Questo è il secondo intervento della riflessione su due paesi molto diversi ma che condividono, nei loro contesti di appartenenza, il ruolo di importanti mercati interni e in qualche modo isolati. Due nazioni di cui si parla poco ma che meritano la nostra attenzione: l’eSwatini e la Svizzera. È il momento di parlare della Svizzera.
La prima parte la trovate qui.
Continua la nostra analisi su paesi che mantengono una posizione apparentemente defilata in questo momento di grandi mutamenti storici, ma che invece si sono posti in una condizione chiave di gestione delle nuove rotte commerciali e finanziarie scommettendo sulla loro stabilità e sui mutamenti che stanno accorrendo negli equilibri mondiali.
Secondo l’algoritmo STF (Secure Trust Factor, un algoritmo che usa diverse variabili ed assegna un punteggio allo stato preso in esame), la forza della Svizzera sarebbe in crescita, così come la sua indipendenza e capacità di manovra sui mercati. Si tratta di un vantaggio di quasi due punti l’anno, un mutamento notevole non trattandosi di un paese in via di sviluppo.
L’impressione superficiale, e che questo intervento vuole indagare, è che la Confederazione Elvetica stia sfruttando il potenziamento di rapporti bilaterali non solo con i paesi membri UE ma anche con le superpotenze (USA, Russia e Cina) che vedono chiaramente di buon occhio l’eventuale indebolimento dell’Unione Europea.
Poiché abbiamo chiuso la prima parte di questa analisi, incentrata sull’eSwatini, parlando delle folli spese perpetrate dal sovrano del piccolo stato africano in favore di auto di lusso da distribuire a componenti della famiglia reale, continuiamo a seguire la scia di scandali legati a veicoli di lusso e approdiamo in Svizzera dove è del settembre 2019 la notizia di un maxi sequestro ai danni del vicepresidente della Guinea Equatoriale che aveva acquistato, appunto, veicoli di lusso dal valore complessivo di 27 milioni di dollari.
Le stesse auto sono state poi trattenute e messe all’asta dalle autorità elvetiche al fine di finanziare attività socialmente utili nella Guinea Equatoriale.
Se questa manovra ben si lega alle azioni intraprese dal governo francese sempre ai danni del vice presidente della Guinea Equatoriale, sul versante complessivo i rapporti fra Svizzera ed Unione Europea si sono fatti tesi. I rapporti commerciali fra Svizzera ed Europa sono regolamentati da 120 accordi bilaterali che permettono alla Confederazione di far circolare le proprie merci piuttosto agevolmente sul mercato unico europeo.
Dal luglio del 2019 però le “imprese di investimento” dell’Unione Europea – in altre parole le società che curano tutti gli aspetti della consulenza e intermediazione finanziaria – non sono più autorizzate a negoziare sulla borsa della Confederazione Svizzera. L’accordo, noto come “equivalenza”, che in precedenza consentiva a tali società di far transitare i capitali anche attraverso il mercato svizzero, è scaduto alla fine di giugno e la Commissione dell’Unione Europea ha deciso di non rinnovarlo.
Parallelamente, il governo di Berna, ha quindi disposto il divieto di negoziare azioni svizzere sui mercati dell’UE. In generale le due realtà hanno una antica storia di un rapporto altalenante che può essere ben riassunta dall’inclusione (ed esclusione) di Berna dai programmi di finanziamento dell’UE come il programma Horizon, che fa da cartina tornasole dei complessi rapporti con la politica migratoria che la Svizzera mantiene con alcuni dei paesi membri – tra cui l’Italia.
Nonostante ciò, esistono numerosi correnti interne a Bruxelle le quali invece puntano a distendere i rapporti con la Svizzera, ed anche per questo l’Unione Europea ha rimosso il piccolo paese alpino dalla lista dei paradisi fiscali. Va ricordato che il paese è uno dei principali partner economici dell’Unione e nonostante ciò era stato inserito nella lista grigia nel dicembre 2017. Tale lista definisce quei paesi che pur avendo una scarsa trasparenza in materia fiscale, stanno compiendo azioni per migliorare tale condizioni. L’UE ha quindi riconosciuto gli sforzi in tal senso, coronati dalla riforma fiscale del maggio del 2019 e che entrerà in vigore quest’anno.
Si diceva però che la Svizzera si impegna a mantenere rapporti diretti con i vari paesi europei, tentando spesso di aggirare le norme interne dell’Unione. Non deve quindi stupire che la Svizzera si sia impegnata per firmare un accordo con il Regno Unito al fine di gestire i rapporti commerciali successivi all’entrata in vigore della Brexit – quando e se sarà pienamente completata.
Tale “accordo di continuità”, definito nel dicembre del 2019 prevede che Londra e Berna continuino a giovarsi dei vantaggi dell’area di libero scambio dell’UE anche nella misura in cui il Regno Unito dovesse effettivamente portare a termine la Brexit.
Del resto, il paese d’oltre manica è impegnato a siglare decine di accordi con altrettanti paesi nel tentativo di rendere meno traumatica la tanto agognata, rinviata e proclamata, uscita dall’Unione Europea. Di fatto però tali accordi sono stati concretamente firmati (in forme diverse e talvolta in un’ottica emergenziale e provvisoria) solo con Svizzera, Cile, Isole Faroe, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud.
Inoltre l’uscita della Gran Bretagna rappresenta un concreto pericolo anche per le tante associazioni umanitarie svizzere che si basavano in Inghilterra, e che dal primo febbraio di questo anno non potranno più operare in quanto non esiste più “una base giuridica adeguata per assegnare fondi a organizzazioni che non hanno sede nell’UE”.
Rimanendo nell’argomento della ridefinizione dei rapporti con i paesi membri dell’UE è provvidenziale che proprio il primo gennaio 2020 la Svizzera abbia “restituito” Campione d’Italia – exclave in territorio svizzero – alla Repubblica Italiana. Va detto che tale passaggio era stato richiesto fin dal 2016 e stabilito solo nel dicembre del 2019. La soluzione trovata è estremamente vantaggiosa per i circa duemila abitanti dell’enclave che dovranno sì pagare l’IVA ma con una imposta fissata al 7,7% invece che al canonico 22%. Inoltre sarà compito di Roma saldare i debiti di Campione d’Italia ai creditori svizzeri per un valore di 4,6 milioni di euro.
Spostiamoci ora verso l’analisi dei rapporti della Svizzera con i giganti del nostro tempo, iniziando da quanto sta avvenendo fra Pechino e Berna. Mentre in Italia è ancora acceso il dibattito sul 5G per quanto concerne il fattore sicurezza, essendo tali reti costruite con tecnologia cinese, approccio completamente diverso è quello adottato dalla Confederazione Elvetica.
Nonostante le molte proteste portate avanti dalla popolazione locale il piccolo paese può già vantare una copertura 5G del 90% del territorio nazionale. Il servizio verrà commercializzato proprio quest’anno e promosso dalla Swisscom, la quale garantisce così alla Svizzera un posto di rilievo riguardo questa nuova tecnologia, rendendola seconda solo agli Stati Uniti.
Non è un mistero che tali portentosi avanzamenti tecnologici siano stati possibili solo grazie alla collaborazione fra l’operatore telefonico svizzero Sunrise e Huawei. L’accordo prevede non solo lo scambio di know how tecnologico fra i due paesi ma anche che Huawei possa sperimentare nel nuovo centro di ricerca di Opfikon le sue tecnologie in vista di un ingresso nel mercato europeo.
Tale mossa è profondamente strategica in quanto, nella misura in cui dovesse perdere il partito della reticenza nei confronti della nuova tecnologia (e del controllo delle reti da parte di Pechino), la Svizzera diverrebbe il principale polo di distribuzione di questa tecnologia nel vecchio continente (rafforzando ancor più i rapporti fra la Confederazione e la Repubblica Popolare Cinese).
Forse in questo nuovo scenario va inserito il “rimprovero” dato a Berna dagli Stati Uniti d’America, manifestatosi con la scelta di inserire la Svizzera nella lista di controllo delle valute. Poco prima che venisse firmato il tanto pubblicizzato accordo che pone fine alla guerra dei dazi (ripristinando semplicemente le condizioni pre-Trump) il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti ha così esortato la Svizzera “ad adeguare le sue politiche macroeconomiche per sostenere più fortemente l’attività economica interna” aggiungendo che “nonostante i costi di indebitamento per il governo svizzero siano tra i più bassi al mondo, la politica fiscale rimane sottoutilizzata, anche nei limiti delle norme fiscali esistenti in Svizzera” ma nonostante ciò sembra prossimo un intervento diretto della banca centrale per continuare a supportare il franco svizzero.
Aldilà però delle manovre finanziarie e delle pressioni che possa ricevere, la Confederazione Elvetica avrà sempre, e probabilmente sempre di più, un occhio di riguardo nei confronti di Pechino, anche in relazione ad uno dei principali traffici svizzeri: l’oro.
La Svizzera ha infatti un ruolo da protagonista come paese che acquisisce oro non raffinato per lavorarlo, pulirlo sotto ogni punto di vista, e redistribuirlo nel mondo, ed anche in questo ambito la Cina si impone sul mercato esportando ogni anno quasi il doppio delle tonnellate dell’Australia (che si posiziona al secondo posto). Tale commercio, non sempre chiaro né adeguatamente seguito soprattutto dai principali media, rappresenta una importantissima fonte di reddito per la Svizzera di cui l’opinione pubblica elvetica, solo in questo ultimo periodo è stata raggiunta dalle ombre lunghe di questa tratta.
Concludendo questa analisi atipica della Svizzera, la nostra opinione è che il piccolo paese montuoso stia rafforzando nuovamente il suo ruolo di porto franco per le grandi potenze destreggiandosi fra paesi europei che appaiono sempre più incapaci di dare vita ad una politica comunitaria e confusamente si affannano a stabilire un contatto con questa piccola ed elegante tortuga.
di Tanator Tenabaun