Bashar al Assad ha vinto le elezioni in Siria, ma nel suo messaggio di vittoria non c’è nessun cenno all’unità nazionale e ai milioni di rifugiati e profughi fuori e dentro la Siria.
Come era prevedibile, le elezioni in Siria di fine maggio 2021 sono state vinte da Bashar al Assad con il 95,1% dei voti e, come annunciato dal Presidente del Parlamento Hammouda Sabbagh in conferenza stampa, avrebbero votato 14 milioni di siriani. Un dato curioso, se si considera che 6,6 milioni di siriani sono rifugiati fuori dal Paese, 6,7 milioni sono sfollati interni in zone fuori dal controllo governativo – e quindi non hanno potuto votare – e che la popolazione siriana totale ammonta all’incirca a 24 milioni. Se ne deduce che non è verosimile che ci siano 14 milioni di siriani nelle aree governative, le sole dove si sono organizzati i seggi, per di più tutti votanti, dato che una parte consistente è composta da bambini senza diritto di voto. Per quanto riguarda l’estero, nei Paesi vicini alla Siria dove si poteva votare (come in Libano) le elezioni, viste come una farsa, sono state largamente boicottate dai rifugiati, che nonostante le intimidazioni non hanno votato.
I conti quindi non tornano, ma il dato non deve stupire dato che, come decine di video condivisi sui social mostrano, gli scrutatori e i militari hanno falsificato schede in tutto il Paese riempendo un numero imprecisato, ma di certo sostanziale, di schede bianche.
Si tratta delle ennesime elezioni farsa dove Bashar al Assad ha “sfidato” solo due rivali, accuratamente selezionati dalla Corte Costituzionale, e dagli esiti prevedibili.
Ma al di là della farsa, con soldati che hanno votato con il loro sangue ferendosi al petto, è nel messaggio di vittoria elettorale che Assad ha rivolto ai suoi fedelissimi che si intuisce quali siano le conseguenze di queste elezioni in Siria e cosa non ci si deve aspettare nei prossimi 7 anni di mandato.
Nei quasi 10 minuti di discorso, Assad si rivolge a chi lo ha votato ringrazionadoli della loro lealtà e tenacia contro i nemici della Siria e rivolgendo parole durissime a chi si è opposto al suo regime parlando di “tori impazziti” senza onore né etica.
Nessun cenno ai progetti futuri del suo nuovo mandato elettorale, a come intende far uscire il Paese da anni di guerra e da una crisi economica che ha messo in ginocchio il sistema (stime ONU parlano di un 90% dei siriani sotto la soglia di povertà), ma soprattutto nessun cenno ai milioni di rifugiati siriani all’estero né alle milioni di sfollati interni e nessun cenno all’unità nazionale o a una qualche parvenza di riconciliazione della società.
Un discorso con una rabbia sotterranea che fa capire quanto la vittoria per Assad sia legata esclusivamente alla sopravvivenza del regime, che è l’unica priorità, a discapito dei siriani e dell’unità della Siria. Non vi è alcun cenno all’unità nazionale per il semplice fatto che tutti i milioni di siriani che non vogliono più quel regime al potere sono considerati traditori, come Assad dice senza mezzi termini nel suo discorso, e quindi indegni di ogni considerazione. Il messaggio è chiaro: la Siria non è più di tutti i siriani, ma solo di quelli fedeli al regime. È evidente dunque, ancora una volta, quanto la Siria sia ben lontana dalla pacificazione e da qualunque soluzione reale e duratura del conflitto.
Le elezioni in Siria sono state accolte con freddezza dalla comunità internazionale, tanto che i Ministri degli Esteri di Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito e Italia hanno firmato una dichiarazione congiunta di condanna delle elezioni farsa. A congratularsi con Assad solo i suoi alleati Russia, Iran, Cina, Venezuela e Bolivia.
Eppure non mancano le contraddizioni: Grecia e Cipro stanno lavorando per la riapertura delle loro ambasciate in Siria, segno che alcuni Paesi vogliono normalizzare le relazioni con la Siria, sebbene l’Unione Europea abbia precisato che le decisioni dei singoli Stati Membri non influiscono sulla politica generale dell’UE, secondo cui non ci sarà una normalizzazione dei rapporti con Damasco finchè quest’ultima non si impegnerà a una transizione politica reale e inclusiva che porti alla fine del conflitto, in base alla risoluzione ONU 2254. Anzi, il Consiglio Europeo ha esteso di un altro anno le sanzioni contro il regime proprio nei giorni delle elezioni.
Ma la contraddizione forse più evidente è stata la decisione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) di eleggere, il 1 giugno, proprio la Siria come membro del suo Comitato esecutivo. Lo scopo di questa’organo delle Nazioni Unite è di stabilire l’agenda dell’OMS e di attuare le politiche concordate, ma la decisione ha generato molte polemiche, dal momento che proprio il regime siriano è stato responsabile di bombardamenti deliberati contro ospedali, strutture mediche e operatori sanitari durante i dieci anni di conflitto in corso, commettendo crimini di guerra contro strutture protette dal diritto internazionale, come ampiamente documentato non solo da numerose organizzazioni umanitarie, ma anche dalla Commissione d’Inchiesta sulla Siria della stessa ONU.
La nomina è stata condannata da attivisti di tutto il mondo, ONG e operatori sanitari, soprattutto nel timore che il regime possa usare questa nuova posizione per impedire ancora di più l’accesso degli aiuti umanitari nelle zone dell’opposizione, cosa che peraltro sta già facendo a livello interno.
Anche il direttore esecutivo dell’ONG svizzera UN Watch, Hillel Neuer, ha criticato la mossa, affermando che:
“Eleggere la Siria a governare il principale ente sanitario mondiale è come assumere un piromane come capo dei vigili del fuoco. Il regime siriano di Assad bombarda sistematicamente ospedali e cliniche, uccidendo medici e infermieri mentre si prendono cura di malati e feriti. Gli operatori sanitari sono stati arrestati, imprigionati, fatti sparire, torturati e giustiziati. Eleggere questo regime a governare il principale ente sanitario del mondo è un insulto per i milioni di vittime di Assad e lancia un messaggio terribile“.
A gennaio, inoltre, è emerso che l’OMS aveva utilizzato una compagnia aerea affiliata al regime siriano e sottoposta a sanzioni internazionali per fornire aiuti alla Libia.
Insomma, la credibilità internazionale nei confronti della Siria sembra non godere di massima trasparenza e questo porta ad una legittimazione di un regime che resta il problema principale del conflitto in corso.
A 10 anni dalla rivoluzione in Siria – tramutatasi in guerra -, dopo mezzo milioni di morti e metà della popolazione siriana rifugiata o sfollata, il regime si ritrova a governare su meno della metà della popolazione originaria in solo il 70% di un Paese diviso, e una soluzione vera, che tenga conto di tutti i siriani, che possa riportare in patria i milioni di esuli e portare alla scarcerazione delle migliaia di arrestati e deseparicidos nelle carceri del regime, appare ancora molto lontana.
di Samantha Falciatori