La minaccia militare in Venezuela sembra scongiurata. Il congegno terroristico americano ha fallito per almeno due ragioni.
La minaccia militare americana in Venezuela sembra scongiurata. Ma sarebbe stata davvero praticabile? In questo contesto, no. Per almeno due ragioni: questioni logistiche e politiche. Manca l’appoggio della maggioranza dei paesi americani: solo Colombia e Brasile sembrerebbero disposti – almeno sulla carta – ad appoggiare l’uso della forza. Inoltre i costi dell’operazione sarebbero evidentemente esorbitanti.
La strategia statunitense è orientata allo sfinimento. A Washington si era sperato che le minacce d’uso della forza portassero la popolazione e l’esercito venezuelano all’esasperazione e che, in tal modo, Maduro fosse costretto a cedere. Una strategia – quella del terrore – senz’altro abusata, che aveva come unico scopo quello di spaventare i venezuelani. Ma è andata diversamente. Nel consiglio di sicurezza ONU Russia e Cina si sono contrapposti a Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Gli aiuti umanitari degli Stati Uniti alla frontiera sono stati respinti. Persino l’ONU grazie al veto (scontato) di Russia e Cina ha rigettato l’ipotesi di ingresso di aiuti Venezuela, ad ampia dimostrazione di come non basti solo sventolare una banderuola per far politica estera.
Proprio la mancanza di appoggio politico dei paesi sudamericani avrebbe complicato l’organizzazione logistica di un eventuale attacco (che potrebbe comunque avvenire qualora si palesasse una svolta ancor più drammatica della situazione in Venezuela, fatto che nessuno si augura). Ma questo non vuol dire che gli Stati Uniti non siano in grado di organizzare una war by proxy o un conflitto di bassa intensità contro il Venezuela.
La nomina di Elliot Abrams a inviato speciale per il Venezuela evidenzia come la Casa Bianca sia disposta a quest’ultimo scenario. Abrams – diplomatico, ex sottosegretario di Stato aggiunto nel secondo mandato del presidente Reagan – è un esperto nella conduzione di operazioni coperte in America Latina: condannato per l’affaire Iran-Contras, si sospetta la sua implicazione anche con il tentativo di golpe contro Chavez nel 2002.
Guardando alla democrazia, tutti gli principali attori politici in campo in Venezuela, Maduro, Guaidó e la diplomazia internazionale, si allontanano dalla democrazia.
Il giovane Juan Guaidó è stato eletto nello stato federale di Vargas alle elezioni parlamentari del 2015 nella coalizione Mesa de la Unidad Democrática che riunisce i partiti contro Maduro. Nel 2015 la coalizione anti-Maduro vinse le elezioni. Lo stato di Vargas è un piccolo stato costiero del nord del Venezuela con meno di 400.000 abitanti, chiamato così in onore di José María Vargas, primo presidente Venezuelano non proveniente dai militari rimasto in carica pochi mesi nel 1835.
In base a quanto disposto dall’articolo della Carta, il presidente del parlamento assume pro tempore la carica di presidente della repubblica in caso di morte, rinuncia, destituzione da parte del tribunale supremo, incapacità fisica o mentale de mandatario. Di Maduro si può dire tutto, ma non che sia assente. La correttezza formale e sostanziale dell’applicazione dell’articolo 233 non è scontata, anzi è così debole che non viene nemmeno molto divulgata.
Nicolás Maduro è presidente del Venezuela dal 2013, precedentemente era ministro degli esteri e vicepresidente di Hugo Chávez. Nel 2017 Maduro ha convocato le elezioni per un’assemblea costituente, largamente boicottata da Mesa de la Unidad Democrática, che finisce per essere composta solo da rappresentanti dell’officialismo (in linea con Maduro). L’assemblea costituente formalmente svuota di poteri l’assemblea nazionale presieduta da Guaidó. La coesistenza di due assemblee (di cui una costituente) è un indizio del forte conflitto tra i poteri dello stato venezuelano.
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Trump ha adottato in maniera progressiva sanzioni economiche contro il Venezuela. Più tardi anche l’Unione Europea si è accodata agli Stati Uniti. Una vera e propria diaspora di Venezuelani è in corso da anni. La situazione è drammatica: farmacie vuote, negozi vuoti, disoccupazione e tanta criminalità. I confini Venezuelani sono diventati un problema per l’intero Sud America, i flussi di venezuelani nei paesi confinanti hanno generato molte tensioni.
Una prima domanda sul governo di Maduro è: può uno Stato americano essere prospero senza l’appoggio degli Stati Uniti? Possiamo analizzare la situazione cubana o altre, ma qualsiasi Stato del mondo ha enormi difficoltà ad avere gli Stati Uniti contro. Armamenti, politica monetaria, petrolio, prodotti e politica estera sono automaticamente messi in una posizione complicata.
I Paesi occidentali vogliono un presidente venezuelano più proiettato agli interessi occidentali. Forse è una legittima aspirazione. Altra cosa è sanzionare un Paese perché il suo governo non è allineato con i propri interessi e gli interessi delle imprese.
di Luca Di Gennaro Splendore