L’Europa accerchiata

Europa
credits: @beastmastertv - street art @ Corso Garibaldi, Milano
Ci sono almeno 5 crisi che stanno accerchiando l’Europa minacciandone la stabilità. Ognuna di esse ha risvolti che possono impattare sulle altre, alimentando esponenzialmente il rischio di una perdita totale di fiducia dei cittadini nell’Unione Europea. Queste crisi vengono trattate spesso separatamente, raccontate come se fossero distinte le une dalle altre, quando invece è evidente che le forze centripete generate le une sulle altre, impattano sulla costruzione europea nel suo complesso, e potrebbero anticipare un lungo periodo di caos.
Si ringrazia per la collaborazione alla stesura di questo pezzo Giovanni De Gregorio.

Se allarghiamo la prospettiva temporale, sul medio e lungo periodo gli effetti dell’instabilità europea potrebbero catapultare l’intero continente in una nuova fase politica, che molto probabilmente sarà peggiore di quella che – con alti e bassi – ci ha regalato, nel contesto della Guerra Fredda, anni di pace e prosperità. C’è da preoccuparsi, soprattutto se nel brevissimo periodo le istituzioni europee ed i loro esponenti non troveranno una nuova visione d’insieme, nuovi obiettivi, e un rinnovato senso d’autorità e autonomia, politica, prima ancora che economica. Un collasso politico dell’Europa sarebbe un dramma dalle conseguenze per nulla facili da prospettare, ed aprirebbe a scenari pericolosi per la stessa stabilità internazionale, già fortemente sotto pressione.

[ecko_alert color=”orange”]Le guerre in medioriente e l’afflusso di profughi[/ecko_alert]

L’Unione Europea sta mostrando la propria incapacità di ragionare di comune accordo, soprattutto per quel che riguarda la crisi dei migranti del Mediterraneo. Un problema che se affrontato unitariamente sarebbe un piccolo problema, sta diventando lentamente un’emergenza continentale di vasta scala, in grado di scatenare crisi diplomatiche e sospensione dei trattati comunitari di libera circolazione, di asilo, ed immigrazione: tutti aspetti che facevano parte del primo pilastro della politica comune europea, le cui funzioni e obiettivi oggi persistono all’interno del Trattato di Lisbona. Paradossalmente, i paesi più colpiti dagli effetti di questo generale disinteresse europeo per la questione, sono due dei paesi che hanno accusato di più la crisi economica: l’Italia e la Grecia. Anche mediaticamente questa crisi sta ledendo in maniera drammatica l’immagine che l’Unione Europea si era costruita, e cioè quella della cosiddetta “potenza civile”. Una perdita di credibilità che peserà sicuramente in futuro, e renderà più difficile ogni tentativo di accordo su altre questioni. Causa di tutto questo è l’instabilità mediorientale e i rischi derivati da paesi falliti come Siria, Irak e Libia, con quest’ultima a pochi km di distanza dalle coste italiane ed europee.

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Gruppo di 300 migranti sub-sahariani soccorsi al largo delle coste siciliane dalla Marina Italiana.
credits: Alessandro Bianchi – Reuters

[ecko_alert color=”orange”]La crisi della Grecia e l’uscita dalla moneta comune[/ecko_alert]

La crisi greca è arrivata al giro di boa e le prospettive sono fosche da qualsiasi punto di vista la si osservi. Le istituzioni europee hanno dimostrato – Bce a parte, bisogna riconoscerlo – una debolezza allarmante nella gestione di tutta la situazione, che si protrae dal 2009. Dopo 6 anni nessun risultato è stato ottenuto, molti soldi sono stati buttati, e si è lasciata sprofondare una pur sempre piccola economia – che non dimentichiamo ha molte colpe – con inefficaci, anzi dannose, politiche di austerity economica. Un default della Grecia, oggi, con una sua probabile uscita dall’unione monetaria, sarebbe una sconfitta imbarazzante per tutta l’Unione Europea, e metterebbe in difficoltà ogni prospettiva di seria integrazione, aprendo praterie a quei movimenti politici miopi che vedono nella fine dell’Ue la panacea di ogni male, senza capire che l’Ue è l’unica possibilità che ha il continente per contare qualcosa nel mondo di domani. Non è chiaro poi se un’uscita dall’Euro della Grecia – non prevista dai trattati – comporterebbe anche un’uscita dall’Ue. A tutto questo si aggiungerebbe l’indiretta spinta geopolitica che andrebbe ad avvicinare la Grecia alla Russia, ben contenta di bilanciare a proprio favore l’equilibrio di potenza continentale e mettere in crisi la Nato – di cui la Grecia fa parte.

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Cittadini greci in coda nei pressi di un mercato cittadino di prodotti a basso costo
credits: Sakis Mitrolidis – AFP / Getty Images

[ecko_alert color=”orange”]La crisi politico-militare dell’Ucraina orientale[/ecko_alert]

L’autonomia negoziale europea ha mostrato la propria debolezza in tutto il percorso che ha portato alla difficile crisi politica e militare in Ucraina, all’annessione della Crimea da parte della Russia, e alla guerra civile nelle regioni orientali del Donbas. Fin dai tempi delle rivolte di piazza contro l’allora presidente, poi deposto con un qualcosa di molto simile ad un colpo di stato, Victor Yanukovich, scatenate dal rifiuto di quest’ultimo di proseguire con l’accordo di associazione  con l’Unione Europea, utile a stabilire anche un’area economica comune, le istituzioni europee stanno partecipando con un ruolo di osservatore passivo agli eventi che si susseguono dal 2013. Questo a causa delle troppe voci eterogenee nelle cancellerie europee, incapaci di comprendere la complessa situazione politica ucraina, storicamente divisa da una profonda frattura di faglia – che oggi appare insanabile – tra l’est pro-russo e l’ovest europeo (e sia chiaro: europeo, non europeista). Questa passività ha di fatto trasformato l’Ucraina in un’area di scontro tra gli Stati Uniti e la Federazione Russa, con l’Unione Europea in mezzo ai due fuochi, costretta ad appiattirsi su posizioni che, è impossibile negare, ledono gli interessi dell’intero continente, sia in campo economico che di sicurezza.

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Truppe regolari ucraine nei pressi di Debaltseve nel febbraio 2015.
credits: Manu Brabo – AFP / Getty Images

[ecko_alert color=”orange”]La riluttanza britannica nel partecipare da pari all’Unione Europea[/ecko_alert]

La Gran Bretagna è da sempre un paese poco incline a considerarsi europeo ed europeista. E in passato vi erano peraltro buone ragioni per pensarlo. Ma la Gb è entrata volontariamente nel consesso europeo continentale, pur senza convinzione, e ciò avrebbe dovuto indirizzare meglio le sue aspirazioni della (ex) potenza, ormai declinante. La Gb è entrata in Europa guardando alla mera convenienza economica, ignorando il progetto politico in sé – costruire cioè una confederazione di Stati sovrani nel grande spazio continentale europeo in grado di competere in un mondo sempre più multipolare. I britannici hanno più volte frenato l’integrazione, chiamandosi spesso fuori dalle responsabilità comunitarie e dalla condivisione dei problemi e delle soluzioni. Questo ha favorito l’emergere anche in altri paesi di aspirazioni europee per fini utilitaristici di breve periodo, di onori senza oneri, aspirazioni deleterie per l’obiettivo di un’Europa unita politicamente. L’idea, ormai del tutto anacronistica, di supposta “eccezionalità” è ancora presente nell’establishment inglese. Il referendum sull’Ue indetto da Cameron per il 2016/2017 (data ancora da decidersi) ne è la naturale conseguenza. Se già l’uscita dall’Euro della Grecia rischia di minare la credibilità europea, gli effetti di un’eventuale Brexit sarebbero politicamente imprevedibili. Una delle poche certezze è che la Scozia, a quel punto, indirebbe un nuovo referendum indipendentista per poter rimanere nell’alveo comunitario europeo.

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David Cameron ad un convegno sull’Europa.
credits: Getty Images

[ecko_alert color=”orange”]Crisi globale del sistema economico[/ecko_alert]

Gli scenari appena analizzati non sono realtà isolate nel contesto europeo ma si incardinano in una situazione di crisi del modello economico internazionale, in cui l’Europa rischia di giocare la parte dell’anello debole del mondo industrializzato. La delegittimazione politica causata dall’incapacità degli Stati di adeguarsi, tra le altre cose, alle nuove logiche economiche, ha portato alla creazione di un contesto dove le scelte non vengono più ponderate dagli organismi politici decisionali. Il fenomeno ha portato ad un aumento del potere nelle mani di istituzioni private il cui scopo sociale è il profitto, svuotando il significato del termine sovranità. Agenzie di rating, organismi di regolazione internazionale e multinazionali, hanno acquisito la capacità di influenzare l’economia globale così da ridurre la politica ad ruolo non di indirizzo, ma di gestione delle risorse. La situazione dell’Ue è una delle testimonianze del fenomeno: si è davanti ad un’organizzazione che, pur avendo avuto in concessione dagli Stati il permesso di decidere su diverse materie, non è capace di rispondere in modo deciso alle problematiche che necessitano giocoforza di un indirizzo comune, come la già citata crisi greca. Da qui nasce la sempre più frequente volatilità dei mercati, e la cattiva interpretazione delle necessità dell’economia. Il rischio è che un ulteriore peggioramento dei fondamentali economici globali – scatenato, mettiamo caso, da una non impossibile crisi dei sub-prime cinesi – potrebbe avere tra le prime vittime sacrificali il continente europeo, incapace di reagire.

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credits: worldpropertyjournal.com

L’Europa avrebbe la forza per reagire ad ognuna di queste crisi, su questo non ci devono esser dubbi; basterebbero la volontà politica, leader autorevoli e cittadini consapevoli. Albert Camus nel 1955 scriveva che

[la civiltà europea] è minacciata da se stessa, in qualche modo […] Anch’io, come voi, sono convinto che in questo momento l’Europa sia costretta da una miriade di lacci che non le permettono di respirare. In un momento come questo, in cui Atene è a 6 ore da Parigi, in cui andiamo a Roma in 3 ore, in cui le frontiere esistono soltanto per i doganieri e chi è sottoposto alla loro giurisdizione, eppure viviamo in uno stato feudale. L’Europa, che ha concepito tutte le ideologie che oggi dominano il mondo e che oggi se le vede ritornare contro, incarnate come sono in paesi più grandi e industrialmente più potenti, questa Europa che ha avuto il potere e la capacità di concepire queste ideologie ora può avere il potere e la capacità di inventarsi le nozioni che ci permetteranno di gestire o di equilibrare queste ideologie.