Agenda 2030: conservare le risorse marine

Il 14 obiettivo dell’Agenda 2030 si preoccupa di indicare come conservare e utilizzare in modo durevole, gli oceani, i mari e le risorse marine


I luoghi definiti “patrimonio comune dell’umanità”

Un gruppo umano si appropria delle risorse che servono al proprio sviluppo per istinto: poche eccezioni esistono a questa tendenza e – oggi – a stento se ne conserva la memoria; un esempio per tutti sono gli individui di etnia Maori, i cui antenati ritenevano di essere loro ad appartenere alla terra, e non il contrario. A livello globale, la corsa degli Stati al consolidamento della propria sovranità e l’accaparramento delle risorse che ne consegue hanno drasticamente ridotto il numero di aree non rivendicate.

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I luoghi non soggetti a sovranità territoriale statale sono stati definiti con diversi termini, tra cui “patrimonio comune dell’umanità” (PCU). Essi sono caratterizzati – idealmente – dal divieto di appropriazione pubblica o privata, dalla gestione collettiva affidata a rappresentanti di tutti gli Stati, dall’obbligo di equa distribuzione dei benefici tratti da codeste aree, dal divieto dell’uso della forza e dall’obbligo di preservazione per le generazioni future. Oggi, le zone PCU sono l’Antartide, l’alto mare, le zone di mare non costiere con i loro fondali, l’Artide e lo spazio extratmosferico, ma il principio di gestione comune di queste aree è minacciato non solo sul piano pratico da concrete spinte privatizzatrici ma anche sul piano teorico, dato che non possiede ancora una definizione univoca.

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Non tutte le aree marittime appartengono quindi al Patrimonio Comune dell’Umanità e d’altronde ben sappiamo quante attività legate al mare siano fonte di sostentamento per un numero elevato di individui: si pensi solo alle risorse alimentari, ai trasporti, all’energia, al turismo, alla difesa e alla ricerca, solo per menzionare alcuni tra i più importanti settori legati alla blue economy e alla blue growth. Tuttavia, piaceva l’idea di aprire il nostro spazio di riflessione sul Goal 14 suddiviso a sua volta in 7 target, lasciandoci ispirare dalla saggezza di popolazioni antiche, capaci di avere un rapporto rispettoso degli ambienti che le sostenevano e in parte le sostengono ancora.

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I diritti di proprietà sono un forte stimolo al pieno sfruttamento di una risorsa e, al contempo, al mantenimento di un alto livello di redditività sul lungo periodo. D’altra parte, l’accesso sregolato a risorse non rinnovabili condanna queste ultime al depauperamento, e infine, all’esaurimento. Terminate le possibilità di guadagno, tale risorsa viene abbandonata, e rimangono solo i rifiuti.

Ed è per questo motivo che, pur in termini fortemente semplificati, possiamo riflettere sulla triade sovranità – libertà e patrimonio comune dell’umanità. Sin da tempi molto antichi, infatti, oltre la linea delle acqua territoriali ‘appartenenti’ agli Stati costieri, che si colloca alle 12 miglia nautiche dalla costa, il principio della libertà dei mari ha regolato tutte le interazioni dell’umanità con l’elemento mare aperto, le ‘zone di mare non costiere’ di cui abbiamo accennato sopra in quanto parte del PCU.

Elementi giuridici a disposizione di un sistema “sregolato”

Alla libertà corrispondono una serie di elementi giuridici e pratici che rendono questa soluzione ‘sregolata’ non completamente conveniente: per esempio, mancano infatti in questa parte di mare le possibilità di apprendere e sanzionare chi commette atti illeciti ed è possibile che le ricchezze del mare aperto vengano sfruttate in modo non rispettoso dell’ambiente. Per questo motivo, riteniamo che ancora oggi sia molto utile appoggiarsi alla figura giuridica del PCU ed anzi riteniamo importante promuoverla come soluzione ideale ai molti dilemmi inerenti le terre di nessuno, di cui abbiamo già parlato.

Tuttavia, siamo anche consapevoli che anche il modello PCU è suscettibile di fallimenti: non ultimo, il fenomeno delle concessioni a privati, che sono autorizzati da organi preposti nel quadro delle Nazioni Unite alla supervisione delle aree patrimonio comune dell’umanità a sfruttarne le risorse, ‘in nome dell’umanità tutta’. Applichiamo ancora una volta la nostra metafora dell’imbuto e  proviamo a considerare il mare, la costa, la fauna e la flora marittime come immaginarie PCU, pensiamo che possiamo goderne, certo, ma che in eguale misura devono poterne godere tutti, ovunque, e anche nel futuro.

Ecco che l’Agenda rivolge il proprio sguardo in modo specifico ad una determinata tipologia ambientale: la vita degli oceani e dei mari.

Sono innumerevoli le azioni quotidiane che impattano sugli ecosistemi acquatici e che si sostanziano in comportamenti ormai automatici per noi, come il lavarsi le mani o azionare la lavatrice. In questa sede ci concentreremo sulle misure che un’impresa può porre in essere per preservare gli ecosistemi acquatici, facendo come sempre riferimento ai target che proprio l’Agenda ha individuato su questa tematica.

Una nota che vogliamo aggiungere è che gli ecosistemi marini ed oceanici vengono compromessi indirettamente anche dall’inquinamento delle falde e dei rivi di acqua dolce (per avere un’idea più precisa riguardo all’inquinamento delle acque, si rinvia al sito della Protezione Civile), per cui occorre avere uno sguardo globale alle risorse idriche del pianeta, operando un collegamento con quanto già indicato nel goal 6, per raggiungere questo obiettivo.

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Prevenire l’inquinamento marino in tutte le sue forme

In primo luogo, l’Agenda si propone di prevenire e ridurre, entro il 2025, in modo significativo l’inquinamento marino, soprattutto quello derivante da attività terrestri, anche sotto forma di detriti e di inquinamento da nutrienti, che minaccia gravemente sia le piante che la fauna acquatici.

Vietnam, 2020, Stagni destinati all’acquacoltura scaricano direttamente in mare agenti inquinanti. Credit to: Nguyen Duy Sinh

In quest’ambito, la gestione dei propri rifiuti gioca un ruolo centrale. A meno che non si tratti di un’azienda che specificatamente utilizza risorse idriche per la produzione o produce scarti costituiti da acque o fanghi inquinanti, occorre che la gestione dei propri rifiuti sia oculata e che tenda ad evitare lo sversamento di sostanze nelle acque. Ciò può avvenire sia in via diretta, ossia dotandosi di un sistema di filtraggio delle acque con elevate performance ed informandosi sulla tipologia di percorso e filtraggio compiuto dalle proprie acque di scarico, sia in via indiretta, ossia utilizzando in azienda materiali la cui produzione non impatta sugli ecosistemi acquatici.

Questo può voler dire ridurre l’utilizzo di materiale plastico, eliminare la plastica monouso ad esempio fornendo ai dipendenti/collaboratori la possibilità di riscaldare il pranzo portato da casa, rifornirsi di saponi a basso impatto ambientale, utilizzare erogatori di caffè con bicchierini compostabili o eliminare del tutto gli erogatori e dotarsi di macchinetta del caffè e tazze. Questi sono solo esempi, volutamente semplici, per indicare come anche le più semplici azioni di tutti i giorni impattino sulle nostre acque.

Proteggere l’ecosistema marino e costiero

Il secondo target, si occupa di, gestire e proteggere in modo sostenibile gli ecosistemi marini e costieri, anche rafforzando la loro resilienza, e intervenendo per il loro ripristino e si propone di farlo entro il 2020. l’ONU, fornisce informazioni su questo goal e indica che alcuni progressi sono stati fatti, come ad esempio l’aumento delle aree marine protette, ma indica che il raggiungimento dell’obiettivo è ancora lontano. Uno dei dati che colpisce, è che la pandemia oggi ancora in corso è stato uno dei fattori che hanno contribuito ad alleviare la pressione su mari e oceani, favorendo un periodo di recupero per queste preziose risorse.

La singola impresa, può attivamente adoperarsi per informarsi sull’utilizzo delle risorse marine da parte della Regione in cui è radicata. Ad esempio, è opportuno sapere se vi siano politiche per implementare la pesca locale, se si forniscono spazi costieri per l’acquacoltura. Un’altra attività da implementare può essere quella di organizzare iniziative, sia interne che esterne all’impresa, per operare la pulizia delle spiagge o del percorso di rivi che poi giungono al mare: può essere una buona iniziativa per il team building e per sensibilizzare anche la clientela. Si può “adottare un ecosistema” e diventare partner di enti di ricerca che si attivano per ripristinarlo oppure, se si ha una mensa, rifornirsi di prodotti che rispettino la fauna marina.

Ridurre e affrontare l’acidificazione di mari e oceani

Il terzo target, si propone di ridurre l’acidificazione di mari e oceani, cagionata dall’aumento di CO2 derivante dalle attività umane. Volendo guardare esclusivamente al Mare Nostrum, i dati non sono incoraggianti, ma il Politecnico di Milano ha elaborato un progetto per ridurre il nostro impatto su questo mare. Non vogliamo qui favorire campanilismi, ma iniziare a guardare alle realtà vicine, interessandosi a cosa succede nel mare che bagna la nostra penisola, può essere un buon primo passo per risolvere questo urgente problema. D’altra parte è proprio l’Agenda a proporre come prima soluzione quella di informarsi e capire il fenomeno, oltre ovviamente a provvedere al tracciamento delle proprie emissioni di GHG che cagionano l’acidificazione stessa.

Regolamentare la pesca

Il quarto target affronta un tema spesso dibattuto, ossia la pesca. Questa attività deve essere svolta in modo da rispettare la naturale potenzialità di rigenerazione delle risorse ittiche e quindi i loro cicli biologici. Inoltre, la pesca è un’attività regolamentata e quindi si deve abbattere la pesca clandestina. Purtroppo, il target aveva come obiettivo il 2020, ma c’è ancora parecchia strada da fare, l’overfishing è un problema ancora attuale, come si può facilmente leggere anche sul materiale informativo fornito dal WWF. Naturalmente, si tratta di un macro argomento e, come sempre in questi casi, l’Agenda richiama al dovere di informazione di ciascuno. E’ possibile, semplicemente, ingaggiare un dialogo su questi argomenti, organizzare una giornata di formazione interna, magari nell’ambito di un più ampio programma di sensibilizzazione aziendale sulle tematiche della sostenibilità.

Coronado Island 2020. Un leone marino sembra chiedere aiuto ai sub che lo stanno fotografando per liberarsi da un’amo. Credit to:Celia Kujala

Preservare almeno il 10% delle aree costiere e marine e vietare sussidi destinati alla pesca indiscriminata

Purtroppo, l’Agenda stessa, per quanto riguarda alcuni dei suoi target interni, dichiara apertamente che l’obiettivo è meritevole, ma le informazioni disponibili sono troppo poche per consentire di formulare degli indicatori di misurazione. In particolare, questo succede con i target 5 e 6 di questo quattordicesimo goal, che si riportano qui integralmente: “entro il 2020, preservare almeno il dieci per cento delle aree costiere e marine, in conformità con le leggi nazionali e internazionali e sulla base delle migliori informazioni scientifiche disponibili”.

Entro il 2020, proibire alcune forme di sussidi alla pesca che contribuiscono alla sovraccapacità e alla pesca eccessiva, eliminare i sussidi che contribuiscono alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata e astenersi dall’introdurre nuovi sussidi di questo tipo, riconoscendo che un trattamento speciale e differenziato appropriato ed efficace per i paesi in via di sviluppo e per quelli meno sviluppati dovrebbe essere parte integrante del negoziato sui sussidi alla pesca dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Su questi target, si può forse intervenire più come singoli che come imprese. Ma d’altra parte l’impresa è fatta di individui, che quindi se vengono quantomeno correttamente informati, saranno in grado di autodeterminarsi per il meglio, al fine di raggiungere il corretto utilizzo delle risorse costiere ed ittiche. Certamente, ci si può impegnare, come azienda, a non edificare in zone protette o a non forzare le amministrazioni comunali a fornire autorizzazioni di costruzione in zone che chiaramente dovrebbero rimanere vergini.

Sirajganj, Bangladesh, 2020.
Vaste aree della provincia dello Sirajganj sono destinate alla produzione di pesce essiccato. Questa attività, oggi minacciata dall’impatto antropico sull’ecosistema, è la principale fonte di occupazione per gli abitanti della regione.
Credit to: Ashraful Islam/

Aumentare i benefici economici destinati ai piccoli stati insulari in “via di sviluppo”

L’ultimo target, affronta l’argomento dei piccoli stati insulari in via di sviluppo ed in generale dei Paesi più poveri, i quali devono essere aiutati a sviluppare il miglior modello di sfruttamento delle risorse marittime, sia costiere, che ittiche, oltre a sviluppare se del caso una corretta gestione dell’acquacoltura. In questo caso, si torna sempre sulla formazione, che però si può convertire nel fornire un canale preferenziale per prenotare eventuali vacanze su isole tropicali o in Paesi più poveri attraverso tour operator che promuovano una forma di turismo consapevole e sostenibile.

Come sempre, si ragiona su macro argomenti e ci si può sentire sopraffatti, ma bisogna sempre considerare che le azioni che apportano cambiamenti non sono solo quelle dei pochi grandi operatori sullo scacchiere internazionale, ma spesso sono quelle del quotidiano, compiute da un gran numero di persone.


Proponiamo di seguito un questionario che aiuti a verificare l’impegno di ciascuno nel raggiungimento di questo quattordicesimo goal dell’Agenda 2030:

  1. Sono attento ad utilizzare in azienda materiali a basso impatto sull’ecosistema acquatico?
  2. Conosco il percorso e il tipo di filtraggio delle mie acque di scarico, anche se la procedura non dipende dalla mia azienda?
  3. Sono a conoscenza se la regione in cui è radicata la mia impresa favorisce la pesca locale e/o l’acquacoltura?
  4. Conosco il progetto del Politecnico di Milano per mitigare l’acidificazione del Mar Mediterraneo?
  5. Ho mai parlato in azienda del problema dell’overfishing, discutendo con dipendenti e collaboratori del rispetto della fauna ittica?
  6. Conosco tour operator che promuovono viaggi sostenibili?
  7. Conosco dove e come è stato pescato il pesce che servo nelle mense aziendali o che è disponibile sul mio territorio?
  8. Conosco le opportunità di finanziamento erogate dalla UE e legate alla Blue Growth?
  9. Sono consapevole dell’impatto delle navi da crociera e in generale delle navi di grosso tonnellaggio sui cambiamenti climatici?
  10. Sono a conoscenza della sensibilità a cambiamenti anche minimi del loro ecosistema dei grandi mammiferi marini?
Di: Isabella Querci, Elisa Traverso