La definizione giuridica del bacino del Mar Caspio è oggetto di scontro fra gli Stati dell’area. Tale disputa ha origini complesse ed è strettamente connessa agli interessi geopolitici e geoeconomici delle nazioni caspiche.
L’area del bacino del Mar Caspio rappresenta da tempo immemore una zona di estremo interesse strategico. Essa ha ricoperto un ruolo di crocevia, essendo situata sia lungo la direttrice Nord-Sud sia su quella Est-Ovest dell’immenso continente euroasiatico. In quest’ultimo ruolo, attraverso i secoli, il bacino e i territori limitrofi sono stati terreno di scontro per il controllo dell’heartland e per il dominio della massa euroasiatica.
La regione ha riacquistato una notevole importanza in termini geopolitici e geoeconomici in seguito alla fine della settantennale egemonia sovietica la quale aveva mantenuto “congelati” i conflitti e le rivalità regionali e aveva sostanzialmente impedito il perseguimento di interessi da parte di soggetti politici esterni.
Fra le varie questioni tornate in auge in seguito al crollo della compagine statale sovietica, una particolarmente complessa si è manifestata in seno agli Stati della regione (la Federazione Russa, l’Azerbaigian, il Kazakistan, il Turkmenistan, l’Iran) ovvero la necessità di definire il regime giuridico internazionale del Mar Caspio.
Questa necessità è nata dal fatto che la nascita di tre nuove entità statali sulle rive del bacino ha rimesso in discussione le dinamiche della regione.
Dal 1828 al 1991, gli unici due attori politici presenti, l’Impero Russo (in seguito l’Unione Sovietica) e l’Impero Persiano (in seguito Repubblica Islamica dell’Iran) erano riusciti ad accordarsi quantomeno sulle questioni d’interesse comune.
Tenendo conto della profonda variazione che ha subito il contesto geopolitico, il tentativo dei cinque Stati di assicurare i propri diritti e interessi ha presentato, e continua a presentare, problemi sia di natura politica che legale.
In primo luogo, lo sfruttamento delle enormi risorse di idrocarburi della zona (in forma di petrolio greggio e gas naturale) richiede un livello di cooperazione multilaterale fra gli Stati rivieraschi. Base imprescindibile per tale collaborazione deve essere la ripartizione delle proprietà delle risorse del bacino e una chiara delimitazione delle acque e dei fondali.
Tuttavia il processo negoziale si è sempre arenato di fronte alle divergenze fra gli Stati. Le posizioni contrastanti non hanno permesso per lungo tempo nemmeno di dare una definitiva classificazione giuridica condivisa del bacino, poiché già da essa l’ipotetica spartizione ne sarebbe stata pesantemente influenzata.
Tale situazione di stallo si è parzialmente sbloccata con l’accordo raggiunto dai cinque Stati rivieraschi durante l’incontro tenutosi il 12 agosto 2018 nella città kazaka di Aqtau: la firma di tale accordo quadro ha permesso di delimitare le acque territoriali e le zone esclusive di pesca, stabilendo al contempo lo status di spazio marittimo comune per le zone restanti. Tuttavia, l’accordo non ha risolto le criticità legate all’aspetto centrale delle dispute, ossia la suddivisione e la proprietà del fondale del bacino, elemento chiave per l’avvio di attività di esplorazione e sfruttamento delle risorse energetiche presenti.
In questa sede si vuole analizzare le teorie elaborate allo scopo di definire lo status legale del bacino caspico, il processo di mediazione fra gli Stati rivieraschi fino alla convenzione di Aqtau e dare un breve sguardo ai possibili sviluppi futuri.
Lo status legale del bacino in vigore originalmente era costituito da una combinazione fra i trattati stipulati dai precedenti Stati litoranei e dalle consuetudini maturate nel tempo fra gli stessi, ossia il diritto consuetudinario della regione.
I primi elementi di diritto internazionale legati al bacino furono i tratti che legittimarono le conquiste e i privilegi russi a scapito dell’Impero persiano, i trattati di Gulistan e di Turkmenchay.
Questi rimasero in vigore fino al 1921, quando a essi subentrò il trattato di amicizia tra l’Unione Sovietica e la Persia. La necessità di sottoscrivere un nuovo accordo nasceva dalla determinazione dello Stato sovietico di impedire la presenza e la navigazione di forze navali di Stati stranieri all’interno del bacino. Pertanto l’implementazione e la solidificazione dei rapporti con l’Impero di Persia erano uno strumento per potersi tutelare da eventuali minacce esterne.
In primo luogo il trattato abolì de iure tutti gli accordi sottoscritti in precedenza fra le due nazioni, indicando il principio dell’equità, sebbene formale, fra le parti come base per le future relazioni bilaterali. Se il trattato pur stabilì per le parti il reciproco rispetto delle frontiere marittime, esso non ne delimitava le acque.
Le concessioni di pesca, prima totale prerogativa russa, furono condivise con la controparte. Inoltre fu accordato all’Iran il diritto di navigare e di possedere navi in modo egualitario alla controparte.
Nel 1935 fu stipulato un trattato che limitava i diritti di navigazione commerciali e militari solamente alle navi che innalzavano la bandiera dei due Stati, escludendo navi di Stati terzi. Inoltre fu concordato che le attività di pesca potessero essere esercitate nei limiti delle dieci miglia marittime.
Un altro trattato sottoscritto nel 1940 rafforzò le disposizioni già citate sui diritti di navigazione e pesca. Inoltre furono disciplinate, seppur in modo vago e incerto, le attività di esplorazione, trivellazione e ricerca scientifica nelle aree adiacenti alle coste.
Nelle note allegate al trattato, si può trovare l’unico riferimento a un ipotetico status legale del bacino, identificato nell’istituto di condominio tra le due nazioni rivierasche.
Nel 1941, le autorità sovietiche e iraniane, in forza degli accordi raggiunti, iniziarono delle attività congiunte di trivellazione ed estrazione in mare aperto, nonostante non vi fosse stata nessuna consultazione reciproca riguardo alle delimitazioni.
Bisogna tuttavia far notare che nonostante il bacino fosse sotto la formale giurisdizione di entrambe le nazioni, si può affermare che la sua sovranità fosse de facto in mano all’Unione Sovietica.
Infatti, il 25 agosto 1941, le truppe sovietiche invasero il nord dell’Iran con il duplice scopo di prevenire un possibile allineamento dello scià con le potenze dell’Asse e di garantire un’agevole linea di rifornimento per l’alleato britannico. Le truppe sovietiche si ritirarono dalla zona solo nel 1946 ed in seguito alle insistenti pressioni Anglo-americane.
Le autorità di Mosca, già nel 1935 si ostinavano a tracciare un incerto confine delle acque a titolo unilaterale, il quale chiaramente non vantava nessun tipo di riconoscimento internazionale. In seguito il governo centrale decise di ripartire i fondali in modo tale da attribuire alla competenza territoriale di ciascuna repubblica sovietica bagnata dal bacino un settore delimitato tramite lo strumento della linea mediana. Tuttavia non furono resi noti i punti geografici di riferimento per il tracciamento della linea.
Da questa breve analisi si possono trarre determinate conclusioni.
I trattati regolavano l’aspetto cooperativo tra le due parti in determinate materie. Ciononostante essi, sebbene accennino all’ipotesi condominiale, non potevano essere considerati sufficienti per applicare il suddetto regime al bacino. Inoltre, il fatto che essi individuassero zone esclusive per l’attività ittica e per l’esplorazione delle risorse era in aperta contrapposizione ad un’ipotesi di status condominiale o di sovranità condivisa.
Bisogna dedurre che non vi fosse fra le parti una reale intenzione di disciplinare lo status giuridico del Caspio. L’ipotesi di voler applicare un regime di sovranità congiunta del bacino può essere solo desunta, poiché i termini “condominio” o “sovranità condivisa” non sono presenti in nessun trattato.
Per approfondire: Carlo Frappi, Azad Garibov, “The Caspian Sea Chessboard, Geo-political, geo-strategic and geo-economic analysis”, Egea S.p.a., Milano 2014, pp.29-30 Bulent Gokay,” The Politics of Caspian Oil”, Palgrave, New York 2001, p.60
Di: Tommaso Silvestri