La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
L’avvio del Comitato costituzionale siriano tra regime e opposizione è davvero un ‘momento storico’ o una cortina di fumo? Facciamo il punto.
Il 30 ottobre 2019, a Ginevra, hanno avuto avvio i colloqui del Comitato costituzionale siriano tra regime e opposizione sotto l’egida dell’ONU.
Primo frutto tangibile della risoluzione ONU 2254 del 2015, il Comitato – di cui avevamo parlato qui – prevede che il regime di Assad, l’opposizione siriana e la società civile, ciascuno con 50 membri di delegazione, redigano un documento che revisioni, migliori o adatti la Costituzione siriana per tentare di risolvere 8 anni di conflitto. Ogni delegazione include anche i curdi, ma non c’è rappresentanza delle SDF o dell’YPG, cui tra l’altro il regime ha intimato di riconsegnare il Rojava sotto il controllo di Damasco.
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I 150 delegati hanno concordato sulla creazione di un organo di redazione di 45 membri che dovrà abbozzare una nuova Costituzione da sottoporre infine agli elettori siriani.
Pedersen ha dichiarato che il primo incontro ‘è andato meglio del previsto’, nonostante le tensioni e il rifiuto delle parti di stringersi la mano.
“Nessuno crede che il Comitato costituzionale di per sé risolverà il conflitto. Ma se lo si comprende come parte di un processo politico più ampio, potrebbe essere un apripista e un inizio simbolico molto importante di un processo politico”, ha affermato Pedersen.
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Tuttavia, dopo dieci giorni di colloqui, non è stato raggiunto un accordo sul rilascio di migliaia di detenuti inghiottiti nelle carceri e nei centri di tortura del regime, nè vi è consenso sulla riscrittura della Costituzione.
Rivolgendosi ai giornalisti, Ahmad Kuzbari, co-presidente della delegazione del regime siriano e membro del parlamento siriano, ha escluso qualsiasi risultato che possa rivedere lo status quo.
Il co-presidente dell’opposizione Hadi al-Bahra ha dichiarato che ‘è tempo di capire che la vittoria in Siria è raggiungere pace e giustizia, non vincere la guerra.’
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Due dichiarazioni che sintetizzano la differenza di posizioni e intenti delle parti coinvolte: il regime siriano, che negli ultimi anni grazie al sostegno russo-iraniano ha riconquistato gran parte del suo territorio, non ha alcun interesse a fare concessioni né a raggiungere una pace con l’opposizione, tant’è che negli ultimi mesi le campagne di arresti di massa e torture ai danni dei civili nelle aree riconquistate e dei membri stessi della delegazione dell’opposizione non si sono mai fermate.
L’opposizione dal canto suo ha come priorità una transizione politica, il rilascio delle centinaia di migliaia di desaparecidos e la fine dell’offensiva su Idlib.
Posizioni inconciliabili e l’avvio di questi colloqui, elogiato come un ‘momento storico’, non deve oscurare la reale natura dell’intero processo.
Data l’intransigenza del regime e la sua forte posizione data dalla vittoria militare e dall’implicito riconoscimento internazionale come legittimo interlocutore per una soluzione politica, i colloqui sono di fatto una legittimazione e riabilitazione del regime siriano, dove i crimini contro l’umanità commessi dal 2011 a oggi passano in secondo piano.
Eppure è proprio quello il nodo cruciale di qualunque risoluzione del conflitto in Siria: com’è possibile raggiungerla se i responsabili di anni di atrocità siedono al tavolo dei negoziati e del potere? In breve, non è possibile.
È come negoziare la soluzione di un problema con la causa principale del problema in quanto, oltre a distorcere la futura soluzione politica in Siria, il Comitato garantisce a Bashar al-Assad di rimanere al potere.
L’unico risultato è riabilitare il regime, pretendere che milioni di rifugiati e sfollati scappati in gran parte dalle sue atrocità tornino sotto il suo giogo e lanciare il sinistro messaggio che si possono massacrare migliaia di civili e distruggere un intero Paese senza conseguenze.
Addirittura, secondo il direttore del Syrian Network for Human Rights (SNHR), Fadl Abdulghani, ”il Comitato costituzionale viola e contravviene al diritto internazionale” in quanto sarebbe dovuto emergere da un governo di transizione, che non prevedeva certo l’attuale regime ancora al potere.
Inoltre, lo scopo è riscrivere la Costituzione, ma il problema in Siria non è la Costituzione in sè, che sulla carta prevede il rispetto dei diritti umani e un impianto persino democratico, quanto la sua mancata applicazione, in una Siria governata nei fatti da una delle più brutali dittature del Medio Oriente.
Quanto ci si potrà aspettare da questo processo dipenderà anche da quanto gli alleati del regime, Russia e Iran in particolare, riusciranno a spingelo – o costringerlo – a impegnarsi in un dialogo serio, e più in generale da quanto il trio di Astana, che comprende anche la Turchia che sostiene l’opposizione, riuscirà a far funzionare il tutto.
Intanto, il prossimo round di colloqui si terrà il 25 novembre a Ginevra.
di Samantha Falciatori