La strategia italiana nella corsa allo spazio

L'Italia vista dallo spazio. Credit to: NASA

La tecnologia, la diplomazia ed il “nuovo artigianato di settore.”


L’Italia è una paese difficile da inquadrare, soprattutto per gli osservatori italiani. Schiacciato fra aspirazioni titaniche ed una radicata esterofilia che tende a svilirne il ruolo internazionale, sembra sfuggire agli italiani stessi il ruolo cardine che questa relativamente giovane nazione ricopre nello scacchiere politico internazionale. 

In realtà l’Italia si presenta come un Giano bifronte, in quasi ogni ambito di riferimento: da una parte si tratta dell’ottava economia del pianeta, terza nell’Unione Europea; membro fondatore della NATO e dell’Unione Europea e al contempo cinquantaduesimo paese per indice di corruzione e quarantunesimo per libertà di stampa, senza contare che ospita tanto alcune delle regioni con il PIL procapite più alto d’Europa quanto alcune con il PIL più basso. 

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Difficile dire a quando si deve retrodatare l’inizio di questa apparente innata ambiguità, manifestatasi già fortemente durante la Guerra Fredda, vantando l’Italia tanto un ruolo di partner affidabile del Patto Atlantico quanto il Partito Comunista più grande dell’Europa Occidentale, ed espressioni celebri come quella che voleva che l’Italia avesse “la moglie americana e l’amante araba” descrivono ulteriormente un quadro di ambiguità in ambito diplomatico ed economico. 

Di sicuro questo costante atteggiamento apparentemente ambiguo che lascia l’Italia aperta ad ogni possibile collaborazione ed accordo ha permesso, allo stato italiano, di ritagliarsi un ruolo anche in quei contesti ove ne mancavano gli strumenti oggettivi, definendo delle nicchie di specializzazione che pongono questa strana nazione in un ruolo vantaggioso anche nell’ambito dell’esplorazione spaziale. 

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Esploratori con le navi degli altri

A ben guardare sembra che l’Italia abbia una antica tradizione di esplorazione “per procura”, di cui va molto fiera, e nella narrazione autocelebrativa sembra ci si dimentichi che nessuna di quelle grandi esplorazioni venne condotta nell’ambito di progetti di uno “stato italiano” (uno dei tanti che all’epoca componevano la penisola) bensì gli abilissimi marinai, capitani, esploratori e cartografi italiani partecipavano alle grandi spedizioni organizzate dalle potenze economiche dell’epoca. Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci e Giovanni Caboto cambiarono il mondo e la storia a bordo di navi spagnole ed inglesi. Ugualmente, l’avventura spaziale italiana prende il volo nel 1964 con il satellite San Marco, portato nell’atmosfera da un vettore della NASA. 

Il satellite San Marco, Credit to: NASA

Anche la nascita dell’Agenzia Italiana per lo Spazio è intrinsecamente legata ai rapporti che il bel paese ha intrecciato con i vari partner nel corso del tempo. In principio l’Italia fu tra i fondatori del programma per l’European Launcher Development Organisation (ELDO) nel 1962 e parallelamente fondatrice insieme ad altri dieci partner dell’European Space Research Organisation (ESRO) nel 1964.

Le due entità convergeranno nel 1975 nell’ESA (l’agenzia spaziale europea) di cui l’Italia risulta ancora attualmente il terzo partner, dopo Francia e Germania, per investimenti sia economici che tecnico scientifici. Solo nel 1988 verrà fondata una vera e propria Agenzia Italiana per lo spazio e le operazioni in tale ambito non saranno più da quel momento sotto il diretto controllo del Centro Nazionale Ricerche. 

Headquarter ASI. Credit to: ASI

Il nuovo artigianato di settore

Esattamente come nel mercato manifatturiero, l’Italia ha progressivamente occupato un segmento importante dell’industria dell’esplorazione spaziale, una specie di nuovo “artigianato di settore” specializzato non tanto nella realizzazione di intere missioni ma sulla componentistica che per la sua natura “incompleta” si presta per creare rapporti di collaborazione con un ventaglio molto più ampio di partner, condizione che si dimostra essere vantaggiosa tanto in termini economici che diplomatici. 

Un esempio in tal senso sono i cosiddetti “progetti specchio”. Un programma di iniziative varate dal 2019 nel corso delle quali l’ASI fornisce supporto a programmi promossi dall’ESA creando un percorso parallelo che se da una parte sostiene la missione madre guidata dall’Unione Europea, dall’altra raggiunge un sufficiente grado di indipendenza per cui, a processi ultimati, può agire parallelamente. Inoltre, grazie ai progetti specchio, tutte queste attività possono essere affidate ad un’azienda italiana con vantaggiose ricadute sull’economia del paese. 

Nella foto il satellite franco -italiano Athena Fidus con il quale l’Italia contribuisce al programma europeo Govsatcom. Il satellite Ital-govSatCom è il primo progetto specchio dell’Agenzia spaziale italiana. Credit: CNES

Un gioco complesso di scatole cinesi che può essere meglio espresso con un esempio: l’ESA ha realizzato e sta realizzando una serie di sistemi satellitari i quali hanno varie funzioni fra cui la navigazione (progetto Galileo), la comunicazione (Govsatcom) e la mappatura satellitare (progetto Copernicus).

Nell’ambito di tali progetti l’ASI ha realizzato il “progetto specchio” Ital-GovSatCom affidato per la sua realizzazione alla Thales Alenia Space, società del gruppo Leonardo, che contribuisce al 50% delle spese. In questo modo da una parte si fornisce supporto ai progetti principali, ma dall’altra si incentiva l’uso dei vettori di produzione italiana: la serie Vega

Questo vettore merita una menzione speciale poiché anch’esso riassume perfettamente il modo in cui l’Italia sta gestendo il suo ruolo nella corsa allo spazio. I vettori Vega hanno la caratteristica di non essere potenti quanto le loro controparti Europee ed Americane (come i vettori Ariane di cui abbiamo già parlato) ma hanno la capacità di portare piccoli stormi di satelliti  abbattendo così i costi di lancio potendo vendere a più utenti la presenza a bordo. Il primo Vega è partito nel 2012 proprio dalla base di Kourou, nella Guyana francese, patria degli Ariane a cui fa concorrenza. 

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Una diplomazia, molte collaborazioni

L’ESA però non è il limite ultimo delle collaborazioni italiane ed in realtà a causa della natura ibrida dell’impegno italiano nel settore spaziale è difficile seguirne tutti i passaggi: l’ASI infatti coordina l’attività di molte società italiane che poi sono libere sul mercato di agire indipendentemente. Ciononostante è importante osservare la collaborazione tra ASI e la China Manned Space Agency (CMSA) attiva fin dal 2017 per attività di ricerca scientifica da svolgersi sulla stazione spaziale cinese. L’Italia ha inoltre contribuito in maniera notevole alla costruzione della Stazione Spaziale internazionale con la creazione dei moduli Harmony, Tranquillity ma soprattutto della celebre Cupola

L’immagine è stata catturata dall’astronauta Scott Kelly a bordo della Stazione Spaziale Internazionale il 4 giugno 2015. Credit to Nasa

Una caratteristica unica di questo periodo storico è anche l’ingresso delle società private, soprattutto americane, nello scenario dell’esplorazione e del turismo spaziale e l’ASI risulta presente anche in quest’ambito. Risale infatti all’ormai lontano 2018 un accordo tra ASI e Virgin per una collaborazione orientata a far decollare i voli turistici della società fondata da Richard Branson dallo spazioporto italiano. 

Argomento che ci permette di introdurre la problematica delle piste di lancio già osservata nel caso dell’Agenzia per la ricerca spaziale francese. 

Dal 1967 fino al 1988 l’Italia ha potuto effettuare i suoi lanci dal Centro Spaziale Luigi Broglio, localizzato a Malindi, in Kenya, sfruttando l’allora avveniristico sistema di lanci effettuati da piattaforme oceaniche, unico all’epoca nel suo genere, che risolve in maniera ingegnosa tanto le problematiche del territorio legate alla partenza dei vettori quanto la necessità di disporre di ingenti quantità di acqua al momento del decollo. 

Il centro spaziale prima sotto la direzione dell’Università la Sapienza di Roma e dal 2004 sotto diretto controllo dell’ASI oggi si definisce come un centro di coordinamento delle missioni Ariane e Falcon 6 (costantemente aggiornato e dotatosi ancora nel 2019 di nuove parabole) e non effettua più lanci diretti. 

La presenza della base in territorio keniota è stata definita da accordi bilaterali fra le due nazioni, definiti nel 2016, ratificati nel 2019  ed entrati in vigore nel 2020.  

Ad una prima osservazione risulta incomprensibile la natura dell’accordo fra Virgin e ASI non avendo l’Italia una sua pista di lancio, questo perché non si tiene in considerazione della costruzione, in questi anni di uno spazioporto sul territorio italiano: Lo Spazioporto di Grottaglie. 

Lo spazioporto italiano

Questa struttura è la prima pista di lancio ufficiale sul territorio europeo anche se per il momento pensata per voli suborbitali come quelli organizzati, appunto, dalla Virgin. La creazione è stata per le prime fasi puramente istituzionale, concedendo all’aeroporto “Marcello Arlotta” (al momento chiuso ai voli civili) la nuova destinazione d’uso, ma di giorno in giorno nuovi capitali arricchiscono di infrastrutture la località che presenta una serie di vantaggi (climatici, paesaggistici e localizzazione geografica) e lo stesso governo italiano ha già stanziato 21 milioni e varato l’invio di ulteriori 30 milioni nei prossimi anni.

L’Inghilterra è arrivata in ritardo in questo ambito, e l’unica alternativa europea a Grottaglie risulta essere lo Sutherland Spaceport, in Scozia, la cui costruzione dovrebbe iniziare alla fine di quest’anno. Per quanto concerne Grottaglie si è al momento solo in attesa delle autorizzazioni e regolamenti inerenti i rientri orbitali. 

Questo breve spaccato sulla presenza italiana nell’esplorazione spaziale dimostra come questo nuovo ambito industriale, economico e diplomatico sia composto da poliedrici elementi e se da una parte solo alcune nazioni possono mettere in campo la forza e l’organizzazione necessaria per realizzare una missione spaziale nella sua interezza, altre realtà possono settorializzarsi in ambiti più specifici. 

Questo approccio non va sottovalutato poiché permette a paesi come l’Italia di essere presente nella corsa allo spazio e ritrovarsi così a poter sedere al tavolo dei vincitori quando sarà il momento di tirare le somme.

Volendo utilizzare un esempio della Storia si pensi alla città di Venezia la quale divenne esperta nella produzione delle lanterne per le galee, le quali venivano vendute addirittura allo stesso impero Ottomano che era coinvolto in tanti conflitti contro la Serenissima. L’artigianato di settore ed iperspecializzato non potè impedire il tramonto della potenza marittima di Venezia, ma ne garantì la sopravvivenza per secoli dopo che aveva perso la sua velleità imperialista.

Inoltre, come già anticipato, l’esplorazione spaziale è l’unico settore civile che spinge ad innovazioni tecnologiche pari a quelle che si ottengono dall’ambito militare, e lo spazio può trasformarsi in un vero e proprio laboratorio a cielo aperto, è il caso di dirlo, ove sperimentare innovazioni che poi avranno concrete ricadute sull’industria e l’economia nazionale. Questo è esattamente il caso della nazione di cui ci occuperemo la prossima volta, chiudendo il ciclo dell’Unione Europea: la Germania. 

Di: Tanator Tenabaun