Le ultime settimane sono state dense di eventi inaspettati che potrebbero cambiare la geopolitica del conflitto e far vacillare il regime siriano. Dall’interno.
Potrebbe Assad diventare una zavorra (sacrificabile) per Putin? A giudicare dagli eventi delle ultime settimane, dalle faide interne al regime e dallo scontento sempre maggiore di Putin verso l’intransigenza del regime siriano, la risposta potrebbe essere sì.
Frizioni con l’alleato russo
A fine aprile 2020, l’Agenzia di Stampa Federale (FAN), di proprietà di un noto uomo d’affari russo, Yevgeny Pregozhin, e vicina al presidente Putin, ha pubblicato una serie di articoli con delle critiche senza precedenti contro Bashar al Assad.
Un articolo afferma che Assad “è debole”, che “non ha il controllo della situazione” in Siria e che la ricchezza del Paese viene rubata da funzionari corrotti che “hanno tutto il potere e il controllo sull’elettricità e sull’industria nel Paese”.
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Crepe nell’alleanza tra Assad e la Russia erano già emerse prima d’ora, quando ad esempio la Russia aveva mostrato irritazione verso Assad per aver violato il cessate il fuoco e aver attaccato la provincia di Idlib a gennaio, provocando l’intervento turco, ma è la prima volta che la stampa russa accusa e critica così apertamente l’alleato siriano del Cremlino.
Le critiche della FAN seguono la chiusura di due pozzi di gas nella Siria centrale su decisione del primo ministro siriano, Imad Khamis, e denunciano che i “motivi di sicurezza” forniti dal regime per tale chiusura sono falsi e in realtà dovuti alla corruzione dei funzionari siriani che vogliono trarre profitto dal conseguente aumento dei prezzi. Una corruzione strutturale che starebbe impedendo alle imprese russe di operare nel Paese. L’accusa ad Assad è di essere riluttante o incapace di arginare il suo primo ministro.
Un secondo articolo, intitolato “La corruzione è peggio del terrorismo”, afferma: “Stiamo investendo ingenti somme di denaro nell’economia siriana, ma non stiamo vedendo alcun risultato. Sembra che tutti gli investimenti che la Russia sta facendo in Siria stanno andando in tasca a qualcun altro”.
Un terzo articolo è andato anche oltre, affermando che in Siria sarebbe stato condotto un sondaggio che mostrerebbe che solo il 32% dei siriani sarebbe pronto a votare per Bashar al Assad nelle prossime elezioni presidenziali del 2021, mentre il 54% vorrebbe vederlo scomparire di scena.
Secondo il Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC), noto per essere vicino al governo russo, il sondaggio sarebbe stato condotto dalla Fondazione per la protezione dei valori nazionali, affiliata ai servizi di sicurezza e all’ufficio del presidente Vladimir Putin. Non ci sono reali conferme che questo sondaggio sia stato davvero condotto né come (anche se sono anni che i sondaggi tra i siriani mostrano percentuali anche più marcate di queste), ma ciò che conta è che simili critiche senza mezzi termini da parte di organi di stampa vicini a Putin non hanno precedenti.
Sebbene ciò non significhi affatto che la Russia stia voltando le spalle al regime siriano, è comunque indice di un scontento russo sempre più crescente, tanto che il Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC) prevederebbe che Russia, Turchia e Iran raggiungeranno un consenso per rimuovere Assad, istituire un cessate il fuoco e la formazione di un governo di transizione che includa i membri dell’opposizione del regime e delle forze democratiche siriane (SDF) a guida curda.
D’altra parte, tenere in vita un regime destinato al collasso senza aiuti esterni a tempo indeterminato non è impresa da poco.
Secondo l’agenzia di stampa russa TASS “la Russia sospetta che Assad non solo non sia più in grado di guidare il Paese, ma anche che il leader del regime siriano stia trascinando Mosca verso lo scenario afgano, che è una possibilità molto sconcertante per la Russia.”
Se a ciò si aggiunge la scarsa cooperazione politica del regime siriano, soggetto anche all’influenza iraniana, la frustrazione russa appare giustificata e Assad potrebbe già essere diventato una zavorra sacrificabile.
A rendere il quadro più complesso si aggiungono le dinamiche in corso nell’entourage siriano che, se a prima vista appaiono giochi di palazzo, a una lettura più attenta si intrecciano con la geopolitica del conflitto.
Il caso Makhlouf
Anche per aumentare la pressione su Assad sul piano diplomatico, la Russia avrebbe chiesto al regime siriano di pagare una parte delle spese di ricostruzione – che secondo le Nazioni Unite dovrebbe ammontare a oltre 400 miliardi di dollari – “suggerendo” che il cugino di Assad, Rami Makhlouf – uno degli uomini più ricchi e potenti del regime siriano, proprietario di Syriatel, la più grande rete di telefonia mobile del Paese, e detentore secondo le stime di una partecipazione del 60% dell’economia siriana – pagasse 3 miliardi di dollari.
Quando quest’ultimo ha rifiutato, dicendo che non aveva quel tipo di denaro, la Russia ha dato risonanza ai video pubblicati dai figli di Makhlouf che mostrano le loro auto di lusso vicino alle loro case sontuose a Dubai.
Per Assad è stata un’opportunità per “mettere in riga” un cugino che ha accumulato la sua fortuna grazie al suo legame familiare. Makhlouf – che è anche vicino all’Iran – è stato accusato di evasione fiscale, la maggior parte dei suoi beni sono stati confiscati e i suoi dipendenti sono stati arrestati. A fine aprile, Makhlouf ha pubblicato su Facebook un video di accusa senza precedenti contro il cugino e le forze di sicurezza siriane.
Non solo Makhlouf è vicino all’Iran, ma è anche uno strenuo oppositore di qualunque dialogo con l’opposizione siriana, il che lo pone in rotta di collisione con gli sforzi diplomatici russi. È qui che si potrebbe inquadrare davvero la faida familiare.
Il rivale iraniano
Da anni è emersa una rivalità all’interno dell’alleanza tra Russia e Iran sul destino della Siria nella fase post-conflitto. Nel 2019, questa competizione ha raggiunto il picco quando Putin ha intensificato la sua campagna per contrastare l’influenza di Teheran all’interno delle istituzioni statali siriane. Dopo anni di sforzi per ristrutturare l’apparato militare e di sicurezza del regime siriano, Putin ha sponsorizzato – senza successo – Suhail al-Hasan, un leader delle famigerate Tiger Forces, contro la quarta divisione meccanizzata di Maher al Assad, fratello minore di Bashar e principale pilastro nell’esercito siriano, a causa della sua vicinanza all’Iran.
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Le milizie appoggiate dall’Iran hanno anche sfruttato la debole autorità di Assad per operare liberamente. I tentativi russi di integrarli nelle istituzioni militari siriane sono stati parzialmente bloccati dall’Iran. Tuttavia, la Russia non può avere in Siria un regime incapace di consolidare la propria autorità sui suoi territori e ancora così dipendente dall’Iran.
Anche per questo la Russia ha estromesso l’Iran dal processo politico – gli accordi per fermare l’offensiva su Idlib sono stati presi senza Teheran e sarebbe stata quest’ultima a fomentare il regime siriano a violare quell’accordo a gennaio scatenando l’intervento turco, il tutto in chiave anti-russa.
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In effetti, dopo l’uccisione del generale Soleimani da parte degli USA a inizio gennaio 2020, le forze iraniane in Siria si sono trovate indebolite e secondo fonti israeliane ci sarebbe un lento e discreto declino della presenza militare iraniana in Siria. Le stesse forze israeliane nelle ultime settimane hanno intensificato i raid aerei contro obiettivi iraniani in Siria.
In conclusione…
In tutto ciò, la possibilità che Mosca possa prendere in considerazione la rimozione di Assad non è inverosimile, sebbene non ancora evidente. Una versione “riformata” del regime siriano, senza Assad, potrebbe consentire a Putin non solo di trasformare la Siria in uno stato cliente ancora più legato a sé e più lontano dall’Iran, ma anche di ottenere aiuti per la ricostruzione da parte dell’Occidente, che li condiziona ad una transizione politica, un processo che Assad – e non solo -mina da anni.