La Guajira, terra di scontro e di incontro tra due grandi paesi sudamericani: le rivali Colombia e Venezuela. Vi raccontiamo la situazione di questo territorio, sull vie del contrabbando.
La Penisola della Guajira, l’estremità nord-orientale del territorio colombiano è tornata nuovamente al centro delle cronache politiche nazionali e internazionali. Un territorio desertico, isolato dal resto del Paese e apparentemente irrilevante dal punto di vista geopolitico per alcuni giorni ha rivisto affermata la propria centralità strategica.
Ancora oggi i collegamenti con il resto della Colombia sono scarsi e resi difficili dalle pessime vie di comunicazione. Terra di frontiera, quasi naturale, con l’arci-nemico venezuelano che recentemente ha rivendicato unilateralmente la sovranità marittima di alcune sue zone contese. Ciò ha prodotto un ulteriore scontro diplomatico tra il Presidente Juan Manuel Santos ed il Comandante Nicolas Maduro. Tuttavia, dopo alcune giornate in cui la tensione tra i due Paesi era sul punto di raggiungere lo Zenit, il Presidente Maduro ha firmato un decreto in cui rinunciava ufficialmente alle sue aspirazioni marittime nella zona della Alta Guajira.
Come buona parte delle zone di frontiera, la penisola è il regno di traffici leciti e illeciti e l’economia informale rappresenta la principale attività per buona parte della popolazione. Per le strade e negli esercizi commerciali di ogni suo centro abitato questo appare ancora più evidente. Infatti, da queste parti, la maggior parte dei prodotti è di origine venezuelana. Pertanto è raro trovare tra i banchi dei mercati un prodotto di origine colombiana. La crescente svalutazione del Bolívar (la valuta venezuelana) rende ulteriormente vantaggioso il contrabbando, facendo sí che il prodotto venezuelano sia, agli occhi dell’abitante guajiro, ancora più accattivante, nonostante la forte rivalità tra i due governi. A giudicare dai consumi della popolazione locale, apparentemente, potrebbe sembrare quasi un’enclave del Venezuela in territorio colombiano.
Invece, si potrebbe meglio presentare la Guajira come un’area di “tolleranza” tra i due paesi, in cui ogni tipo di traffico e di commercio è concesso. Il tutto, naturalmente, mantenendo l’assoluto riserbo e negando l’esistenza di legami commerciali. In quest’area, relativamente ridotta rispetto all’immenso territorio colombiano, anche i controlli militari e polizieschi sono scarsi. E persino dinanzi ai controlli, anche tra le fila dei militari e degli agenti prevale il “buonsenso”, purché i traffici e i prodotti di origine venezolana non escano dalla Guajira, dirigendosi verso il resto del territorio colombiano. Infatti, il confine occidentale del Dipartimento della Guajira è ben presidiato e i posti di blocco sono molto più frequenti. Andando verso Occidente, anche la tolleranza degli agenti si esaurisce velocemente e i controlli a tappeto sulle principali arterie della regione creano imponenti trancones (termine colombiano per descrivere gli incolonnamenti dovuti al traffico intenso).
Inoltre è risaputo che buona parte della Guajira e, in particolare, la zona di confine con il Venezuela sia presidiata da corpi paramilitari. Anche per questo, la presenza dei militari all’interno della Guajira non è imponente come in altre zone di confine; l’esercito colombiano in parte “delega” ai corpi paramilitari l’esercizio della sovranità territoriale e, in particolare, la salvaguardia dei confini nazionali. Nonostante le evidenti divergenze politiche ed ideologiche con il rivale venezuelano, i corpi paramilitari hanno saputo trarre profitto dalla loro posizione strategica privilegiata, arrivando a gestire o, in ogni caso, a indirizzare i traffici e le rotte del contrabbando verso la Colombia. In passato, alcuni gruppi paramilitari hanno anche diretto operazioni di sabotaggio, attaccando pozzi petroliferi e oleodotti in territorio venezuelano, rischiando di far precipitare le già tese relazioni bilaterali e provocando alcuni scontri armati tra i due Paesi. Ultimamente, la loro attività si è principalmente orientata ai businesses illegali.
Altro dato significativo è il prezzo della benzina che, da queste parti, costa circa la metà del resto della Colombia. Qui, infatti, un gallone di benzina costa circa 4.000 COP (circa 1,50 €), mentre altrove raggiunge facilmente i 7.800-8.000 COP (circa 2,80 €). Anche i benzinai, da queste parti, partecipano alla suddetta economia informale. Infatti nella maggior parte della Guajira, non sono presenti vere e proprie stazioni di servizio con tanto di insegne dei celebri loghi delle 7 sorelle o del petrolio nazionale (ECOPETROL). Al contrario, percorrendo l’unica carretera che attraversa la Guajira si nota che i punti di rifornimento sono molto frequenti, almeno quanto i chioschetti che vendono frutta tropicale e bibite fresche. Talvolta, gli stessi punti di ristoro offrono anche il servizio di rifornimento di carburante. Assistere ad un rifornimento di benzina da queste parti è un rituale d’obbligo. L’automobilista guajiro, ben consapevole dellla volatilità del Bolívar venezolano e delle conseguenze sulle quotidiane fluttuazioni del prezzo, prima di individuare il proprio punto di rifornimento ci pensa sù due volte. Dopodiché compra una o più taniche di benzina con tanto di cannuccia per far scendere più agevolmente il carburante direttamente nel serbatoio. L’operazione del rifornimento di benzina è lenta e delicata e, a renderla ancor più ardua sono le temperature che da queste parti superano costantemente i 40°C.
Ma a turbare gli abitanti della Guajira e le comunità indigene Wayúu, non sono tanto le alte temperature a cui sono certamente abituati, quanto la siccità, la mancanza d’acqua e le gravi conseguenze sull’economia locale. Da queste parti, infatti, non piove da oltre due anni e i già scarsi raccolti hanno subito un crollo vertiginoso. Dinanzi all’assenza di precipitazioni, il sostegno e l’intervento del Governo colombiano è stato pressoché inesistente, il che ha scatenato nel mese di Giugno una grande mobilitazione dell’intera regione contro l’assenza dello Stato centrale in quest’angolo remoto del territorio nazionale. Lo sciopero ha portato al blocco delle principali vie di comunicazione stradali nella capitale Riohacha e nel centro urbano di Uribia. Le comunità Wayúu sono note in tutta la Colombia per la loro caparbia resistenza: in passato, né i pirati inglesi né tanto meno i colonizzatori spagnoli riuscirono mai a sottomettere e conquistare del tutto la penisola.
Tra le cause del malcontento bisogna certamente segnalare il sostanzioso aumento dei casi di malnutrizione infantile che negli ultimi anni ha provocato la morte di centinaia di bambini, particolarmente per la popolazione indígena Wayúu. Le risposte e gli interventi governativi sono stati e sono tuttora assenti. Ovviamente, oltre alla carestia agricola, l’intera regione è pressoché sprovvista di rifornimenti di acqua potabile e di acqua per i servizi sanitari. Il che ha contribuito ad un peggioramento delle condizioni di igiene e di vita della popolazione Wayúu. La poca acqua che raggiunge le aree remote della Guajira su delle autocisterne viene venduta a prezzo d’oro, contribuendo in questo modo ad un ulteriore impoverimento delle comunità indigene, dedite principalmente alla pastorizia (chivos, cosí vengono chiamate le capre) e ad un povero artigianato locale e residenti in piccole rancherías, spesso di proprietà di “coloni”.
Infatti, oltre alle comunità indigene Wayúu, che vivono prevalentemente in condizioni socio-economiche marginali, la Guajira è abitata anche da persone provenienti da altre regioni della Colombia. Le ragioni che hanno spinto in passato migrazioni verso quest’angolo remoto del Paese sono principalmente due: il contrabbando o la ricerca di un impiego presso la miniera El Cerrejón. La miniera di carbone El Cerrejón è una delle miniere a cielo aperto più grandi al mondo. Situata nel bel mezzo del deserto roccioso della Guajira, vicino alla città di frontiera Maicao (dove si trova la moschea più grande dell’America Latina, tra le altre cose), si presenta dall’esterno come una fortezza. Buona parte della popolazione maschile della città di Maicao e di Uribia trova impiego nella miniera. Ad impressionare è l’imponente dispositivo di sicurezza che ne protegge il perimetro. Il carbone estratto dalla miniera viene immediatamente trasferito attraverso una delle poche reti ferroviarie ancora attive nel Paese verso Puerto Bolívar, un porto industriale. I convogli ferroviari, lunghi oltre un chilometro, passano ogni 15 min il che permette di intuire facilmente l’intensità e le dimensioni dell’attività estrattiva di El Cerrejón. Anche il lungo tratto di linea ferroviaria che conduce ai due principali porti industriali è ampiamente presidiata dalle forze militari: circa ogni 100 metri una piccola guardiola protegge il giovane soldato di turno dal sole cocente.
L’unica carretera che attraversa la Guajira non è molto transitata. Persino la maggior parte delle automobili presenti nella Guajira proviene dal vicino Venezuela. Jeep e 4×4 di ultima generazione vengono venduti illegalmente e a basso prezzo in Venezuela; oltre al prezzo di vendita, i rivenditori venezolani incassano persino il rimborso assicurativo per il finto furto, compensando il prezzo stracciato a cui è stato venduto il veicolo, una volta fatto sparire dai confini nazionali.
Il fenomeno del contrabbando ha raggiunto negli ultimi anni cifre di affari considerevoli, riuscendo ad oltrepassare i posti di blocco e facendo sí che le merci venezuelane penetrino in tutto il territorio colombiano. Nell’ultimo mese, il Parlamento colombiano ha cercato di arginare il fenomeno, introducendo un decreto: La Ley Anti-contrabando.
Tuttavia, il decreto è stato accolto nella Penisola della Guajira (ma anche nel resto del Paese) con grandi proteste. Infatti, alcune sue clausole, anziché limitarsi a contrastare le attività di contrabbando, finiscono per danneggiare ulteriormente la già vulnerabile economia locale, criminalizzando e sanzionando l’attività commerciale in Guajira. Inoltre, tra gli effetti della contestato decreto, vi è il rischio paralisi per l’attività della magistratura locale, qualora si dovesse procedere a verbalizzare e sanzionare qualsiasi attività commerciale con un certo ammontare di merce venezuelana nei propri esercizi.
Le dure critiche provenienti da buona parte del settore commerciale colombiano ed il rischio paralisi per l’attività della magistratura hanno infine spinto il Governo ad un ripensamento: è infatti in corso una revisione del decreto.