Un’inchiesta di Tom Allard per Reuters rivela al mondo intero il nome del cittadino canadese di origini cinesi che è sospettato di essere il boss del più grande cartello della droga di tutto il continente asiatico. Un giro d’affari multimiliardario gestito da una manciata di uomini di varia provenienza, sulle cui tracce si sono messe le forze di polizia di oltre venti paesi. L’inchiesta ci racconta l’incredibile storia dell’uomo che è riuscito a prendere il controllo del mercato della droga nell’area Asia-Pacifico.
Se ci fosse una Hall of Fame del narcotraffico, Tse Chi Lop ne farebbe parte di diritto, al pari di criminali del calibro di Pablo Escobar e del “Chapo” Guzman. Secondo un’interessante inchiesta pubblicata da Reuters, il canadese di origini cinesi sarebbe infatti a capo di un’organizzazione ramificata in tutta l’area Asia-Pacifico, specializzata nella vendita di metanfetamine (senza disdegnare prodotti più classici, ma sempre apprezzati sul mercato, come l’eroina), per un giro d’affari che gli inquirenti stimano aggirarsi intorno ai 17 miliardi di dollari l’anno.
Fino al momento della pubblicazione dell’inchiesta, Tse Chi Lop godeva del più totale anonimato presso l’opinione pubblica internazionale, anche se le forze di polizia di mezzo continente asiatico e di tutta l’Oceania, sono da tempo sulle sue tracce. Per smantellare la sua organizzazione, nota come Sam Gor, che significa “Terzo Fratello”, è stata creata una task force internazionale nell’ambito dell’Operazione “Kungur” che vede la partecipazione delle forze di polizia di oltre venti paesi dell’area Asia-Pacifico, più Europa e Usa, sotto la guida della AFP, la Polizia Federale Australiana.
Stando a quanto riportano alcuni agenti della task force, l’organizzazione sarebbe il frutto dell’alleanza di cinque triadi asiatiche, ovvero cinque associazioni a delinquere di stampo mafioso. A spulciare i report dell’UNODC, lo United Nations Office on Drugs and Crime, Sam Gor, che per i suoi adepti è nota soltanto come “l’Organizzazione”, sarebbe responsabile dello smercio di metanfetamine per una quota di mercato che va dal 40% al 70% in Asia e Oceania, portando nelle casse del cartello dagli 8 ai 17.7 miliardi di dollari in un anno. Questi dati sono relativi al solo 2018, ma il mercato si è allargato di oltre quattro volte negli ultimi cinque anni, ed è in continua espansione.
Secondo quanto rivelato dalla Reuters, i principali obiettivi delle forze di polizia sarebbero 19 esponenti di spicco del cartello. Quattro di essi, Tse compreso, sono cittadini canadesi. Gli altri vengono da diverse zone dell’Asia: Hong Kong, Myanmar, Macao, Cina, Malesia e così via.
Il cartello è organizzato in modo molto più sofisticato rispetto ai suoi più noti predecessori in America Latina, e si comporta come una vera e propria multinazionale.
I guadagni, del resto, sono talmente ingenti da aver determinato un sensibile calo nelle lotte tra bande o triadi rivali. La torta è abbastanza grande perché tutti possano avere la propria grossa, grossissima fetta senza bisogno di ricorrere alla violenza. E nonostante la dimensione dei guadagni, Tse, a differenza dei suoi illustri “colleghi” dei cartelli Sudamericani, conduce uno stile di vita assolutamente anonimo. Niente ville, macchine sportive o squadre di calcio. Vive senza dare nell’occhio. Tranne quella volta in cui si ritiene perse oltre 60 milioni di dollari in una sola sera all’interno di un casinò di Macao.
Ma chi è quindi Tse Chi Lop?
Il capo della più potente organizzazione dedita allo spaccio di droga nel continente asiatico nasce 55 anni fa nella Cina meridionale, per la precisione nella provincia di Guangdong. Sono gli anni della Rivoluzione Culturale ed un gruppo di Guardie Rosse cadute in disgrazia a seguito delle purghe maoiste, nella città di Guangzhou, mette in piedi un’organizzazione criminale strutturata sul modello delle triadi: il “Grande Cerchio”.
Ben presto Tse entra a far parte del gruppo e, come la maggior parte degli affiliati, si trasferisce ad Hong Kong, dove il terreno per fare affari è più fertile. Nel 1988 si muove verso il Canada e per tutti gli anni 1990 fa la spola tra il Nord America e il Sudest asiatico. È ormai un membro di medio livello del “Grande Cerchio” e si dedica al traffico di eroina proveniente dal “Triangolo d’Oro”, una regione situata ai confini tra Laos, Myanmar, Cina e Thailandia, nota per essere uno dei principali centri mondiali di produzione di eroina ed oppiacei.
Nel 1998, però, le attività criminali di Tse subiscono una brusca frenata. L’uomo viene infatti pizzicato dalle forze di polizia statunitensi ed accusato di narcotraffico dalla Corte del Distretto Est di New York. Quando il processo termina, viene trovato colpevole di cospirazione volta all’importazione di eroina entro i confini degli Stati Uniti e rischia una condanna a vita in un carcere americano.
Il suo avvocato, però, riesce nell’impresa di fargli comminare una pena leggera, almeno rispetto agli standard Usa. Sostenendo che il suo cliente dovesse prendersi cura dei suoi anziani genitori, che avesse moglie e figlio dodicenne ammalati e che fosse sinceramente pentito delle sue azioni, l’avvocato di Tse riesce ad evitare la sentenza a vita. Colui che diventerà il più grande narcotrafficante del continente asiatico viene condannato a nove anni, per la maggior parte scontati nella prigione federale di Elkton, Ohio.
Tse Chi Lop viene liberato nel 2006 ma da questo momento le sue tracce diventano molto più difficili da seguire. L’unica cosa veramente certa è che il suo pentimento non fosse poi così sincero come aveva sostenuto il suo avvocato. Immediatamente dopo la scarcerazione Tse torna in Canada dove rimane per quattro anni in regime di libertà vigilata. Scontata definitivamente la sua pena, però, non sono chiari i suoi spostamenti. Secondo Reuters, nel 2011 registra, insieme alla moglie, una società ad Hong Kong: la China Peace Investment Group Company Ltd.
Intervistato da Reuters, un ufficiale della AFP ha dichiarato che, secondo le indagini, una volta rientrato in Asia, Tse è immediatamente tornato nel commercio di droga ripristinando la sua rete di contatti in Cina, Myanmar e nel Triangolo d’Oro. Grazie all’adozione di un modello di business molto accattivante è riuscito a rientrare prepotentemente nel mercato. Se una partita di droga viene intercettata dalle forze di polizia Tse Chi Lop è in grado di sostituirla senza costi aggiuntivi per il cliente. Nel caso non ci sia la possibilità di agire in questo modo, i soldi vengono restituiti al compratore.
È stato proprio questo sistema di garanzia nei confronti dei suoi clienti a consentirgli di conquistare il mercato, ma anche a farlo notare dalla polizia australiana. Stando a quanto riportato da Reuters, nel 2011 l’AFP riesce ad intercettare un carico di eroina e metanfetamina in Australia, a Melbourne. Invece di arrestare la gang australiana che aveva acquistato la partita di droga, la polizia opta per la sorveglianza dei suoi membri, anche attraverso intercettazioni telefoniche.
L’attività di controllo della gang di Melbourne si protrae per oltre un anno, con i carichi di droga che continuano ad essere facilmente intercettati dalla AFP, per il grande rammarico dei criminali australiani. E non solo. Ogni partita sequestrata dalla polizia viene infatti rimpiazzata dal cartello, come detto, senza costi aggiuntivi per il compratore. Ciò significa che l’intera perdita va a gravare sui conti di Sam Gor, il cartello per l’appunto.
Considerato il fatto che non si erano riscontrate le medesime difficoltà con altre gang operanti sul suolo australiano, la pazienza dei leader del cartello è messa a dura prova. Nel 2013, a seguito dell’ennesimo sequestro, i rappresentanti della gang di Melbourne vengono convocati ad Hong Kong. È proprio qui che spunta di nuovo Tse Chi Lop. Gli australiani, una volta giunti nella ex-colonia britannica, si incontrano con due uomini. La polizia di Hong Kong identifica uno di loro: pare trattarsi proprio di Tse. Egli risulta molto attento alla propria sicurezza personale. Secondo le informazioni in mano all’AFP è protetto da otto guardie esperte di arti marziali (muay thai) che vengono cambiate a rotazione.
Gli investigatori, sorvegliandolo, possono rendersi conto delle disponibilità finanziarie di questo misterioso narcotrafficante. Nonostante il suo aspetto tutt’altro che appariscente, Tse viaggia con jet privati, soggiorna in hotel di lusso (anche per periodi di tempo prolungati) e non bada a spese per garantire protezione a sé e alla sua famiglia.
Ormai è chiaro, per gli inquirenti, che Tse sia un narcotrafficante di alto livello, anche se non ci sono ancora abbastanza elementi per poter fare una stima del suo giro d’affari. L’occasione si presenta tre anni più tardi, nel 2016. Un cittadino taiwanese si trova nell’aeroporto di Rangoon, Birmania. Sta aspettando il volo che lo riporterà a casa quando viene fermato dalla polizia. Gli ufficiali hanno infatti notato qualcosa di strano: l’uomo continua a sfregarsi le mani che sono ricoperte da un eczema. Fin qui, nulla di illegale, nemmeno per gli standard birmani. Eppure la polizia di Rangoon conosce bene gli effetti che gli agenti chimici utilizzati per la produzione di metanfetamina provocano sulla pelle. A seguito della perquisizione, l’uomo viene trovato in possesso di circa 160g di ketamina, un potente anestetico utilizzato in ambito veterinario, oppure da chi vuole sballarsi. Li teneva nascosti in due pacchi, legati ad entrambe le cosce.
L’uomo, il cui nome è Cai Jeng Ze, è già noto alle forze dell’ordine birmane. La Drug Enforcement Administration, ovvero l’agenzia statunitense che si occupa della guerra al narcotraffico, lo aveva da tempo segnalato alle autorità di Rangoon. Cai era però riuscito a far perdere le sue tracce e gli agenti che lo hanno fermato in aeroporto non hanno idea di chi sia.
Cai è un osso duro, e spiega alla polizia che i pacchetti rinvenutigli addosso contengono pesticida e vitamine vegetali. Tutta roba che un amico gli ha chiesto di portare al padre agricoltore a Taiwan.
Gli agenti non sono per niente convinti della spiegazione che gli viene fornita e, pur non avendo un drug-test che possa dimostrare la natura della sostanza che Cai stava trasportando, decidono di trattenerlo per la notte.
Il mattino seguente un membro dell’unità narcotici della polizia birmana lo riconosce, aveva indagato su di lui. L’arresto viene convalidato ma Cai si ostina a rimanere in silenzio, non c’è verso di farlo collaborare. Oltre alla ketamnina, Cai Jeng Ze viene trovato in possesso di due cellulari, che vengono prontamente esaminati dagli investigatori.
Tra le altre cose, gli inquirenti rinvengono un video di un uomo torturato dai membri di quella che sembrerebbe una triade. La sua colpa? Quella di essersi liberato di 300 kg di metanfetamina dopo aver scambiato un motoscafo veloce che stava approcciando la sua imbarcazione per una motovedetta della polizia. L’uomo veniva torturato per testare la veridicità del suo racconto. Il video era stato presumibilmente diffuso come monito per tutti gli affiliati all’organizzazione: i tradimenti non sono tollerati.
Per fortuna degli investigatori, Cai era scrupoloso nell’annotare sui suoi telefoni i dettagli delle sue “operazioni”. Analizzando il contenuto dei due smartphone gli investigatori trovano una montagna di foto, video, annotazioni e messaggi riguardanti il narcotraffico. Nei due mesi precedenti al suo arresto, Cai aveva girato Myanmar in lungo e in largo ed aveva raggiunto un accordo per la vendita di metanfetamina.
Sempre sui suoi dispositivi mobili, gli investigatori trovano lo screenshot della ricevuta di una compagnia di trasporti internazionale, riguardante la consegna di alcuni pacchi di foglie di tè cinese effettuata presso un indirizzo di Yangon. Il sistema di distribuzione della droga, nascosta all’interno di pacchi di foglie di tè, è ben noto alla polizia sin dal 2012. Nemmeno due giorni dopo gli agenti della narcotici birmana si presentano all’indirizzo di Yangon per un controllo.
Nella casa perquisita trovano 622 kg di ketamina e quella stessa sera la polizia riesce a sequestrare oltre una tonnellata di metanfetamina da un molo di Yangon.
Nonostante questi successi le persone arrestate, nove per la precisione, sono membri di basso livello di Sam Gor, non sanno nulla del cartello e Cai non ha alcune intenzione di vuotare il sacco. Accade però che un agente della AFP di stanza a Yangon, mentre sta scorrendo distrattamente le immagini rinvenute sul cellulare di Cai, riconosca un uomo presente in una fotografia. Si tratta di un cittadino canadese di origini cinesi il cui volto non gli è per niente nuovo. È, ovviamente, Tse Chi Lop. Cai non è dunque membro di una qualunque organizzazione. È in affari con Tse. Le autorità birmane invitano la AFP a mandare presso di loro una task force in grado di lavorare sui telefoni di Cai Jeng Ze.
Grazie ad una serie di controlli incrociati tra i dati contenuti negli smartphone di Cai e quelli del più grande database della regione sul narcotraffico (quello australiano, appunto), gli investigatori riescono a collegare Cai, e quindi Tse, ad altri tre maxi sequestri di metanfetamina avvenuti in Cina, Nuova Zelanda e Giappone nel 2016. Più tardi lo stesso anno, alcuni poliziotti cinesi collegano altri dati estrapolati dal telefono di Cai con un quarto sequestro di metanfetamina avvenuto proprio in Cina.
Fino a quel momento gli inquirenti non avevano capito con cosa avevano avuto a che fare. Erano convinti che tutti quei sequestri di sostanze stupefacenti fossero addebitabili a diverse organizzazioni criminali operanti nel settore. Ora invece appare chiaro che le cose non stanno proprio così. La polizia si trova di fronte ad un’unica grande struttura costruita per il narcotraffico, di cui Cai pare essere un esponente importante, anche se molto poco propenso a parlare.
Sebbene giudicato non colpevole rispetto alla questione che ha portato al suo arresto in aeroporto, rimane tuttora in carcere a Yangon in attesa che finisca il processo che lo vede accusato di essere un narcotrafficante di alto livello.
Quello che più conta per gli inquirenti, però, è capire la natura della permanenza di Cai in Myanmar. Sempre grazie all’analisi dei suoi telefoni le forze dell’ordine riescono a mappare gli spostamenti dell’uomo e a ricostruire la sua attività. Egli era riuscito ad organizzare una rete per la produzione ed il trasporto di metanfetamina, grazie anche all’acquisto di un peschereccio, in grado di portare il carico di droga in acque internazionali, dove lo attendeva un vascello di maggiori dimensioni.
Continuando nella sua attività investigativa la AFP fa una scoperta ancora più sconvolgente. L’epicentro della produzione di metanfetamina era stato trasferito dalle province meridionali della Cina allo Shan, lo stato più orientale del Myanmar. Il meccanismo sembra essere ben oliato. Sam Gor si procura gli agenti chimici necessari alla sintesi delle sostanze stupefacenti in Cina, nelle regioni dove aveva operato prima del trasferimento della produzione a Myanmar. Questa zona della Cina, il delta del Fiume Perla, è nota per la presenza dell’industria farmaceutica e non è certo difficile procurarsi efedrina e pseudoefedrina.
La metanfetamina viene però sintetizzata nello Shan. Il luogo è perfetto in quanto, prima, la regione era altamente instabile per la presenza di ribelli in conflitto con le autorità birmane. Lo stato di guerra permetteva dunque ai narcotrafficanti di agire indisturbati, quando non erano direttamente protetti dai guerriglieri, che traevano a loro volta ampi profitti dal traffico di droga. Ora la situazione è persino migliorata, da quando si è giunti alla firma di accordi tra i ribelli e le autorità e il territorio, rimasto sotto il controllo dei guerriglieri, garantisce uno spazio sicuro per la produzione di metanfetamina.
Stando a quanto riportato da Reuters, in questa regione la produzione di sostanze stupefacenti è talmente diffusa e redditizia da schiacciare le normali attività dell’economia formale. In quella che fino a poco tempo fa era una regione devastata dalla guerra, ora non si può fare a meno di notare come tutto sia cambiato. È proprio da queste parti che, oltre alla metanfetamina, viene prodotta la “yaba”.
Secondo un’inchiesta del Manifesto la yaba è un composto di metanfetamina e caffeina che, visto il basso prezzo, sta avendo un enorme successo in Asia. L’emergenza sembra essere particolarmente grave in Bangladesh, dove pare che anche alcuni politici di livello nazionale siano coinvolti nel narcotraffico.
Nello Shan, nel villaggio di Loikan, la polizia è riuscita ad individuare un sito di produzione, all’interno del quale sono state trovate enormi quantità di caffeina ed altri agenti chimici. Intervistato da Reuters, un ufficiale addetto stampa della milizia Kaung Kha ha affermato che alcuni membri della milizia potrebbero aver coperto le attività dei narcotrafficanti, all’insaputa dei superiori.
Gli abitanti del villaggio, intervistati da Reuters, hanno descritto i lavoratori dei laboratori come stranieri di origine cinese, meglio vestiti rispetto ai locali, ma con la caratteristica particolare di emettere un cattivo odore. Esso è dovuto alle reazioni chimiche che portano alla sintesi della metanfetamina ed è difficilissimo sbarazzarsene, soprattutto quando il contatto con determinate sostanze è prolungato e continuativo.
Stando alle autorità, quanto detto dagli abitanti del villaggio è plausibile, visto che buona parte dei chimici è di Taiwan, così come buona parte dei membri degli equipaggi delle navi che trasportano la droga in tutto il continente. Per UNDOC, il commercio di metanfetamina è decisamente più redditizio rispetto a quello di eroina. Non c’è la necessità di avere manodopera numerosa, le sostanze che servono per sintetizzare il prodotto sono economiche e i profitti sono molto, molto elevati.
Sempre secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, il prezzo all’ingrosso di un Kg di metanfetamnina prodotta a Myanmar è di circa 1800 dollari. Al dettaglio, lo stesso kg di sostanza stupefacente viene venduta a più di 70.000 dollari in Thailandia, a 298.000 dollari in Australia e a 588.000 dollari in Giappone.
Questo significa che non importa quanti carichi vengono sequestrati, ogni volta che una consegna va a buon fine, i profitti sono comunque esagerati. Grazie ai dati contenuti nei telefoni di Cai, gli investigatori sono riusciti a comprendere come funziona la rete di trasporto dello stupefacente attraverso tutta l’area Asia-Pacifico. Sugli smartphone erano infatti registrate le coordinate GPS degli spot dove i pescherecci carichi di metanfetamina trasferivano sulle navi da cargo la sostanza prodotta a Myanmar.
Queste navi potevano stare in acque internazionali anche per parecchi giorni. Proprio seguendo i movimenti di una di queste navi cargo, incrociati con i movimenti di un peschereccio acquistato in contanti da un cittadino australiano privo della licenza di pesca, è stato possibile per le autorità della AFP sgominare una gang di bikers che cercava di introdurre una grossa quantità di metanfetamina nel paese.
Grazie all’arresto di Cai le forze di polizia hanno compreso di trovarsi di fronte ad una multinazionale del narcotraffico: un’organizzazione i cui capi risiedono ad Hong Kong, che produce lo stupefacente a Myanmar procurandosi gli agenti chimici in Cina, e che lo diffonde in tutto il continente via nave, tramite vascelli per lo più battenti bandiera Taiwanese.
In effetti si tratta di un’organizzazione nata da una sorta di patto tra cinque gruppi criminali attivi nella regione. Tre triadi di Hong Kong e Macao (14K, Wo Shing Wo e Sun Yee On), la triade originale di Tse (il Grande Cerchio) e una triade originaria di Taipei (la Bamboo Union).
Inutile dire come questo sodalizio criminale sia potentissimo e, va da sé, ricchissimo.
Nonostante alcuni arresti eccellenti sembra che l’organizzazione si stia espandendo. È possibile verificarlo in quanto la produzione di metanfetamina è cresciuta e i prezzi della droga si sono abbassati. Entrambi questi indicatori sono segnali allarmanti di un allargamento del mercato della droga asiatico.
di Riccardo Allegri