Il popolo bielorusso seguita a richiedere le dimissioni del proprio Presidente. Mentre il regime reprime il dissenso, Lukašenko è sempre più isolato e cresce la pressione internazionale sul paese.
Continuano le proteste della società civile bielorussa nei confronti del Presidente Lukašenko. Le manifestazioni erano cominciate nei giorni immediatamente successivi alle elezioni di agosto. Elezioni che, secondo una larga parte della popolazione, erano state viziate da brogli.
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A guidare il movimento che si oppone a Lukašenko è Svetlana Tsikhanovskaja, la quale è stata costretta ad una rocambolesca fuga nella vicina Lituania per evitare di subire il trattamento riservato al marito, incarcerato dalle forze di sicurezza fedeli al regime di Minsk.
Da agosto, dunque, le manifestazioni non si sono mai fermate. E nemmeno la repressione, visto che, secondo le stime di Human Rights Watch sarebbero oltre 25.000 le persone arrestate dalla polizia nel corso delle proteste.
La situazione interna al paese appare in stallo, considerando che Lukašenko parrebbe disposto ad abdicare alla carica che occupa ormai ininterrottamente dal 1994 soltanto dopo la promulgazione della nuova costituzione.
A giudicare dagli ultimi aggiornamenti, la legge fondamentale verrà presentata entro la fine del 2021 e stando a quanto affermato dallo stesso Lukašenko essa dovrà passare attraverso l’approvazione popolare prima di entrare in vigore.
In base a quanto programmato dal governo di Minsk, i lavori per redigere la costituzione dovrebbero cominciare contestualmente alla ripresa delle attività del Parlamento bielorusso, calendarizzata per l’11 febbraio, quando verrà resa nota anche la data del referendum.
L’ipotesi di un ritiro di Lukašenko a seguito dell’approvazione della costituzione non sembra entusiasmare le opposizioni.
Tsikhanovskaja ha affermato in diverse occasioni di non credere alle parole del premier bielorusso, sottolineando poi come la costituzione del paese dovrebbe essere scritta senza il suo intervento.
Nel frattempo, il governo di Minsk, che si era dimostrato scettico di fronte alla necessità di attuare misure preventive per contenere la pandemia di Covid-19, ha deciso di chiudere le frontiere, in quella che sembra essere piuttosto una mossa volta ad impedire ai cittadini bielorussi di lasciare la nazione.
A dimostrazione del fatto che Lukašenko non appaia particolarmente preoccupato per la diffusione del coronavirus vi sono le immagini, per certi versi strabilianti, del ballo di fine anno che questi ha ospitato all’interno dello sfarzoso Palazzo dell’Indipendenza.
Incuranti delle proteste e della pandemia globale, il Presidente bielorusso ed i suoi ospiti non hanno utilizzato alcun dispositivo di protezione individuale e, trattandosi di un ballo di gala, chiaramente il distanziamento non è stato rispettato. È interessante notare che l’evento ha avuto luogo nello stesso giorno in cui la Bielorussia ha dato il via alla campagna di vaccinazione di massa con lo Sputnik V, il dispositivo medico prodotto dalla Federazione Russia.
In occasione del ballo, Lukašenko ha intrattenuto i propri ospiti, più di 300 ragazzi e ragazze provenienti da tutto il paese, con un discorso nel quale si è detto speranzoso rispetto al fatto che i giovani smettano di ascoltare le sirene provenienti dall’estero.
Egli avrebbe fatto esplicito riferimento ai canali Telegram e questa non è di certo una novità, considerando il fatto che già nel mese di novembre del 2020 Lukašenko aveva richiesto al governo polacco l’estradizione dei fondatori di Nexta_live che il regime identifica come estremisti.
Nel frattempo, a livello internazionale il governo bielorusso appare sempre più isolato.
A Mosca non è visto certo con favore il perdurare dello stato di instabilità in un paese confinante e che riveste un’importanza strategica fondamentale.
Sembrerebbe, anzi, che siano state proprio le pressioni provenienti dalla Russia a spingere Lukašenko a programmare il proprio ritiro dalla politica una volta approvata la nuova costituzione. Effettivamente, il tempismo dell’annuncio è stato alquanto particolare, considerando che le parole del leader bielorusso sono state pronunciate immediatamente dopo la visita di Sergej Lavrov, il Ministro degli Esteri della Federazione Russa.
Se il Cremlino, ovvero il principale alleato della Bielorussia, continua nella propria strategia attendista, non esimendosi però dal condannare la violenza di stato, altrettanto non si può dire dei paesi occidentali.
L’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha duramente protestato per la violenta repressione dell’opposizione da parte delle forze di polizia, sottolineando come la situazione all’interno del paese sia in continuo peggioramento ed esprimendo tutto il proprio rammarico in merito ai metodi utilizzati dalle forze di sicurezza, considerati sproporzionati ed assimilabili alla tortura.
Il neo-eletto Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, dal canto suo, ha da subito fatto sentire la propria vicinanza a Svetlana Tsikhanovskaja, e dunque idealmente a tutti coloro che si oppongono al regime di Lukašenko, invitandola per un incontro privato.
Inoltre, lo stesso Biden ha espresso la necessità di inasprire le sanzioni nei confronti della Bielorussia, affermando che avrebbe lavorato insieme agli alleati europei ad un piano volto a garantire sostegno economico a Minsk nel caso di una transizione del paese verso la democrazia.
Sebbene Washington non abbia dunque fatto mancare il proprio sostegno alle opposizioni, appare piuttosto evidente l’intenzione del governo statunitense di procedere con le dovute cautele. Il pericolo di una reazione della Federazione Russa, che vede minacciati i propri interessi quando non addirittura la propria sicurezza nazionale, simile a quelle già sperimentate in Georgia ed Ucraina è sempre dietro l’angolo.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, essa non ha esitato a supportare il movimento di protesta bielorusso. Ancora una volta, però, tale sostegno è stato piuttosto effimero nella sostanza, sebbene possa essere definito pomposo nella forma.
Oltre alle numerose dichiarazioni in favore di coloro che si oppongono al regime di Lukašenko, il Parlamento Europeo ha insignito i manifestanti del Premio Sacharov, importante riconoscimento assegnato ogni anno a chi maggiormente si distingue nella lotta per il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Ad ogni modo, Bruxelles ha imposto dure sanzioni nei confronti del governo di Minsk. Sanzioni che vanno a colpire direttamente 55 esponenti dell’élite bielorussa, tra i quali figura lo stesso Lukašenko.
Le autorità del paese non hanno esitato a rispondere. Nel corso di un intervento alla televisione di stato, il Ministro degli Esteri, Vladimir Makej, avrebbe affermato che la Bielorussia non aveva altra scelta se non imporre a sua volta sanzioni nei confronti dell’Unione Europea. Contestualmente, il governo di Minsk ha interrotto i negoziati con la Ue in tema di diritti umani.
I provvedimenti presi dalla Bielorussia non hanno alcun effetto significativo sulla potente economia europea, sebbene possano mettere a repentaglio gli interessi di alcune tra le più importanti istituzioni finanziarie continentali. La European Investment Bank e la European Bank for Reconstruction and Development avevano effettivamente operato alcuni investimenti nel paese ma il governo di Minsk ha, per il momento, congelato ogni rapporto.
Singolarmente, invece, il paese europeo che più di tutti ha fatto sentire la propria vicinanza a quella parte del popolo bielorusso che protesta contro il regime di Lukašenko è stata la Lituania. Vilnius è stata la prima ad alzare un grido di protesta per la violenza della repressione portata avanti dalle forze dell’ordine e, sempre per prima, ha imposto sanzioni nei confronti di Minsk. Non bisogna poi dimenticare che il governo lituano ha dato asilo a Svetlana Tsikhanovskaja, consentendole di sfuggire alle persecuzioni delle quali sicuramente sarebbe stata vittima se fosse rimasta in patria.
Come scritto in precedenza, anche il governo tedesco non ha fatto mancare il proprio appoggio ai manifestanti, spinto non soltanto da preoccupazioni umanitarie, quanto probabilmente da istanze geopolitiche.
L’Europa Centrorientale corrisponde infatti alla naturale zona d’influenza della Germania che, in questo particolare ambito, è rivale della Russia. Se a Minsk si installasse un governo filo-occidentale, sarebbero i tedeschi coloro che maggiormente ne trarrebbero vantaggio.
Infine, il regime di Lukašenko ha cominciato a perdere appeal anche in ambito sportivo. È del 7 dicembre 2020 la notizia che il Comitato Internazionale Olimpico (Cio) ha imposto diverse sanzioni nei confronti della Bielorussia a seguito della grave situazione interna del paese.
In particolare, lo stesso Lukašenko, in qualità di capo del Comitato Olimpico Nazionale Bielorusso è risultato essere tra le personalità colpite. Gli sarebbe infatti vietato partecipare come spettatore alle gare della rassegna internazionale. A motivare tale decisione, stando a quanto affermato da Thomas Bach, presidente del Cio, sarebbe stata la mancata protezione, da parte delle autorità, degli atleti bielorussi dalla discriminazione per le loro idee politiche.
Il Comitato Internazionale Olimpico ha inoltre congelato i fondi destinati alle varie rappresentative bielorusse.
Più complessa appare invece la questione legata ai mondiali di hockey, lo sport preferito dal Presidente Lukašenko. La rassegna internazionale avrebbe dovuto essere disputata in Svizzera nel 2020 ma a causa della pandemia mondiale l’evento è stato rimandato al 2021. La Federazione Internazionale di Hockey su Ghiaccio (IIHF) aveva pertanto deciso che gli incontri del mondiale sarebbero stati ospitati da Lettonia e Bielorussia.
La cosa era apparsa piuttosto strana, dal momento che i Paesi Baltici, e dunque anche la stessa Lettonia, avevano da tempo vietato l’ingresso nel rispettivo territorio nazionale a Lukašenko.
Ciononostante la IIHF non aveva rivisto la propria decisione. Avevano anzi generato scalpore le foto del presidente della Federazione, René Fasel, che abbracciava il leader bielorusso. Per non parlare poi delle sue dichiarazioni rispetto al fatto che, a suo modo di vedere, il mondo sottovalutava le possibilità di modernizzazione intrinseche al regime di Minsk.
Dal suo esilio lituano, Tsikhanovskaja aveva protestato in maniera veemente e la sua voce non era rimasta inascoltata. In effetti, due dei principali sponsor della competizione, ovvero Škoda e Nivea, avevano fatto sapere che avrebbero ritirato il loro supporto qualora i mondiali si fossero giocati in Bielorussia.
In particolare, la nota casa automobilistica ceca aveva rilasciato un comunicato nel quale dichiarava apertamente che era pronta ad interrompere una partnership di oltre 28 anni con la IIHF in quanto da sempre impegnata, come azienda, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
René Fasel non ha potuto resistere alla forte pressione internazionale determinata dalle vibranti proteste dei leader dell’opposizione ed il 18 gennaio del 2021 la Federazione ha reso nota la decisione di non disputare le gare del mondiale in Bielorussia. A motivare il cambio di rotta, stando a quanto dichiarato dalla stessa IIHF, sarebbero le preoccupazioni riguardanti la diffusione del Covid-19 nel paese e l’impossibilità di garantire la sicurezza vista l’instabile situazione politica bielorussa.
In conclusione, gli eventi a Minsk appaiono congelati. Le opposizioni continuano a protestare contro il regime che, a sua volta, seguita a reprimere violentemente il dissenso. La Federazione Russa, che prediligerebbe una transizione controllata tale da consentirle di mantenere un certo grado di influenza sul governo di Minsk, osserva attentamente gli sviluppi nel paese.
L’Occidente, per converso, ha da sempre appoggiato le opposizioni, imponendo pesanti sanzioni all’élite bielorussa, ma il timore di una nuova Maidan restringe, e non di poco, il suo spazio di manovra.
di: Riccardo Allegri