Questo nuovo Secolo (fortunatamente) non ha ancora conosciuto guerre globali. La regione del mondo da dove potrebbe nascere il prossimo grande conflitto potrebbe essere inaspettata: l’Africa, dove la situazione demografica, politica ed economica è simile a quella europea d’inizio ‘900.
Il XXI Secolo ha già macinato quindici dei suoi cento anni, eppure resta ancora un mistero per opinione pubblica, media e esperti di politica internazionale. Gli equilibri di potere sembrano mutare con la stessa velocità delle informazioni che scorrono sulle moderne reti informatiche. Pochi osano ipotizzare quali scenari ci attenderanno nei prossimi anni, e la posizione ufficiosa degli analisti internazionali è un socratico quanto laconico “so di non sapere”.
Su un punto in particolare le Cassandre si guardano bene dal pronunciarsi: la guerra. No, non i numerosi conflitti a bassa intensità che attualmente flagellano il pianeta. All’inizio di ogni nuovo secolo si è assistito a un conflitto totalizzante i cui risultati determinavano gli equilibri di forza tra potenze, le regole del gioco e, a volte, persino il paradigma su ciò che è o dovrebbe essere la politica globale. Si pensi alla Guerra dei Trentanni, che ha visto trionfare il modello dello Stato nazionale sulle numerose alternative allora presenti, o ai due conflitti mondiali del secolo scorso che hanno costituito il commiato dell’Europa perno dell’intero pianeta. In questo primo secolo del terzo millennio viviamo (relativamente) in pace, ma viviamo anche nella sostanziale incertezza di come sarà il nostro Mondo nell’immediato futuro.
Una fortuna? Non esattamente, perché il preambolo di ciascuno di questi devastanti conflitti dei secoli passati è quello di essere inatteso, spesso l’escalation di un conflitto minore esteso all’estremo.
Dove potrebbe dunque annidarsi la minaccia? La logica chiederebbe di guardare innanzitutto ai più importanti conflitti a bassa intensità attualmente in corso: l’ascesa del Daesh e il braccio di ferro tra Nato e Russia sulla pelle dell’Ucraina.
Eppure, aldilà della loro comprensibile suggestione in quanto emanazione dell’epica dello scontro di civiltà, è assai improbabile che un pugno di scappati di casa quali i miliziani del Daesh possano davvero aspirare alla formazione di un potente e temuto Califfato in quanto la loro benedizione al momento sono le indecisioni da parte delle potenze locali e globali su come liberarsene, non certo sulla fattibilità di poterlo fare. Remote sono anche le possibilità di un revival della guerra fredda ad opera della Russia putiniana: i conflitti paradigmatici di inizio secolo sono la conseguenza dell’attrito esercitato da una potenza in ascesa, non in caduta.
In un’ottica più estesa si potrebbero invece indicare Stati Uniti e Cina quali prossimi attori di un grande conflitto nello scenario del Pacifico, nucleo dei traffici e degli equilibri di potere globale. Tuttavia, per quanto sia certamente un orizzonte più plausibile, l’attuale grado di reciproca interdipendenza tra le due potenze e la relativa stabilità della regione ci portano a considerare che un eventuale resa dei conti, se mai ci sarà, avrà inizio almeno dalla seconda parte del Secolo.
Esiste invece un teatro strategico poco considerato e, anche per tale ragione, possibile focolaio dal quale potrebbe divampare il sanguinoso conflitto totale del nostro secolo: l’Africa. Cinque grossi indizi in particolare possono guidarci sull’importanza di tenere d’occhio il continente non solo nelle sue crisi contingenti, ma anche e soprattutto in un’ottica di lungo periodo.
- Demografia: agli albori del XX Secolo l’Europa, da sola, ospitava quasi un terzo della popolazione umana globale. Un numero per quei tempi spaventoso e che invogliava le nazioni europee a rivendicare pezzi di terra con più veemenza del solito, dando vita all’ossessione verso la sacralità del territorio che poi culminerà nel “Lebensbraum” nazista. La prospettiva di guadagni territoriali spinse, durante la Grande Guerra, i contendenti a combattere nonostante si fosse capito che non sarebbe stata l’ennesima campagna lampo di tradizione napoleonica. Oggi, i demografi di tutto il Mondo ci rassicurano che la temuta “bomba demografica ” globale sembra disinnescata e che la popolazione crescerà sempre di meno fino a stabilizzarsi verso la fine del secolo. La sola eccezione è il continente africano la cui previsione di crescita riporta che alle soglie del prossimo secolo ci saranno quattro miliardi di abitanti, tre in più rispetto alla popolazione attuale. Una pressione umana fortissima, corrispondente (ironicamente) a un terzo della popolazione globale stimata, che potrebbe non essere arginata dai confini attuali tra gli Stati africani (soprattutto tra Stati in pieno boom demografico e Stati, quali i componenti del Maghreb, ormai in una fase calante della crescita).
- Economia: per tirare su un massacro di scala occorrono molti soldi e ancor più risorse. Se le seconde non mancano e costituiscono motivazioni costanti allo scoppio di conflitti, i primi sono stati storicamente carenti, col risultato che le guerre africane, seppur flagellate dalla morte di molti, son state solitamente a bassa intensità e condotte da milizie e forze scarsamente armate. L’economia africana attualmente cresce a ritmi insperati e se c’è chi spera che questa nuova ricchezza aiuti a combattere le condizioni di miseria di larga parte della popolazione africana, è purtroppo più realistico pensare che una grande fetta finirà nei vari bilanci della difesa.
- Ambizione: Per condurre una guerra totale non basta un paese ricco, ma occorre una leadership guidata da una robusta dose di ambizione, se non di deliberata megalomania. Oggi diverse grandi nazioni africane, nonostante le loro criticità, si stanno affacciando sul palcoscenico globale e in futuro potrebbero essere annoverate tra le grandi potenze mondiali. Sudafrica, Nigeria, Etiopia, l’Egitto in veste di classica nazione “ponte” tra continente e bacino Mediterraneo, sono paesi alla ricerca di un’identità robusta e un posto stabile nella gerarchia globale. Una ricerca che le accomuna alle neonate Germania e Italia, tentate, a inizio XX Secolo, da una politica estera aggressiva quale il modo migliore per brillare e affermarsi agli occhi del resto del Mondo, dando vita alla nota serie di tensioni e conflitti apparentemente disinnescati dal Congresso di Berlino ma esplosi con la Grande Guerra.
- Attrito: una guerra richiede sempre un casus belli, una Grande Guerra ne richiede parecchi. Tra conflitti religiosi e etnici, confini d’eredità coloniale contestati e paesi afflitti da una cronica instabilità politica, le micce per dar fuoco alla polveriera di certo non mancano. Unendo poi quest’elemento alla necessità di “terra” e risorse per la propria popolazione che preme sui confini ecco che gli immensi spazi africani si fanno sempre più piccoli e che l’arida Ogaden, regione etiope orientale abitata da somali, si fa sempre più simile alla verdeggiante Lorena di un secolo prima.
- Contagio: per essere mondiale una guerra deve avere tutte le grandi potenze del pianeta almeno interessate al conflitto, dei “mecenati di sangue” disposti a scommettere e eventualmente a supportare uno schieramento per trarne vantaggi; gli Stati Uniti sono l’attuale egemone anche grazie alla capacità di puntare sempre sul cavallo vincente. Tra le ex-potenze coloniali europee, le quali spesso vantano un rapporto privilegiato con le proprie ex-colonie, s’intromette una Cina sempre più addentro negli equilibri locali africani. Non mancano al momento le potenze trascinabili dal vortice di una futura grande guerra in Africa e il numero di soggetti potenzialmente coinvolti sembra destinato ad aumentare.
Gli indicatori economici, sociali e demografici, dipingono l’Africa del prossimo futuro come un continente più ricco, più densamente popolato (con gli sconvolgimenti sociali ormai noti dall’urbanizzazione selvaggia), e impegnato verso una maggiore stabilità interna grazie all’apporto di un pugno di grandi potenze regionali, spesso riunite sotto l’egida dell’Unione Africana; il tutto sotto l’ala di “protettori” situati all’esterno e con forti interessi nella regione. Uno scenario molto simile a quello europeo precedente la Grande Guerra: un continente in espansione economica, percosso da fratture sociali spesso causate dalla pressione demografica, dove nei teatri locali afflitti da instabilità (Balcani), potenze continentali (Austria) intervenivano per domare il focolaio stando però attenti alla costante competizione reciproca.
Un secolo prima nessuno credeva che una grande guerra di logoramento sarebbe scoppiata nell’Europa della Belle Epoque dato che le potenze europee sembravano aver imparato a sfogare le proprie tensioni in competizioni coloniali al di fuori del continente o al massimo in conflitti locali e brevi delegati a nazioni minori. Nei Balcani dell’epoca ciascuna delle piccole nazioni sorte a spese del morente Impero Ottomano poteva vantare un grosso protettore europeo alle spalle, come fu tra Serbia e Russia.
Ovviamente non furono certo le questioni regionali nei Balcani a far scoppiare la Grande Guerra, ma l’accumularsi della tensione tra le potenze pressurizzata da decenni di stabilità solo apparente. Oggi è di tutti la speranza che l’Africa possa finalmente ascendere a regione globale di primaria importanza, ma occorre sempre avere a mente che maggior peso politico, ricchezza e potere assumono l’aspetto di una moneta a due facce: una con l’effige di un’invitante fetta di burro, l’altra con quella di un minaccioso cannone pronto a dar il via al disastro.