nota, l’esercito israeliano ha affermato che “continuerà ad attuare l’accordo sulla separazione delle forze del 1974 che include il mantenimento della zona cuscinetto“, un’armistizio che vieta manovre militari attorno al Golan.
Se l’offensiva governativa dovesse spostarsi su Quneitra, le tensioni con Israele potrebbero dunque salire. Il primo ministro Netanyahu incontrerà infatti domani, 11 luglio, il presidente russo Putin a Mosca, per discutere anche di come tenere gli alleati iraniani di Assad lontani dalla frontiera.
Se e come ciò sarà effettivamente possibile resta da vedere.
di Samantha Falciatori