30 marzo, Salonicco, ore 11:00, Sede regionale dei servizi segreti
“Che ne pensa ispettore?” disse il Colonnello Papagos.
“Colonnello avere certezze non è possibile in questo mestiere, tuttavia credo che questa pista sia quella giusta. Nostri informatori ci confermano che in quell’ambiente girano voci, insistenti, su questi famigerati pirati” rispose l’ispettore Theodorou.
“Corsari” lo corresse Papagos, “Sì, io preferisco chiamarli terroristi”.
“Sa che differenza c’era tra i pirati e i corsari ispettore?”
“No, perché c’era una differenza?”
“Così pare… i pirati erano semplici ladri, esseri spregevoli usciti dalle fogne dei porti europei che depredavano e saccheggiavano macchiandosi di crimini spaventevoli. La loro violenza era leggendaria, la spargevano con sapienza e cura lungo i sette mari per incutere terrore in ogni cuore, sapendo che in questo modo nessun marinaio avrebbe mai avuto l’ardire di sfidarli”. Papagos fece una pausa.
“Lo sa come venivano arruolati i marinai?” “No colonnello, francamente non me ne sono mai interessato” rispose l’ispettore con malcelato sarcasmo.
“Erano galeotti per metà e per l’altra metà pescatori arruolati forzatamente rastrellando le taverne. Questo era in particolare il sistema degli inglesi, un popolo di liberali, quando dovevano trovare braccia per le loro guerre.”
L’ispettore T. iniziava ad avere la solita impressione: Papagos lo stava prendendo in giro o cosa? Non aveva mai conosciuto una personalità così enigmatica e imperscrutbile come quella del colonnello. Perchè mai doveva mettersi ogni volta a divagare, perchè sceglieva sempre quel tono mellifluo ed ingenuo di esprimersi.
“Sa invece cos’erano i corsari?”
“Evidentemente no Colonnello, ho sempre pensato che pirati e corsari fossero sinonimi” rispose l’ispettore Theodorou.
“Bene. Sono la stessa cosa infatti” disse il colonnelo accennando un sorriso beffardo. “Tuttavia avevano licenza governativa di saccheggiare ed uccidere. Facevano la guerra di corsa, la chiamavano così, colpivano le nazioni rivali depredandone i bastimenti. A differenza dei pirati la cui sorte era la forca al primo porto loro potevano ritornare da eroi nei loro paesei. Alcuni diventarono persino aristocratici”.
“Strana concezione che si aveva a quei tempi della legalità” fece l’ispettore.
“Già ispettore, ma erano altri tempi, ogni cosa ha il suo tempo, giusto?”
L’ispettore non rispose, aveva la sensazione di non capire mai esattamente dove il colonnello volesse andare a parare coi suoi discorsi criptici, sembrava sempre come se cercasse di celare chissà quali inutili verità dietro banali osservazioni buttate lì.
“Colonnello, la ringrazio per questa sua interessantissima digressione storica – disse Theodorou senza nascondere un accenno di sarcasmo – ma vorrei tornare per un attimo al punto. Come le dicevo, stando alla voce che gira tra alcuni nostri informatori, l’ambiente del tifo violento potrebbe essere la chiave per questo fenomeno. Questi terroristi potrebbero nascondersi tra le frange più estreme della tifoseria del PAOK, anche se io temo ci sia stata una diffusione a livello nazionale, o quanto meno sta per esserci. La cosa che è certa è che sanno colpire anche al di fuori di Salonicco”
“Certo ispettore, io credo che lei stia svolgendo un ottimo lavoro, di certo migliore di quello di altri suoi colleghi o del suo capo. Se le posso parlare in franchezza, noi dei Servizi abbiamo molta fiducia in lei, e la vorremmo come nostro interlocutore privilegiato, il suo capo, Zaimis, ragiona secondo schemi obsoleti e non conosce la realtà dell’eversione odierna, vive ancora in un epoca di guerra fredda, pensa che il nemico siano gli anarchici, non si rende conto che i nemici veri sono a livelli molto più alti.”
“Cosa intende colonello, non la seguo…” rispose l’ispettore.
“Niente è un discorso complesso che esula dalla nostra indagine. Mi diceva dei gruppi di tifosi?”
“Sì esatto, io credo che dovremmo procedere ad una serie di perquisizioni e interrogatori incrociati, mettere pressione addosso a quel mondo di balordi e vedere cosa ne esce fuori. Quella gente non sa reggere la tensione di una repressione vera; si tratta fondamentalmente di teppisti.”
“Sono d’accordo, so che avete pronti numerosi dossier sui capi curva giusto?” fece Papagos.
“Di tutta la Grecia colonnello, è da anni che monitoramo quella gente”
“Bene, non credo di essere io a doverle dare ordini, al massimo posso darle dei consigli, io procederei con la sua strategia, perquisizioni e interrogatori, se quello che i vostri informatori dicono è vero qualcosa salterà sicuramente fuori, prima o poi.”
“Grazie, colonnello. Oggi pomeriggio avrò un incontro con Zaimis, la ringrazio per le sue parole di fiducia, la terrò informata.”
L’ispettore si alzò dalla scomoda sedia della sala B, dove il colonnello Papagos era solito tenere i colloqui confidenziali con i suoi uomini. Theodorou stava per uscire quando Papagos gli buttò un’altra delle sue criptiche osservazioni.
“Ispettore, lo sa che la Grecia diede i natali ad un grande corsaro?”
“No colonnello, non ho mai sentito parlare di pirati greci… volevo dire corsari greci” rispose l’ispettore.
“Già, in effetti a quel tempo eravamo ancora turchi. Si chiamava Khayr al-Dīn, ma i suoi nemici lo chiamavano il Barbarossa.”
Atene, Syngrou Avenue, ore 13:00, sede di Libertà Greca
“Noikos, questo è un momento cruciale. Nulla sarà più come prima!”
Il Premier Zaros continuava a rigirarsi nelle mani la medaglia in bronzo del suo Ministro degli Interni. Era dei tempi della leva, la teneva sempre sulla scivania come fermacarte.
“Capisco la sua apprensione Primo Ministro, ma il cambiamento può offrirci delle opportunità. Il popolo si è espresso, e il suo volere è stato piuttosto chiaro, la strada che ha scelto di seguire è quella giusta, la vittoria dei No è stata schiacciante!”
Noikos osservava il Premier, continuava a muovere la testa guardandosi attorno, come se cercasse qualcosa nell’aria, una risposta alle sue preoccupazioni, o più semplicemente una via di fuga.
“I russi ci aiuteranno, non siamo soli. C’è un patto che lei ha accettato.”
“Aiuto? Lo chiami aiuto Noikos?” rispose il Primo Ministro.
“Quei porci vogliono il Pireo, e poi i cinesi Salonicco! Che differenza c’è tra svendere Salonicco alla Maersk o alla Cosco? In ogni caso non sarà più roba nostra, e forse a questo punto sarebbe stato meglio rimanere tra noi europei, piuttosto che finire tra le mani di satrapi orientali…”
Noikos rimase in silenzio, la morsa del dubbio rodeva anche lui. Non si fa nulla per nulla, tutti lo sapevano.
“E poi vogliono un porto militare!” riprese il Premier Zaros. “Vogliono un cazzo di porto militare Cristo santo!”
“La prego Zaros! si moderi!” rispose il Ministro degli Interni.
“Ma come possono chiedere un porto militare ad un membro NATO? Ci cacceranno anche da la… volevamo uscire dall’Europa e finiremo fuori dall’Occidente stesso”
…quale Occidente? Pensò Noikos.
“Non esiste nessun Occidente Zaros. L’Occidente è solo un punto di vista. Per un cinese la Persia è occidente, per un giapponese è la Cina. Non esiste l’Occidente”
Noikos non riusciva più a sopportare la vista dell’alleato di governo, la sua paura e la sua indecisione erano oscene. La Grecia non poteva essere governata da un soggetto del genere. D’un tratto il suo cellulare appoggito sul marmo della scrivania vibrò. Lesse solo il mittente.
Gufo Grigio scriveva: “La caccia è iniziata”
Salonicco, stesso giorno, Cafè Marathonos, ore 19:00
“Maka offri tu cazzo! È la terza volta che pago io” disse Sakis sbuffando.
“Sei sempre a lamentarti, sei pieno di soldi adesso! Non mi rompere i coglioni” fece Makarios.
“Abbassa la voce, non urlare cazzo, attiri gli sguardi di tutti” fece Sakis.
“Cara portaci un’altra mythos, metti sul conto di questo stronzo”, Maka alzò la bottiglia vuota agitandola in aria mentre i suoi uomini ridevano.
“Subito” rispose la figlia del proprietario.
“Ma dove cazzo è Ares? Perché non si fa mai vedere?”
“Ah, quello si è montato la testa, si crede un capo vero” rispose uno dei suoi uomini.
Le risate si sparsero per il tavolo.
“Non ridete” disse Maka. “Il capo è lui, questo non si deve discutere. Io sono onesto e ho dato la mia parola, punto”.
“Dai si scherza Maka” aggiunse Sakis. “Ma cosa farebbero quelli senza noi altri?” Chi le farebbe le azioni? Lui e il suo fratellino… non prendiamoci per il culo”.
“Non parlare così” disse Makarios. “Hanno dimostrato coraggio tutti e due. Il coraggio basta per essere un capo”.
La cameriera si avvicinò con le birre. I cinque uomini con gesti goffi e sgarbati presero i bicchieri gelidi dal vassoio bagnando il tavolo. Erano tutti ubriachi.
“Brindare prima di bere!” Esclamò Makarios agitando il bicchiere mentre la birra gli scorreva sulle mani.
“Ai cazzo di Cani di Ares” urlò Sakis tra le risate generali.
Gli altri clienti del bar li guardarono incerti, alcuni sorrisero, altri girarono lo sguardo.
“Forza PAOK!” urlò Makarios.
“Forza PAOK!” Gli fecero eco i suoi uomini.
“GATE 4!” Esclamò Sakis
“GATE 4!” rispose tutto il bar.
Un’auto nera si fermò fuori dal locale.
Uscirono tre uomini in abito elegante, con passo calmo, ma deciso entrarono nel Cafe. Avanzavano verso il gruppo di Makarios finchè uno di loro non si parò dietro Maka.
“Anadiotis Makarios?” disse brusco l’uomo vestito elegantemente guardando Maka alle spalle.
“Eh? Cosa?” rispose Makarios girandosi lentamente verso l’uomo. Era alto e ben piazzato, abbastanza per incutere timore anche a uno come Makarios.
“Lei è il Signor Anadiotis Makarios?” disse nuovamente l’uomo.
“Sì, sono io. Che problema c’è ragazzi?” chiese Maka con lo sguardo stupido di chi ha bevuto troppo.
Nel frattempo una donna entrava nel Bar, bionda cenere, era vestita con un elegante tailleur color confetto. Sembrava fragile.
“Dovrebbe seguirci per rispondere a delle domande” disse insistente l’uomo in giacca e cravatta.
“Ah ah ah! Ma per che cazzo?!” disse Maka mentre i suoi uomini abbassavano i bicchieri scambiandosi sguardi lividi di fastidio.
“Ma da quando venite così a romperci il cazzo senza un mandato, senza sirene, volevate spacciarvi per dei becchini? Belle giacche, ma la divisa dove l’avete lasciata?” rispose Makarios cercando di fare l’incazzato.
La donna si avvicinava al tavolo.
“Signor Anadiotis non siamo la polizia, la invitiamo a seguirci per rispondere ad alcune domande” fece nuovamente l’uomo vestito di nero.
Makarios scoppiò a ridere in modo rozzo e nevrotico. “Ma se non siete sbirri allora che cazzo siete? Mafiosi?” gli altri uomini al tavolo iniziarono a ridere dissimulando la tensione, nel frattempo gli altri clienti del locale iniziarono ad uscire dalla sala.
La donna bionda si fece largo tra i tre uomini vestiti di nero, si tolse con grazia gli occhiali da sole e guardando Makarios dritto negli occhi gli rispose.
“Non siamo sbirri, corsaro. Noi siamo i Servizi Segreti”.
Continua…